venerdì 12 aprile 2019

L’alito del coccodrillo


Se questa mia Le sembrerà fluviale, gentile Li Ruiyu, sappia che è solo perché in ossequio alla saggezza che trabocca da un proverbio delle Sue parti, quello che recita: «在告诉鳄鱼他的呼吸发臭之前你必须过河» («Devi attraversare il fiume prima di dire al coccodrillo che gli puzza l’alito»). In sostanza, vorrei intrattenerla su quel che accadde in Polonia tra il XVI e il XVII secolo, per mettere in guardia, tramite Lei, chi in Cina pensa di poter trarre qualche vantaggio da un accordo con la Santa Sede: se mi dà modo di illustrarLe quel che accadde, comprenderà quanto imprudenti siano stati i passi finora fatti dal Suo paese in tal senso. Tanto imprudenti da sollevare un dubbio: dov’è andata a finire la leggendaria lungimiranza del politico cinese che da come scoreggia il bruco – si dice – sa prevedere quali colori avrà la farfalla? E dunque.
Nei primi decenni del XVI secolo, la piccola e media nobiltà terriera polacca godeva di un’invidiabile condizione rispetto a quella del resto d’Europa, che invece già da qualche tempo pativa i primi effetti di quello che di lì a poco avrebbe preso piena forma di Stato assoluto. L’avanguardia di questo processo aveva testa d’ariete nella cattolicissima dinastia asburgica, che non aveva mai fatto mistero delle sue mire sulla Corona polacca. In difesa dei privilegi che fin lì erano riusciti a conquistare, i signorotti del latifondo polacco trovarono nella Riforma protestante il più naturale sbocco alla loro avversione agli Asburgo e al Papato che li spalleggiava, e così, intorno alla metà del XVI secolo, la Polonia divenne per tre quinti luterana.
Tutta sovrastruttura, Lei capirà, compagno Li Ruiyu, fatto sta che, nei venti, trent’anni successivi, col montare del sentimento di identità e di indipendenza nazionale, la cosa divenne sempre più marcata, convertendo al Protestantesimo anche la stragrande maggioranza dell’aristocrazia polacca, e appendicolare plebe tardo-feudale (o popolino pre-borghese che dir si voglia) a seguire.
Abituati, come oggi siamo, a considerare quello polacco un popolo che il cattolicesimo ce l’ha nel sangue, e da sempre, dà un poco di vertigine pensare a una Polonia che a quei tempi avrebbe di gusto impiccato il Papa con le budella dell’Asburgo, e tuttavia questa era la situazione: a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, i polacchi rimasti fedeli a Roma erano tre gatti, mentre nella vicina Ungheria, per ragioni in tutto simili a quelle fin qui descritte per la Polonia, per il cattolicesimo le cose andavano anche peggio, con qualche vescovo sgozzato e monaci a cagarsi addosso sotto il saio.
Robe brutte, gentile ambasciatore, ma proprio brutte brutte. Così brutte che, al confronto, le vostre robette ai tempi della Rivoluzione culturale possono essere tranquillamente rubricate come innocenti intemperanze.
Bene, Lei cosa si sarebbe aspettato da parte del Papato? Le do un aiutino? Il piano fu in tutto simile a quello che da qualche tempo è messo in atto con le autorità della Repubblica Popolare Cinese. Al momento Lei ne può vedere solo le premesse, per sapere come butterà in futuro ci tocca tornare alla Polonia di cinquecentoedispari anni fa.
Semplifico la cosa dando viva voce alla posizione della Santa Sede nei confronti della Corona polacca: «Vabbè, Maestà, è andata come è andata, la Polonia è protestante e rinunciamo alla pretesa del primato spirituale sul popolo polacco. Però, Maestà, noi siamo pure un’entità statuale: un minimo di relazioni diplomatiche dobbiamo averle, eccheccazzo! Faremo in questo modo, se Lei consente: daremo insegne di ambasciatore a quello che chiamavamo “nunzio apostolico” e che fino all’altrieri aveva la funzione di esattore per la riscossione delle decime dal gregge che ora ci è scappato per sei settimi dall’ovile; continueremo a chiamarlo “nunzio apostolico”, giusto per evitare le spese che ci comporterebbe cambiargli la carta intestata...».
No, vabbè, qui m’ingarbugliavo nel parallelismo, sarà il caso di continuare fuori dalle virgolette.
La richiesta fu accettata, d’altra parte che fastidio poteva dare un legato del Papa in un paese in cui il Trono era arrivato addirittura ad assumere il controllo sulla nomina dei vescovi? E qui viene il bello, perché da quel momento il Papa affida il da farsi in terra polacca alla Compagnia di Gesù. Tanto per intenderci, sono gli stessi anni in cui a Pechino cominciano a vedersi in giro «gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori della dinastia dei Ming». Quelli che sul finire del 1564 arrivano in Polonia sono vestiti da addetti di ambasciata, però, si sa, quando l’entità statuale sta in mano al capo di una confessione religiosa, va’ a capire dove finisce il temporale e dove inizia lo spirituale nel maneggio dei suoi funzionari. Puoi negare al signor ambasciatore di avere una biblioteca? Se glielo concedi, puoi negargli di averci dentro il personale che ordina, cataloga, copia, studia? E che differenza c’è tra un siffatto cenacolo culturale e una vera e propria scuola? Se c’è chi trova interessante le materie di studio, perché negare ai dotti chierici di strutturarsi in corpo docente e darsi assetto in collegio? E se non c’è nulla di male nell’avere un collegio di gesuiti tra un castello e l’altro, che male c’è nell’averne due? Ma poi che differenza c’è tra l’averne due e l’averne tre, o cinque, o sette, o undici?
Il bordo dell’unghia, l’unghia con tutta la falange, e il dito, e la mano, e il braccio – con la pazienza che il ragno mette nel tessere la sua tela, ecco che nel giro di dieci o quindici anni sulla Polonia si stende una rete di scuole che copre tutti i gradi d’istruzione presenti nella società del tempo. Scuole che ovviamente sono ad appannaggio dei rampolli della nobiltà, ma è quello il terreno più fertile in cui piantare idee che possono rivoltarti come un guanto il comune sentire di un popolo, almeno nel XVII secolo.
La faccio breve, gentile Li Ruiyu, ché ormai vedo il coccodrillo a una distanza di poche bracciate, e l’alito si sente: lo dico? Lo dico: in breve fu monopolio dell’istruzione e, nel giro di una generazione, la società polacca tornò più cattolica di quanto fosse stata un secolo prima, e sorvolo sulla fine che fecero i protestanti. Ha presente quella simpatica ambiguità della doppia fedeltà al Trono e all’Altare che dalla Lettera ai Romani, passando per la Lettera a Diogneto, ti trasforma un devotissimo a Maria, mosso da ardente amore per Gesù crocifisso, in un sindacalista di Solidarnosc, che con una mano sgrana il rosario e con l’altra piglia la mesata da monsignor Marcinkus? Ma sì che l’ha presente, via.
Chiudo con una domanda: ma voi cinesi siete sicuri-sicuri-sicuri di essere più previdenti dei polacchi? Non sia precipitoso nel darmi una risposta affermativa, ché nulla ci dà fretta.
Cordialmente, Suo


3 commenti:

  1. qualche ragione, almeno dal suo punto di vista e dunque degli interessi cinesi, il vecchio Mao Tse Tung l'aveva nel mandare a zappare il papà e il nonno di Li Ruiyu.

    il pezzo è molto buono, glielo manderei:
    S.E. Sig. Ruiyu LI
    Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario
    Email: chinaemb_it@mfa.gov.cn, segreteria.china@gmail.com

    RispondiElimina
  2. Chiederei anche all'ambasciatore se hanno tenuto in conto la possibilità che, un giorno, salga al soglio pontificio un vescovo di Shangai.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Eventualmente mandano un mongolo a sparargli mentre fa il giro in risciò in Piazza San Pietro.

      Elimina