Una
branca della paleontologia alla quale dobbiamo molto di ciò che oggi sappiamo su
animali ormai estinti da decine di milioni di anni è quella che studia i loro
coproliti, e cioè i fossili delle loro feci, straordinariamente ricchi di nozioni
relative ai loro stili di vita: in primo luogo, come è ovvio, alle loro
abitudini alimentari, e quindi, come è facilmente intuibile, all’ambiente in
cui vivevano. Qui proveremo ad applicare il principio che dà dignità di
disciplina a questa specializzazione, e cioè che l’attento studio di uno stronzone
consenta di trarre preziose informazioni sulla bestia che l’ha cagato,
studiando attentamente ciò che Francesco Agnoli scrive su Il Foglio di giovedì
4 settembre, nel tentativo di comprendere qualcosa in più di quel cattolicesimo
che ormai da tempo sembra avviato all’estinzione.
Cominceremo col dire che il pezzo
in questione, come tutti i fossili, ha una discreta consistenza. Non ha forma
regolare, né struttura omogenea (il tema mostra vistose increspature, focali cedimenti,
numerose disarticolazioni), e tuttavia è riconoscibile un movimento di torsione
interna che in buona evidenza gli è impresso dal titolo (Il jihad dentro di noi) e prende sagoma dal sommario (Il disgusto della vita e la guerra purificatrice,
due secolari vizi europei, prima che islamici).
Di cosa si sia cibato l’animale
è evidente: «la modernità, respinto Dio,
crea di continuo idoli e religioni surrogate», ed è perciò, che, «perso il contatto con ciò che è concreto, ciò
che ci sta sotto i piedi, e accanto: la patria, la famiglia, la fede», «tanti giovani sono capaci di abbandonare
ogni sogno (un lavoro, una casa, una famiglia)», e che fanno? Si convertono
all’islam, corrono dal Califfo e si danno agli sgozzamenti: «gli occidentali, in particolare britannici,
che partono per la guerra santa, e sgozzano infedeli in nome dell’islam, non
sono anzitutto uomini infervorati dal Corano (che forse neppure conoscono
bene), ma persone mosse dallo sdegno morale, la disaffezione, la noia, la
ricerca di una nuova identità, il bisogno di un senso, di uno scopo, di una appartenenza».
In pratica, non li mandano al catechismo da bambini, non li spaventano dicendo
loro che a farsi le pippe si diventa ciechi, non li cresimano, ed ecco che ti
diventano atei, cioè pronti a farsi musulmani, «come dimostra, per esempio, la storia di Sally Jones, la donna inglese
che prima di indossare il tradizionale vestito islamico e il velo, e prima di
scrivere su Facebook che vorrebbe decapitare cristiani col suo coltello,
vestiva minigonne di pelle, cantava rock, si occupava di magia nera e
stregoneria, e gestiva, da sola, due figli, accogliendo uomini ad ogni ora».
Pronti a sgozzare, sennò a farsi saltare in aria da «martiri» (qui tra virgolette, com’è ovvio: i veri martiri sono
solo cristiani), perché «nell’epoca in
cui le emozioni e i desideri sostituiscono ogni valore, anche una morte particolare,
originale, può avere il suo fascino».
Sarò riuscito almeno in parte a
trasmettervi l’emozione che un paleocoprologo prova quando da un tocco di vile
materia riesce a estrarre l’immagine d’un mondo estinto, quasi facendolo
rivivere? Se di bocca, spontaneo, v’è uscito un «che cagata!», allora sì.