venerdì 18 dicembre 2020

Dinanzi alla morte

 

Nel 2019, in Italia, ci sono stati poco più di 647.000 decessi, che fa una media di circa 1.770 morti al giorno: morti appena nati e morti di vecchiaia, suicidi e morti ammazzati, morti per cancro, infarto, ictus e altre patologie, fra le quali quelle infettive, non di rado contratte in ospedale (non ho i dati relativi al 2019, ma nel 2016 i morti per malattie infettive contratte nel corso di un ricovero ospedaliero sono stati più di 45.000), e poi morti nel sonno o schiacciati sotto una pressa, caduti da unimpalcatura o fatti secchi da un’overdose, travolti da un tir o in seguito ad incidenti occorsi in rischiose pratiche sessuali.

L’anno che sta per chiudersi ha avuto un andamento un po’ diverso, perché al consueto numero di cause di morte s’è aggiunta quella della polmonite interstiziale da Sars-Cov-2, che, a detta di chi coi numeri ci sa fare, al prossimo 31 dicembre dovrebbe/potrebbe portare i decessi da/con Covid-19 a poco più di 70.000. Per quest’anno, insomma, c’è da attendersi che il totale dei decessi in Italia possa superare di poco i 710.000, sicché la media di morti al giorno salirebbe da 1.770 a 1.940, o giù di lì: rispetto all’anno scorso, ben 170 morti al giorno morti in più. Superfluo dire che la cosa non può lasciare impassibili.

Certo, la morte è morte, sempre, e con la morte di chiunque, anche se ci è sconosciuto, muore sempre anche qualcosa di noi, dico bene? Vero è che forse di noi muore qualcosina in più se il morto ci è parente o amico, se a morire è un bambino, se più in generale la morte prende ingiustamente un giusto o colpevolmente un innocente, se il modo in cui si muore è atroce, se il cadavere è eccellente, se siamo presenti al momento in cui il morituro muore, se a morirne sono 1.940 che non 1.770, ma credo che non sia il caso di star qui a sottilizzare: ci addolora un pochino anche la morte di uno sconosciuto ultracentenario spentosi serenamente nel sonno agli antipodi di dove noi viviamo, dico bene? Vi prego, non mi deludete, dite di sì, sennò non posso andare avanti: dico bene? Ok, procediamo.

Brutta cosa, la morte. Sempre. E tuttavia, concorderete, se non ci ferisce negli affetti personali o non ci è messa sotto gli occhi, essa si limita a far da sottofondo al nostro vivere: sappiamo che prima o poi toccherà anche a noi, è ovvio, sappiamo che, prima di toccarci, ci sfiorerà prendendo il nonno, il babbo, lo zio, l’amico, il conoscente, il calciatore che ci ha estasiato coi suoi dribbling, lo scrittore che ci ha fatto battere il cuore, il fruttivendolo sotto casa, ma dal sottofondo emerge rendendosi visibile, e dunque perturbante, dandoci ansia, angoscia o anche soltanto la sensazione di finitudine che ci dà un attimo di smarrimento, di irrequietezza e di impotente resistenza all’ineludibile, in proporzione alle sue dimensioni, in ragione della sua presenza, nella misura della rappresentazione che ci è offerta.

Certo, abbiamo pietas da vendere e anche una fogliolina che dal verde vira al giallo sul ramo del bonsai ci fa star male, perfino la zanzara spiaccicata sul muro ci dice che tutto ciò che organico è destinato a diventare inorganico, e questo evoca il destino che accomuna tutti i viventi, ma un po di più ci scuote dentro vedere sull’asfalto lo sconcio che uno pneumatico ha fatto d’un topo, e un po’ di più se a finirci sotto sono stati un gatto o un cane, un po’ di più se ridotti a poltiglia. Quanti ne muoiono ogni giorno nel tentativo di attraversare la carreggiata, lo sappiamo, ma vederne i cadaverini riversi ai suoi bordi ci stringe il cuore e, se maciullati, ce lo strazia. Stessa cosa a sapere che è morto quel tizio, altra però è dal saperlo chiuso in quella bara, e altra ancora è vederlo lì dentro quando ancora è scoperchiata.

Brutta cosa, la morte, sempre, chiunque muoia, ma dico una bestialità se affermo che ci appare più o meno brutta in relazione a certe variabili? Cosa ferisce di più la nostra sensibilità, il fiore che appassisce nel vaso o la mosca che agonizza sulla carta moschicida? L’agonia del topo che ha ingerito l’esca al bromadiolone o quella del cavallo che s’è schiantato nella Curva di San Martino al Palio di Siena? La morte del ragazzino leucemico o quella del novantenne enfisematoso? Ma se il novantenne enfisematoso è il nonno che da bambini ci leggeva la fiaba di Pollicino e il ragazzino leucemico è un impercettibile e anonimo puntino sulla curva repentinamente decrescente che ci illustra gli strabilianti successi delle odierne terapie antileucemiche? Mi pare evidente che le variabili siano assai complesse.

Direi tutto dipenda da quanta e quale morte ci è messa dinanzi, e in che modo, e a quale distanza, dove quest’ultimo parametro non è riducibile a un mero dato spaziale o temporale. Perché i 2.977 morti nel crollo delle Twin Towers del 2001 feriscono indubbiamente la nostra sensibilità più dei 39 che morirono allo stadio Heysel di Bruxelles nel 1985, ma quanto rispetto agli oltre 800.000 tutsi massacrati in Ruanda nel 1994? È evidente, perciò, che le variabili cui facevo cenno prima siano tutte estremamente elastiche: la morte di un orango ci ferisce assai più di quella di un gatto, non però se il gatto è George, il nostro gatto; il video della migrante che si dispera perché il suo bambino di sei mesi è affogato a largo di Lampedusa ci schianta, ma la foto del bambino di tre anni riverso a faccia in giù sul bagnasciuga di una costa turca ci distrugge; i sei milioni di morti della Shoah ci sembrano il male assoluto, ma sugli otto milioni dell’Holomodor sappiamo relativizzare come dovuto ; sentirci dire, in piena epidemia, che «questo martedì ne sono morti 985» è una mazzata, ma apprendere da un report dell’Istat che il tal giovedì del 2013 ne son morti 1.015, o il tal lunedì del 2010 ne son morti 1.089, fa male, certo, ma – come dire – si nasce, si vive, si muore, e in fondo tocca a tutti, a chi prima e a chi dopo, pazienza!

Dio mio, cosa mi è scappato di bocca? Ho detto proprio «pazienza!»? Chiedo scusa, non so come sia potuto accadere. E mi auguro che non vogliate accostare il mio «pazienza!» a quello che si è lasciato scappare Domenico Guzzini, presidente di Confindustria Macerata, a commento dei 170 morti al giorno in più che avremo questanno rispetto allanno scorso, daltronde la differenza è lampante: a me il «pazienza!» è scappato dinanzi a morti stagionati, morti misti, morti alla spicciolata, morti in silenzio, a riflettori spenti; lui no, lui è una carogna, perché lha detto dinanzi a salme ancora calde, senza rendere lomaggio che il vivente deve al morente, che poi, tenuto conto dellestrema elasticità delle variabili che regolano il nostro altissimo sentire, è lo stesso genere di omaggio che il vizio deve alla virtù.

19 commenti:

  1. C'è una differenza sostanziale, Guzzini auspica politiche che favorendo il proprio interesse economico causeranno la morte di persone attualmente vive. Tipo 1000 persone chiuse in una stanza e schiaccio un bottone che libera un gas che uccide solo una persona, non sappiamo chi, ma se schiaccio mi danno 5€!

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    1. Deve averne schiacciati, di bottoni, da febbraio ad oggi!

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    2. accipicchia quanta inflazione! a gino bramieri / teo per ammazzare un cinese a caso gli davano un miliardo, almeno...

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  2. Essere "etici" di questi tempi è la cosa più facile e banale

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    1. Essere "cinici" è ancora più "trendy".

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    2. anche essere sciocchi è in forte tendenza

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    3. No al cinismo! Impariamo ad Amare Chi ci Governa!

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    4. Soprattutto quando Chi ci Governa lo abbiamo scelto noi.

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    5. @Olympe Mi ricordi il mio autista di molti anni fa, mi diceva: "Se c'è una cosa che non sopporto è l'ignorantità".

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    6. Il sig. Anonimo è convinto di avere scelto lui Conte.

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    7. Il sig. da Rotterdam mi attribuisce meriti che non ho. So benissimo che Conte è stato eletto dalla Trilateral, dai Rockefeller, i Rothschild, il Vaticano, J.P.Morgan, il Forum di Davos, il gruppo Bilderberg, Lilli Gruber e il fantasma di Andreotti. L'unico mio merito, se così si può dire, è di aver fatto eleggere mio nipote come segretario dell'ultima assemblea di condominio.

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  3. Arriveremo a 70.000 morti con/per covid al 31/12. E' questo il numero giusto per valutare la gravità di questa calamità? Secondo me no, perché non si tiene conto delle pesanti restrizioni subite quest'anno in Italia. Il numero giusto è la percentuale di morti su contagiati che si fa molta fatica a valutare correttamente, e che in Italia sembra attestarsi, più in alto che in altri paesi, mediamente a circa il 3%. I morti su tutta la popolazione sarebbero 1.800.000 (nel tempo che ci vuole a contagiare tutta la popolazione). Detto questo il suo discorso resta pienamente condivisibile anche di fronte alla valutazione catastrofica del tasso di letalità al 3%.

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  4. A parte l'Holodomor, che comunque sì, qualunque narrazione trovi mai il consenso dei contributori di en.wiki, almeno per un bel po' resterà comunque altra cosa rispetto ai campi, e proprio per quei sei milioni — non certo per gli altri… quanti sono? dieci? undici?

    A parte che la prima morte italica di/da/con/per covid è di fine febbrajo, per cui, anche ammettendo con discreto "ottimismo" che il conteggio ufficiale sia attendibile, sta' a vedere se i 170 non sono già 200 — senxa contare che i circa due mesi su cui non stiamo mediando sono pure tra i peggiori, a detta degli esperti, con o senza virgolette; del resto anche tra di loro non pajono stimarsi granchè: ha visto il tizio che ha spifferato che la Capua è una veterinaria?

    Ok che quelli che stan morendo a questo giro sono mediamente dei rottami, arrivati a scadenza naturale, e non indispensabili allo sforzo produttivo del paese — specie di smarterie innovative, come si confà ai tempi moderni.
    Ok che si è esagerato in milleuno modi (ma non mi pare tra i casi più clamorosi, vedi appunto l'11 settembre, quello del 2001), che più d'uno ha deragliato, che siamo tutti esausti — al punto che un sempliciotto prima o poi si chiederà se non sarebbe stato meno ingrato copincollare il brutale trucco ("medievale" e "senza precedenti") dei musi gialli.

    Ok tutto; però la domanda io la devo fare: esiste, almeno in astratto, uno scenario problematico?, e se sì, se ne potrebbe avere una descrizione sommaria?, tipo soglia minima di surplus di morti giornalieri, grado di purezza minimo della fedina clinica utile ad essere conteggiati come morto optimo jure, etc… sennò in effetti viene il dubbio che qualunque cosa possa finire in pazienza.

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  5. Sorvoliamo sulla zanzara che resta organica molto a lungo anche dopo essere stata schiacciata, ma, con metafora automobilistica, pazienza si può dire per qualche auto in doppia fila, che favorisce lo shopping natalizio, ma non l'ingorgo selvaggio che blocca la circolazione, impedisce o soccorsi e in ultima analisi ostacola lo shopping natalizio.
    Qualche morto non è nulla, ma le terapie intensive sature e i pronto soccorso intasati sono il problema.

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  6. mhm.

    a me svejateme quando la razza umana entra nell'elenco del rischio estinzione. de spiccis non curat commentaetor.

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  7. I morti alla fine rispetto agli ultimi 5 anni saranno ben oltre i70 mila: interventi chirurgici programmati non eseguiti, chemio non fatte,screening non praticate, visite ambulatoriali di controllo non fatte,aspettiamo i dati definitivi ISTAT ma temo che i dati siano drammaticamente + alti anche x le altre patologie trascurate x il covid
    Alessandro

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  8. Egregio Malvino,
    lei punzecchia, inziga, distilla raffinate provocazioni, mette le mani nella pece più nera nell'animo umano. Lo fa senza occhiali di protezione ne mascherina, vuole sporcarsi, sentire gli schizzi andare un po' qua e un po' là, ora in faccia ora sui muri a formare nuove e imperscrutabili trame. Lo fa per il gusto della discussione che senza un'efficacia provocazione, converrà con me, perde molto del suo gusto, diventa una minestrina ospedaliera triste, annacquata in cui l'unico protagonista è il mezzo burro che galleggia in attesa di fondersi con la melma fumante che lo sostiene.
    E allora che discussioni sia.
    La comprensione della morte avviene su due livelli: quello personale e quello collettivo (per per semplicità, ora in avanti, chiamerò sociale).
    Comprendere la morte a livello personale è un viaggio che si fa dentro di sé, con quali valori la parametriamo e confrontiamo con la nostra stessa vita che va inevitabilmente a intrecciarsi con l'esistenza stessa dell'essere umano. Essendo personale, appunto, non spetta a nessuno giudicare tale viaggio anche se hai un legame di parentela molto stretto, un'amicizia secolare o centinaia di scopate selvagge al chiaro di luna.
    Ma la morte è anche comprensione sociale, una comunità la cui maggioranza ha una visione comune di cosa essa sia e di quali paletti mettere (o non mettere) nelle decisioni quotidiane, che diventeranno leggi ma soprattutto plasmeranno i comportamenti delle presenti e future generazioni. Se una comunità da molta importanza alla morte la innalzerà a divinità, avendone paura e quindi rispettandola a tal punto da diventarne succube, impaurita, a cui rivolgersi (e confrontarsi) brevemente nei riti religiosi e nelle disperazioni più intime e familiari. Ma al tempo stesso se la morte diventa invece ostacolo, un'evento irrilevante nella vita di un essere umano, talmente insignificante da provare fastidio al solo pensiero ecco che la società diventa cinica, materialista, in cui le persone tendono all'accumulo, alla perenne caccia al tesoro per conquistare gettoni di rispettabilità e salire nella scala sociale la cui fine sembra non arrivare mai.
    Ecco il discorso di Guzzini dava la netta e inesorabile sensazione di farci catapultare nella seconda società descritta.
    Quello che mi permetto di osservare che lei, nella sua bella e fine provocazione, abbia cercato di sovrapporre i due livelli per dirci che tutti noi siamo un po' Guzzini e quindi il Guzzini originale non è poi così tanto cinico e baro.
    Ma se allontaniamo i due livelli e li distacchiamo l'uno dall'altro, forse, Guzzini apparirà per quello che è.

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  9. Buonasera, volevo solo dichiarare che "pazienza" lo si può dire appunto per persone di cui non ci frega nulla, la cui morte non condiziona direttamente la nostra vita (anche se io non lo direi, la morte per me è una cosa comunque non indifferente mentre il termine "pazienza" richiama indifferenza).

    Ma chi ha un ruolo pubblico è esposto agi occhi di tutti, anche dei parenti dei morti di Covid-19; non può quindi parlare come se fosse a chiacchierare al bar. L'indifferenza privata che diventa dichiarazione pubblica e politica? Hanno fatto bene a dimetterlo.

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