lunedì 21 ottobre 2019

Gesuitismo


LAsia, che Einaudi ha mandato in libreria a giugno nella collana dei Millenni (due volumi, 1616 pagg., 140 euro), raccoglie i primi otto dei complessivi ventisette libri della monumentale Istoria della Compagnia di Gesù di padre Daniello Bartoli (1608-1685), quelli relativi alle missioni di Francesco Saverio (1506-1552) e di Rodolfo Acquaviva (1550-1583). Che dirne? Come sempre accade per lapologetica e lagiografia, occorre armarsi di machete per farsi strada nellaltrimenti impenetrabile selva di imbellettature e iperboli, eufemismi e reticenze, elusioni e preterizioni, che furono una goduria per lamante del survival che fui. A onor del vero, infatti, devo confessare che questa è impressione assai datata, peraltro riguardante solo parte dellopera, quella che nel piano editoriale della Einaudi verrebbe subito a seguire, e cioè quella relativa alle catastrofiche missioni in Giappone: tre volumi del primo Ottocento che, poco più che ventenne, trafugai dalla libreria di suor Geltrude, badessa del Sacro Cuore di Gesù, e zia.
Di lei e del Bartoli, qui, non mette conto dir altro, perché quello che invece mi pare assai più interessante segnalare è quanto Alberto Asor Rosa scrive a margine di una stitica e tarda recensioncella de LAsia apparsa ieri su la Repubblica: «Il gesuitismo, al di là di certe sue prese di posizione ferocemente antiprogressiste, ha contribuito, anch’esso, almeno in Italia, alla costruzione di un’identità nazionale».
Ora occorre dire che «gesuitismo» ha più accezioni, tutte riducibili a due significati: è «il complesso dei metodi, dei sistemi propri dei gesuiti, e in particolare l’atteggiamento e il comportamento di fronte a problemi intellettuali, morali, dottrinali e religiosi, o anche politici, che furono propri dei gesuiti» (Treccani), dove però non si capisce il «furono» per metodi e atteggiamenti che i gesuiti non hanno mai dismesso e che oggi, con un gesuita assiso sul Trono di Pietro, incontrano un ampio, seppur non generale, favore in seno alla Chiesa di Roma; ma sta pure per quel bellintreccio di «doppiezza, falsità, fariseismo, finzione, insincerità, ipocrisia, mistificazione, simulazione, [al servizio della] adozione della casistica per scopi mondani e per accrescere il proprio prestigio e potere nella società contemporanea» (anche qui, Treccani). A quale dei due significati fa riferimento Alberto Asor Rosa nel lamentare lodioso pregiudizio che a lungo ha pesato, e ancora pesa, almeno in certi ambienti, sulla Compagnia di Gesù?
Non è del tutto chiaro, ma in un punto pare sia possibile avanzare unipotesi: è dove ci rammenta che negli anni 70 «rischiai il mio buon nome e, peggio, la mia carriera accademica» nellazzardare un elogio di Daniello Bartoli e della sua Istoria della Compagnia di Gesù. Dove quel «peggio» ci svela la scala dei valori di Alberto Asor Rosa, in cui la «carriera accademica» sta sopra e il «buon nome» sta sotto.

1 commento:

  1. L’antico trafugamento è prescritto sennò penderebbe su di te l’ergastolo per danno all’ecclesiastico patrimonio. Solo la restituzione e connesso pentimento ti esimerebbe dall’inferno; ma avremo modo di tenerci in contatto per i ragguagli. Quanto al macete, per quanto tu ti senta immunizzato, è impresa assai aleatoria non aver danno dagli artropodi in talare. Cazzo di quell’Alberto, parabola di un perbenista che un tempo rischiò di striscio carriera e stipendio e invece poi cadde miseramente per aver ventilato un “golpe” di carta che compromise per sempre il suo buon nome di ravanello. È dura tener duro.

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