Presentarsi
ad un comizio di Salvini con un cartello sul quale vi sia scritto
«ama
il prossimo tuo»
è una provocazione estremamente intelligente, perché denuncia con
un disarmante candore la patente contraddizione che c’è
tra l’impegno
di governare
«rispettando gli insegnamenti contenuti nel Vangelo»
(Milano, 24.2.2018), nel quale si legge un inequivocabile «ero
forestiero e mi avete accolto»
(Mt
25, 43), e la xenofobia, da sempre tratto peculiare della Lega, oggi
dissimulata in quel «prima
gli italiani» che
tenta di farle velo.
E
tuttavia provocazione resta.
Cosa
mette in conto di poter provocare, una provocazione del genere?
Dipende dal tipo di leghista che si provoca, direi.
Nel
caso del leghista da talk show, infatti, possiamo immaginare la
reazione con un buon margine di previsione. Molto probabilmente dirà
che non c’è
alcuna contraddizione, perché anche il Catechismo
della Chiesa Cattolica fa
presente che «le
nazioni più ricche sono tenute ad accogliere lo straniero nella
misura del possibile»
(2241). E a chi spetta stabilire la «misura
del possibile»,
se non a chi governa?
Questo,
nel caso in cui il leghista da talk show sia un tipino molto fine,
perché, se non lo è, dirà che, per numero di migranti accolti,
l’Italia
è assai più cristiana del Vaticano. Qui si fermerà, incassando
compiaciuto il meritato applauso, che, se troppo caloroso, potrebbe
trasformarlo per qualche istante in un leghista da social network,
facendogli scappar di bocca un «Bergoglio
non rompesse il cazzo»,
un «Saviano
ne ospitasse una dozzina nel suo attico a New York»,
un «Boldrini
andasse a farsi una gangbang con venti senegalesi»,
ecc. A onor del vero, tuttavia, occorre dire che questo ormai accade
sempre più raramente: il salviniano televisivo va migliorando
notevolmente nel controllo dell’istinto,
e c’è
da supporre che migliorerà ancora, finendo col sublimare il
Borghezio che si porta dentro in qualcosa a metà strada tra un
Rinaldi e un Fusaro.
Sul
piano antropologico non sono ancora maturi i tempi, ma prima o poi,
vedrete, avremo addirittura il leghista da talk show che ci proporrà
una più corretta esegesi evangelica: «prossimo»
– dirà – viene da «proximus»,
che
va
tradotto con «il
più vicino»,
«e
chi ci è più vicino, caro Formigli, un negher del Ghana o un
esodato di Brembate?»,
e lì probabilmente Formigli rimarrà spiazzato.
Suppongo
sia intuibile che dal leghista da comizio, invece, non ci si potrà
attendere niente del genere. Con o senza l’elmo
cornuto in testa, con o senza il fascio littorio tatuato in petto,
che tipo di risposta è immaginabile dia, in Piazza del Popolo, il
leghista da comizio? Gli passa davanti il tizio col cartello sul
quale è scritto «ama
il prossimo tuo»:
come reagirà? Può darsi che neppure riesca a cogliere la
provocazione, perché troppo intelligente (la provocazione, dico). Ma
può darsi pure che la colga. In tal caso, il candore con la quale la
provocazione è messa in atto sarà abbastanza disarmante da
disarmarlo?
Non
mi si fraintenda, so bene che, per il Testo
unico delle leggi di pubblica sicurezza,
un comizio cade nella fattispecie di «riunione
non privata»
(art. 18), alla quale dunque può partecipare chiunque. So
altrettanto bene che «tutti
hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero»
(Costituzione,
art. 21), con quanto ne consegue per la libertà di esprimere anche
il proprio dissenso a ciò che si ritiene lo meriti, ovviamente se
mondato da tutto ciò che costituisca offesa, insulto, ecc. Direi
che, in combinato disposto, queste norme mi consentono ampiamente di
andare ad un comizio della Lega con un cartello sul quale vi sia
scritto «ama
il prossimo tuo»,
ma pure di tifare Roma nella curva dello Stadio Olimpico che ospita i
tifosi della Lazio, e senza che nessuno possa torcermi un capello
fino alla fine del comizio o del derby.
In teoria, ovviamente. Perché
è probabile che
questo mi possa essere impedito da due o tre poliziotti che mi
prendano di peso e mi trascinino via dalla curva dello stadio o dalla
piazza, ritenendo prioritaria la tutela della mia incolumità fisica
rispetto alla libertà di poter far presente a Salvini che c’è
contraddizione tra il Vangelo e il Decreto Sicurezza o di cantare a
squarciagola «Grazie,
Roma!»,
quando la Roma segna, se segna. Nel secondo caso, sarà lecito da
parte mia il sospetto che quei poliziotti abbiano voluto ledere un
mio diritto, perché laziali o alle dipendenze della Società
Sportiva Lazio Spa? Sarò autorizzato a credere che le ragioni
d’ordine pubblico che mi verranno offerte a motivare il loro
intervento siano in realtà solo una scusa per odiosamente conculcare
la mia libertà di espressione? Sarei un fesso, non credete? E allora
perché devo credere che il tizio col cartello sul
quale v’era
scritto «ama
il prossimo tuo» abbia
subìto un torto nell’essere
allontanato da Piazza del Popolo? Di più: perché è in questo
episodio che sarei autorizzato a leggere i prodromi di una dittatura?
Chi
se ne sente autorizzato? Prendo a esempio Marco D’Ambrosio,
in arte Makkox, che qualche giorno fa twittava: «Non
visiono mai i pezzi di Diego [Bianchi,
in arte Zoro] prima
della puntata
[di Propaganda
live].
Ma,
l’altroieri,
Diego, al montaggio, mi ha chiamato e mi ha detto: “Marco voglio
farti vedere una cosa”. Ho pensato: mò in piazza, ma prima o poi
ci verranno a prendere a casa per una scritta, un disegno, una
parola».
È un tweet fesso o cosa? Per meglio dire: paventare la dittatura
leghista sta diventando un role-playing game o è un’ansia
vera, genuina, onesta? So bene che la domanda può risultare
offensiva. Diciamo che, in un contesto di vibrante allerta
antifascista come quella che pare essere diventata urgente premura di
ogni blogger perbenino, è una domanda che corre gli stessi rischi
che correva in Piazza del Popolo il cartello con su scritto «ama
il prossimo tuo»,
perciò nel proseguire mi appello alla libertà di espressione che qui
non dovrebbe essermi negata per il solo sollevare la questione di
quella che mi pare una patente contraddizione. Perché suppongo sia
evidente la contraddizione tra il sentirsi alla vigilia di un altro
Ventennio e il pensare che si possa scansarlo con trovate
situazionistiche del genere ideato in Piazza del Popolo o con le
battutine salaci e gli sferzanti sarcasmucci di un salottino
televisivo.
Ecco
direi di essere arrivato al punto: mi dà ragion di credere che
nessun fascismo sia alle porte il fatto che chi gode dell’accredito
di antifascista permanente si comporti in modo davvero poco serio. Se
fascismo avrà da essere, dunque, sarà altrettanto poco serio, forse
sarà addirittura altrettanto divertente. E giacché sarà possibile
solo come espiazione delle colpe di una sedicente democrazia non
all’altezza
delle istanze popolari – sennò che razza di fascismo sarebbe? – vorrà dire che espieremo con gaiezza.