Sulla
polemica accesasi con la divulgazione in audio del contenuto di una
conversazione privata tra Rocco Casalino e due giornalisti
di Huffington Post, credo si debba innanzitutto far chiara
distinzione tra la questione che sta al nocciolo di quanto affermato
dal portavoce della Presidenza del Consiglio e quelle che le si sono
immediatamente sovrapposte per riproporci ancora, ma a parti
invertite (il che ci dà misura di quanto siano idealmente motivate),
le solite risse tra gli estremisti della privacy e quelli della
trasparenza, tra chi sostiene il primato della politica e chi quello
della competenza tecnica, tra chi afferma che la forma è sostanza e
chi invece che della forma la sostanza può sbattersene i controcoglioni.
Comincerei
con lo sbarazzare il tavolo da queste ultime, per dare più
attenzione a quella centrale. Lo faccio ponendo alcune domande.
Solitamente, Huffington Post è benevolo col M5S? E Rocco
Casalino, scafatissimo com’è, non ha messo in conto che quanto
diceva a due giornalisti di quella testata venisse testuamente
riportato? A uno dei due non è data forse esplicita consegna di informare i suoi lettori che «nel M5S è pronta una mega-vendetta»,
ancorché di riferirla a «fonte parlamentare»? Era tutto
previsto, via, compreso il pressoché generale biasimo per il tono arrogante e
minaccioso: era necessario mostrare il muso duro ai tecnici del Mef,
occorreva che il muso duro fosse visto da tutti, per poterli poi
additare più efficacemente all’opinione pubblica come i soli
responsabili di un eventuale flop del Def. Il copione era già
scritto, comprese le repliche alle critiche, peraltro tutte
prevedibilissime.
Il messaggio è chiaro, e arriva nel modo più
efficace a tutti i destinatari: non solo ai tecnici del Mef, ma anche
a chiunque volesse assimilarli al titolare del dicastero per creare
spaccature nel Governo e attriti col Quirinale, perché – sia
chiaro – Giovanni Tria è «un ministro serio che si occupa dei
problemi degli italiani».
Fa ridere, chi chiede la rimozione di
Rocco Casalino dall’incarico affidatogli: è stato solerte
esecutore di ordini che venivano dall’alto e, a considerare le
dichiarazioni di Matteo Salvini sul caso, è assai probabile che la
cosa fosse stata opportunamente concordata tra i vertici di Lega e
M5S.
Tra due giorni non se ne parlerà più, ma intanto i tecnici del
Mef adesso sanno cosa rischiano e non potranno più ritenersi al
sicuro nella certezza, consolidata dalla pratica che ha accomunato
Prima e Seconda Repubblica, che i politici passano, ma i tecnici
restano.
Ma
veniamo alla sostanza del problema, che direi si possa porre in
questi termini: Rocco Casalino ha esposto in modo rozzo e volgare un
concetto che tra le personcine fini ed eleganti è noto come «spoils
system», e che peraltro è stato pienamente
recepito dalla nostra legislazione, con la legge n. 145 del 15 luglio
2002, che dalla Consulta ha avuto conferma di legittimità
costituzionale con la sentenza n. 233 del 16 giugno 2006.
Vi si legge
che «per
il conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale si tiene
conto, in relazione alla natura e alle caratteristiche degli
obiettivi prefissati, delle attitudini e delle capacità
professionali del singolo dirigente, valutate anche in considerazione
dei risultati conseguiti con riferimento agli obiettivi fissati nella
direttiva annuale e negli altri atti di indirizzo del Ministro»;
che
«con il provvedimento di conferimento dell’incarico,
ovvero con separato provvedimento del Presidente del Consiglio dei
ministri o del Ministro competente per gli incarichi [...], sono
individuati l’oggetto
dell’incarico
e gli obiettivi da conseguire, con riferimento alle priorità, ai
piani e ai programmi definiti dall’organo
di vertice nei propri atti di indirizzo e alle eventuali modifiche
degli stessi che intervengano nel corso del rapporto, nonché la
durata dell’incarico,
che deve essere correlata agli obiettivi prefissati»;
che «il
mancato raggiungimento degli obiettivi, ovvero l’inosservanza
delle direttive imputabili al dirigente [...], comportano, ferma
restando l’eventuale
responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel
contratto collettivo, l’impossibilità
di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale. In relazione alla
gravità dei casi, l’amministrazione
può, inoltre, revocare l’incarico
[…] ovvero recedere dal rapporto di lavoro».
Di
là dal ritenere giusta o no una legge che consente alla politica di
sbarazzarsi dei tecnici che a proprio insindacabile giudizio ritenga
incapaci o indisponibili allo scopo loro preposto, dov’è
la differenza con quanto ha detto Rocco Casalino? C’è
quell’antipatico
dare del «pezzo
di merda»
a chi si considera responsabile del «mancato
raggiungimento degli obiettivi» o,
peggio, dell’«inosservanza
delle direttive»,
e c’è
quella minaccia di «mega-vendetta»
invece di una più mite constatazione dell’«impossibilità
di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale»,
e infine c’è
quella «cosa
ai coltelli» che
dà un fastidioso eccesso di colore al ben più neutro «revocare
l’incarico»,
ma il giovanottone è un villico, esce dalla tv berlusconiana, cosa
si può pretendere?