Renzi
era dell’idea che la Cancellieri avrebbe fatto bene a dimettersi, e non ha cambiato
opinione. Non era neppure indagata, ma questo non vuol dire niente, perché le
dimissioni – dice – si danno per una motivazione politica o morale, non per un avviso
di garanzia. Caso analogo a quello di Lupi, che a differenza della Cancellieri,
però, si è dimesso, ma dichiarando di non aver nulla rimproverarsi sul piano
morale. È evidente, dunque, che la motivazione debba essere stata di natura
politica, e Renzi – dice – la ritiene saggia.
Dando per scontato che sul piano morale non abbiano nulla da rimproverarsi neppure i sottosegretari che erano indagati già prima che entrassero nel suo Governo, né che sullo stesso piano debba rimproverarsi nulla chi ve li ha fatti entrare e lì lascia rimangano, qual è il piano politico sul quale era saggio che Lupi si dimettesse e quelli no? C’è chi lamenta che sia quello sul quale cerca d’imporsi l’odiosa logica dei due pesi e delle due misure, ma in realtà il peso è già uno solo, e una sola è la misura, altrimenti Lupi sarebbe ancora al proprio posto, che non avrebbe mai lasciato se avesse avuto la certezza di un appoggio del Governo su un’eventuale mozione di sfiducia individuale, che Renzi gli ha fatto sapere di non avere alcuna intenzione di assicurargli.
Nessuna contraddizione, dunque, nelle risposte che Renzi dà a De Marchis (la Repubblica, 22.3.2015): saggio è riconoscergli il potere pieno che ha sulla compagine del Governo e sulla maggioranza parlamentare, e le dimissioni di Lupi ne sono il sigillo. In attesa che una riforma elettorale porti in Parlamento una maggioranza di nominati da chi sarà anche alla guida del Governo, e che una riforma costituzionale formalizzi la legittimità dell’accentramento del potere esecutivo e di quello legislativo nelle mani di un solo uomo, si sappia che di fatto è già così, e che quell’uomo è lui, se ne faccia una ragione chi lamenta sia in atto una deriva autoritaria, si tolga dalla testa che Renzi possa cadere sulla questione morale, non si illuda di poter cavalcare le inchieste dei magistrati, perché anche quelle può cavalcarle solo lui, quando e se gli pare.
I sottosegretari indagati, dunque, possono – anzi, devono – restare dove stanno: servono a fare bella mostra della protezione politica che Renzi assicura a chi è convinto non abbia altra scelta che essergli fedele, grazie al controllo di una maggioranza parlamentare che è sensibile alla questione morale solo quando è lasciata libera di farlo, in pratica quando a Renzi non torna comodo atteggiarsi a campione di garantismo. Non così per Lupi, perché Lupi non era affidabile come una Barracciu o un Faraone: se non sentiva la questione morale, bastava sentisse quella politica. E l’ha sentita.
Ha faccia da cretino, Renzi, ma è scaltro. Vende chiacchiere, ma in mezzo sa infilarci il messaggio riservato che vuol mandare a chi deve riceverlo. E continua ad essere evidente che non abbia un chiaro progetto di società, ma è altrettanto evidente che ne abbia uno personale, chiarissimo. E in campo non ci sono oppositori in grado di fermarlo: Salvini, Grillo, Landini sembrano fatti apposta per dargli la maggioranza dei consensi. Non c’è altro da augurarsi che tutto si compia in fretta, accelerando la sua corsa lungo la nota parabola. Ogni resistenza non potrà che renderla più lenta, dunque più lunga, perché di fatto è irresistibile.
Dando per scontato che sul piano morale non abbiano nulla da rimproverarsi neppure i sottosegretari che erano indagati già prima che entrassero nel suo Governo, né che sullo stesso piano debba rimproverarsi nulla chi ve li ha fatti entrare e lì lascia rimangano, qual è il piano politico sul quale era saggio che Lupi si dimettesse e quelli no? C’è chi lamenta che sia quello sul quale cerca d’imporsi l’odiosa logica dei due pesi e delle due misure, ma in realtà il peso è già uno solo, e una sola è la misura, altrimenti Lupi sarebbe ancora al proprio posto, che non avrebbe mai lasciato se avesse avuto la certezza di un appoggio del Governo su un’eventuale mozione di sfiducia individuale, che Renzi gli ha fatto sapere di non avere alcuna intenzione di assicurargli.
Nessuna contraddizione, dunque, nelle risposte che Renzi dà a De Marchis (la Repubblica, 22.3.2015): saggio è riconoscergli il potere pieno che ha sulla compagine del Governo e sulla maggioranza parlamentare, e le dimissioni di Lupi ne sono il sigillo. In attesa che una riforma elettorale porti in Parlamento una maggioranza di nominati da chi sarà anche alla guida del Governo, e che una riforma costituzionale formalizzi la legittimità dell’accentramento del potere esecutivo e di quello legislativo nelle mani di un solo uomo, si sappia che di fatto è già così, e che quell’uomo è lui, se ne faccia una ragione chi lamenta sia in atto una deriva autoritaria, si tolga dalla testa che Renzi possa cadere sulla questione morale, non si illuda di poter cavalcare le inchieste dei magistrati, perché anche quelle può cavalcarle solo lui, quando e se gli pare.
I sottosegretari indagati, dunque, possono – anzi, devono – restare dove stanno: servono a fare bella mostra della protezione politica che Renzi assicura a chi è convinto non abbia altra scelta che essergli fedele, grazie al controllo di una maggioranza parlamentare che è sensibile alla questione morale solo quando è lasciata libera di farlo, in pratica quando a Renzi non torna comodo atteggiarsi a campione di garantismo. Non così per Lupi, perché Lupi non era affidabile come una Barracciu o un Faraone: se non sentiva la questione morale, bastava sentisse quella politica. E l’ha sentita.
Ha faccia da cretino, Renzi, ma è scaltro. Vende chiacchiere, ma in mezzo sa infilarci il messaggio riservato che vuol mandare a chi deve riceverlo. E continua ad essere evidente che non abbia un chiaro progetto di società, ma è altrettanto evidente che ne abbia uno personale, chiarissimo. E in campo non ci sono oppositori in grado di fermarlo: Salvini, Grillo, Landini sembrano fatti apposta per dargli la maggioranza dei consensi. Non c’è altro da augurarsi che tutto si compia in fretta, accelerando la sua corsa lungo la nota parabola. Ogni resistenza non potrà che renderla più lenta, dunque più lunga, perché di fatto è irresistibile.