Contrariamente
a quel sembra suggerire l’immagine
evocata dal
termine, zompapérete
(più frequentemente usato al femminile: zompapéreta)
è
solo in senso figurato chi procede sobbalzando (zompando)
sulle proprie scoregge (pérete),
perché invece è il risultato della crasi di ’onna
(donna,
qui inteso al pari del don
preposto a un nome proprio maschile, come attributo di persona
autorevole o rappresentativa, secondo il largo uso che ancora residua
in gran parte dell’Italia
meridionale)
e di Péreta
(con
attribuzione al termine dell’antonomastico
per la donnetta sciocca e supponente, incarnata dal personaggio che
la tombola napoletana allega al numero 43 con l’immagine
di ’Onna
Péreta for’
’o
balcone,
la popolana che dispensa le sue presunte perle di saggezza al
vicinato e a chiunque le passi sotto casa).
Appena qualche settimana
fa, su queste pagine, abbiamo dedicato un fuggevole commento a un
tizio che dal suo balcone sentenziava che «i
fautori delle nozze gay e delle unioni civili sono animati dagli
stessi principi cardine che avevano spinto all’azione più o meno
sanguinaria i loro precursori
[i giacobini] che
al posto della bandiera arcobaleno sfoggiavano la coccarda tricolore»
(Il
Foglio,
28.1.2016). Pensavamo si trattasse di zompapérete
occasionale, ma già due giorni dopo, quando l’abbiamo
sentito dire che Lévi-Strauss ci avesse lasciato una «formidabile
arringa in favore della “famiglia naturale”» (Il
Foglio,
30.1.2016), a dispetto dell’esatto
contrario come siamo stati costretti a documentare, abbiamo avuto il sospetto che si trattasse di zompapérete
professionale. Oggi, la conferma.
Recensendo un «pamphlet»
(in realtà un sermone) di Jonathan Swift che le Edizioni Dehoniane
hanno da poco mandato in libreria, Antonio Gurrado dice che il
libriccino sarebbe il non
plus ultra
per «per
smontare chi fa sarcasmo su chiesa e cristianesimo» (Il
Foglio,
11.3.2016). Inutile correre a comprarlo, in lingua originale è
online già da
diversi anni:
si tratta di On
sleeping in church, lo trovate su gutenberg.org,
che
ospita l’opera
omnia
di Swift (Vol. IV).
«Finalmente
un pamphlet –
scrive Gurrado – in
cui vengono sbertucciati coloro che “con grande impegno e molto
sarcasmo si fanno una scorta di battute umoristiche” per esercitare
il disprezzo della fede e proclamare la propria superiorità
cerebrale a un mondo che altrimenti li ignorerebbe; finalmente lo
smascheramento di individui che “parlano in modo scortese e
irriverente” per celare di essere “così ottusi da non darci
altro che noiose ripetizioni e meschini, volgari luoghi comuni, così
triti, così logori, così banali”. Di costoro viene denunciata “la
rozza, evidente, inescusabile ignoranza degli stessi principii
fondamentali della religione”, curiosa a trovarsi “in persone che
attribuiscono tanto valore alla propria cultura” ma che in realtà
“imparano meccanicamente una serie di buffonate che possono essere
usate in tutte le occasioni”, “hanno un assortimento fisso di
sarcasmi e riescono a essere estremamente spiritosi servendosi sempre
degli stessi pretesti” per colpire il cristianesimo. Questi
sarcastici che si ritengono eccezionali e illuminati dovrebbero
apprendere che “chiunque è capace di immaginare un berretto da
buffone sulla testa dell’uomo più saggio, per poi ridere della
propria stessa trovata”.
In realtà, non è chiaro quali sarebbero gli argomenti coi quali
Swift annichilirebbe la «sbruffoneria
degli atei»,
anche perché afferma che, «of
all misbehaviour, none is comparable to that of those who come here
to sleep»,
a conferma del fatto che anche per lui, come per ogni pastore, il più
temibile nemico della fede non è l’ateismo
militante, ma l’indifferenza
che già ai suoi tempi serpeggiava nel gregge.
A parte occorrerebbe dire che un capolavoro come Gulliver’s travels e un gioiellino come A modest proposal sono di qualità molto al di sopra della media del corpo swiftiano, che per gran parte è grigio ciarpame nel quale non si trova molta traccia della straordinaria forza letteraria che la critica ha giustamente riconosciuto in quelle due opere dalla cifra estremamente originale, dalla scrittura eccezionalmente brillante, dalla vena sapidissima e arguta, dalla mirabile misura di paradosso e iperbole che ne è il tratto distintivo. Diremmo che di swiftiano Swift ha scritto solo Gulliver’s travels e A modest proposal, e che On sleeping in church può sembrare swiftiano solo a chi sappia che l’ha scritto Swift.
In definitiva,
sembrerebbe che anche con Swift, come già con Lévi-Strauss, Gurrado abbia il vizietto di attribuire ad un autore quanto presume di poter leggere in quello che in questo caso definisce «livello
esoterico»,
e che in realtà sarebbe il piano sul quale gli sembra legittimo
conferirgli intenzioni né dichiarate né in altro modo rese
esplicite, fino a distorcerne, come abbiamo visto nel caso di
Lévi-Strauss, addirittura il contenuto: pérete, diremmo, che gli fanno correre il rischio di zompare giù dal balcone.