«Adulatori per lo più
de’ tiranni presenti,
sebben lodatori degli
antichi repubblicani»
Giacomo Leopardi, Zibaldone
Ricapitolando.
Ho scritto che «il Pd riguadagna solo
parte degli oltre 3 milioni di voti persi tra il 2008 e il 2013, senza peraltro
riuscire a superare i 12 milioni che diedero il 33,2% al partito allora guidato
da Walter Veltroni» (I 38 milioni di
italiani che non hanno votato Pd – Malvino,
26.5.2014): continua a sembrarmi indiscutibile. Poi ho scritto che «il 40,8% [ottenuto dal Pd] del 57,2% [che
si è recato alle urne il 25 maggio] non
supera il 23,3% del totale degli aventi diritto al voto» (Le dimensioni del trionfo di Matteo Renzi
– Malvino, 26.5.2014): anche qui, mi
pare sia pacifico. Infine, commentando l’analisi dei flussi elettorali elaborata
dall’Istituto Cattaneo («Il successo di
Renzi si è costruito sulla tenuta dell’elettorato Pd nei confronti
dell’astensione, sulla conquista del bacino di Scelta civica, sul cedimento di
elettori M5S e Pdl verso l’astensione. […] È possibile che non pochi elettori
ora astensionisti possano rientrare nei ranghi di partenza, sia di Forza Italia
che del M5S»), ho scritto che in essa «il
risultato conseguito dal Pd di Matteo Renzi alle Europee trova ulteriore
ridimensionamento» (La bolla – Malvino, 29.5.2014): giudizio che non mi
pare affatto scandaloso.
Fatta la tara di insulti e sberleffi, le obiezioni a
quanto ho scritto sono le seguenti:
(1) Mi si contesta che il numero dei voti
ottenuti dal partito che vinca una competizione elettorale acquistino peso in
relazione a quanti ne hanno preso i partiti che l’hanno persa. Non è per fare
sfoggio di superbia intellettuale, ma a questo ci arrivavo anche da solo. D’altronde
non mi pare di aver scritto che i risultati di queste Europee siano ambigui: il
Pd ha vinto, non c’è ombra di dubbio. In verità, direi che la vittoria più
significativa sia quella di Matteo Renzi sull’opposizione interna al suo
partito. D’altronde non era proprio lui a dire che i risultati di queste Europee
non potevano e non dovevano aver conseguenza sulla tenuta del governo? Ora pare
che l’abbiamo, e ovviamente in senso positivo, ma in fondo non si trattava di
Politiche. Il risultato delle Europee può essere letto come fiducia accordata a
questo pagliaccio che, al netto del muoversi tanto da fermo e del promettere il
Bengodi con l’anticipo di 80 euro, finora non ha fatto un cazzo? Senza dubbio,
ma se mi si viene a dire che in democrazia i numeri sono tutto e Matteo Renzi
ne ha presi tanti e tanti in più di Beppe Grillo e di Silvio Berlusconi,
rispondo che non si votava per confermargli l’incarico di governo. In quanto al
risultato in termini assoluti, mi pare che recuperare buona parte degli
elettori persi dal 2008 al 2013 sia un buon risultato, ancor più se enfatizzato
dal defluire dell’elettorato grillino e di quello berlusconiano verso l’astensione,
ma di fatto, anche stavolta, al Pd non va più del consenso di un italiano su
quattro: legittimato alla guida del paese, ma per piacere non parliamo di plebiscito.
(2) Mi si rammenta che gli astenuti non contano. Ringrazio per il ragguaglio
all’ovvio, ma non mi pare di aver scritto che contino. Non hanno alcun peso sul
risultato elettorale, è naturale, ma esistono. Arrivano al comune convincimento
che esprimere una rappresentanza sia inutile, ma con ciò non sono fuori dall’opinione
pubblica, tanto meno sono da considerare massa socialmente inerte, e comunque restano
potenziali elettori che esprimono con l’astensione un disagio, che talora è da
interpretare come un vero e proprio malessere: si tratta di individui che – non
ha importanza, qui, stare a discutere quanto a ragione – hanno perso o non
hanno mai avuto fiducia nel metodo democratico, non trovano un’opzione
convincente nell’offerta dei partiti in lizza o, più banalmente, sono
refrattari ad ogni genere di scelta politica. Ci si può consolare col
constatare che in ogni regime democratico questo fenomeno è comune, che in
Italia non è neanche consistente quanto altrove, che il suo progressivo
incremento sia perciò del tutto irrilevante o che comunque non debba essere
letto come un sintomo preoccupante: può darsi, resta il fatto che nei paesi in
cui l’astensionismo ha percentuali assai più alte che in Italia il dato è
stabile da tempo e non trova espressione in quella sfiducia verso le
istituzioni che qui da noi va da tempo assumendo i tratti della resistenza
passiva che incamera un sordo risentimento. Si può fare a meno di prenderlo in
considerazione? Nello scrutinare le schede elettorali e calcolare quanti seggi
spettano a questo o quel partito, senza dubbio, sì. Nel discutere su cosa c’è
da attendersi sul medio e sul lungo periodo, non mi pare sia superfluo,
soprattutto in relazione all’alta fluidità che il corpo elettorale ha mostrato
negli ultimi vent’anni. In conclusione: continuare a fissare, come ipnotizzati,
quel 40,8% – continuare a ripetersi che è il più rilevante consenso ottenuto da
un partito dopo quelli conseguiti dalla Dc a cavallo degli anni Quaranta e Cinquanta,
quando alle urne si recava quasi il 90% degli aventi diritto – ritengo sia da
stupidi. Del tutto legittimo, peraltro, che Matteo Renzi e il Pd investano su
questa stupidità. C’è da ritenere, infatti, che sul breve periodo porterà frutto:
il paese è allo stremo, disposto ad aggrapparsi a tutto, soprattutto se con la
promessa che può salvarsi con un po’ di ottimismo, affidandosi all’ennesimo deus
ex machina. Non ci fossi abituato, la nausea mi impedirebbe perfino di
parlarne. Ma ho passato la cinquantina, e di ciarlatani promossi a salvatori
della patria, di avventurieri in grado di imbambolare i gonzi col loro
scilinguagnolo, di zoticoni senz’altra grazia di dio che una formidabile
ambizione e senz’altra virtù che l’intrallazzo maneggione, ne ho visto, e so
come la va: all’inizio, nel trambusto dell’ovazione, al moccioso che urla che
«il re è nudo» va un ceffone, poi tutti a dire che in effetti era nudo e ce l’aveva
pure piccolo.
(3) Mi si storce il muso perché do affidamento all’indagine dell’Istituto
Cattaneo, quando è da anni che i sondaggi pisciano alla grande. Qui temo che il
muso si storca a torto, perché una cosa sono le analisi del voto fatte prima che
gli elettori entrino nel seggio, un’altra quelle fatte dopo. A maggior ragione,
quando un risultato oggettivamente rilevante, e all’apparenza ancor più
rilevante di quanto sia in realtà, potrebbe indurre gli intervistati a risposte
assai più infedeli per il noto effetto bandwagon, che ai piani alti della
politica trova analogo nell’osceno assalto al carro del vincitore cui
assistiamo in questi giorni.
[segue]