Sempre
più spesso mi capita di ritenere superfluo spendere un commento su
quanto dichiarato da questo o quel protagonista della vita pubblica,
con prontezza diffuso dai canali di informazione, per essere
immediatamente fatto oggetto di ampia discussione in ogni sede. Sia
chiaro che per commento intendo un’opinione
adeguatamente argomentata, perché la sensazione che il virgolettato
attribuito a Caio o a Tizio non meriti la fatica, e che al più valga
la pena di porre ogni attenzione solo alle ragioni che gli procurano
adesione o dissenso, può ben lasciare spazio almeno a una battuta, che proprio nella sua estemporaneità esprime il rigetto di una problematicità tutta fittizia.
Non sempre, ma quasi sempre, accade perché, a dispetto del rilievo
che sembrerebbero meritare, si tratta di affermazioni
fatte senza altro scopo che ottenere quella visibilità che –
insieme – nutre e divora il personaggio pubblico, senza risparmiare chi
aspira ad esserlo agganciandosi al bandwagon dei like e dei dislike. Semplificando, direi che si possano distinguerne
due tipi, secondo il genere di visibilità che si ripromettono di
riscuotere: ci sono le affermazioni provocatorie, paradossali,
iperboliche, che spesso sembrano voler squarciare il velo
dell’ipocrisia
o del conformismo con quelle che sono offerte – ma sarebbe più
corretto dire somministrate – come verità che pretendono di essere
inconfutabili per il solo fatto di essere sgradevoli o irritanti;
e quelle che si limitano a enfatizzare, cercando di renderli solenni o
appassionati, concetti di una
banalità disarmante, spesso racchiusi in frasi fatte, perfino in
idiomatismi d’accatto.
In entrambi i casi, a dispetto dell’effetto
che possono comunque riuscire ad ottenere perfino in chi abbia una
capacità critica adeguatamente sorvegliata, anche
una sbrigativa analisi è in grado di rivelarle invalide sul piano
della logica proposizionale, quasi sempre per tautologia o per
paralogismo.
Di
questo genere mi pare sia una frase come «ho giurato sulla
Costituzione, non sul Vangelo», che volentieri avrei evitato di
commentare su queste pagine, se non fosse che da quando è stata
pronunciata da Matteo Renzi (e non era la prima volta, perché era già accaduto nel 2011, nel 2013, nel 2014 e a febbraio di quest’anno)
sono stato raggiunto da numerosi inviti a farlo, in due o tre casi addirittura pressanti. Inviti nei quali,
pur con segno diverso, ho letto il retropensiero di chi da un
mangiapreti come il sottoscritto pretende un riconoscimento di
merito, come atto dovuto, in favore di un uomo politico da me
pesantemente maltrattato in numerose occasioni, ma qui – mi si dice
– indubitabilmente splendido campione di laicità.
E
allora comincerò col dire che aver
«giurato sulla Costituzione» non impedirebbe affatto a un
Presidente del Consiglio di poter ritenere non utile, né necessaria,
tanto meno indispensabile, anzi inopportuna o addirittura dannosa,
una legge che riconosca le unioni civili tra persone dello stesso
sesso. Proprio facendo appello alla Costituzione (art. 81), infatti,
e rinunciando a ogni altro argomento di natura etica o di stampo
confessionale, si potrebbe essere contrari alla sua approvazione,
ritenendo che comporti «nuovi oneri» (si parla di qualche centinaia
di milioni di euro) senza essere stata in grado di contemplare i
«mezzi per farvi fronte» (l’articolato
in merito li quantifica a meno di un decimo di quanto sarebbe
realmente necessario).
Di
converso: aver «giurato sul
Vangelo», impedirebbe a un Presidente del Consiglio di essere a
favore di una tal legge? Lasciamo stare il Vecchio Testamento, gli
Atti degli Apostoli e le Lettere di Paolo, lasciamo stare la dottrina
cattolica, le linee pastorali della Cei, che qui non sono chiamate
formalmente in discussione: in quale punto dei Vangeli si legge
esplicita condanna delle unioni tra persone dello stesso sesso? E
forse non esistono paesi – il caso principe è quello degli Stati
Uniti d’America
– nei quali chi al momento dell’insediamento
ai vertici degli organi più alti del governo locale o federale ha
giurato sulla Bibbia senza per questo sentire contraddizione
nell’esprimersi
in favore del matrimonio gay?
Via,
guardiamo ai fatti: è da tempo che in Italia non c’è
più un partito che raccolga la stragrande maggioranza di chi sente
appartenente al mondo cattolico; l’attuale
pontificato ha imposto alla Cei di abbandonare la politica ruiniana,
lasciando la difesa dei cosiddetti principi non negoziabili a frange
ormai minoritarie di tradizionalisti; nei confronti dei diritti
rivendicati dal movimento Lgbt l’opinione
pubblica ha mutato notevolmente il suo atteggiamento; rapidamente
mutato, è necessario aggiungere, se si pensa al fatto che Matteo
Renzi era fra i partecipanti al Family Day del 2007, a sostenere
ragioni che oggi, evidentemente, ritiene superate.
Concedo sia
possibile un’obiezione:
una genuina laicità è dimostrata proprio dall’essere
capace di avere, da Presidente del Consiglio, un’opinione
diversa da quella di un comune cittadino cattolico, recependo le
istanze di chi non intende essere prono ai veti della Chiesa di Roma.
È obiezione debole, perché Matteo Renzi, nel 2007, non era un
comune cittadino, ma Presidente di Provincia, e in più,
in opposizione a una legge che riconoscesse le unioni civili tra
persone dello stesso sesso, sosteneva che Governo e Parlamento
stessero commettendo «un
errore gravissimo»
a non cogliere «il
fatto storico di un milione di persone in piazza»:
è evidente che, da membro del Governo o del Parlamento, la sua
posizione sarebbe stata opposta a quella odierna. Ammesso e non
concesso che la sua affermazione odierna basti a dar prova certa di
una genuina laicità, deve trattarsi di acquisizione assai recente,
che, nell’impossibilità
di una controprova, è legittimo sospettare sia tutta funzionale a
raccogliere le simpatie di un’opinione
pubblica che nel 2007 non era favorevole, come invece lo è oggi, a
una legge come quella varata l’altrieri.
Non è un caso, infatti, che lo stralcio della stepchild adoption sia
seguita alla diffusione di sondaggi che la segnalavano come questione
assai controversa.
Mi
pare di poter concludere dicendo che siamo all’ennesima
prova di quel cinismo e di quell’opportunismo
che nei demagoghi del «populismo dall’alto»
mettono i sensori del vento che tira a servizio del consolidamento di
un potere personale necessariamente disintermediato. E aggiungerei
che proprio la scelta di una frase come «ho
giurato sulla Costituzione, non sul Vangelo» ne riveli il tratto più
spregiudicato. Non a sorpresa di avere un laico come Presidente del
Consiglio, ma a conferma di avere un uomo di merda come aspirante a
dittatorello.