Proprio
ieri m’era venuto l’uzzolo di fare un colpo di telefono al buon Mantellini, uno
dei sedici chiamati a far parte del Comité
de salut public,
al quale Andrea Martella, Sottosegretario alla Presidenza del
Consiglio con delega all’Editoria, aveva dato vita con apposito
decreto, lo scorso 29 gennaio, col mandato di «indagare
sull’odio in rete»
e di «studiare
soluzioni per contrastarlo».
Vi pare che il signor Sottosegretario potess’essere all’oscuro
del fatto che per la minaccia, l’insulto, la diffamazione e tutte
altre forme in cui l’odio si esprime ci sono già il codice penale
e la magistratura? Impossibile. Altrettanto impossibile che, non
essendone all’oscuro, nelle sue intenzioni ci fosse l’avocare al
potere esecutivo quello giudiziario. Era evidente, dunque, che nel
mirino ci fosse il mero sentimento d’odio, e contrastare un
sentimento, capirete, non è roba da poco.
Non se n’era saputo più
nulla, perciò stavo per prendere il telefono e chiedere: «Ohi,
Mante, siete operativi? State indagando? A che punto siete? Avete
pronta la fattispecie penale in cui ingabbiare il disdicevole
sentimento una volta che l’avrete stanato?».
Poi ho pensato che ci avrei rimediato la figura di chi in Blade
runner
importunasse Rick Deckard al sushi-bar chiedendogli: «Ehi,
Rick, come va ’sta caccia ai replicanti? Tosti, ’sti bastardi di
Nexus-6, eh? Quanti ne avete “ritirati” finora?»,
e allora ho lasciato perdere.
Neanche un quarto d’ora ed ecco che
sotto gli occhi mi passa la notizia che al signor Sottosegretario è
venuta un’altra bell’idea: «a
fronte della massiccia, crescente diffusione di disinformazione e
fake news relative all’emergenza Covid-19»,
stavolta ha dato vita a una «task
force» che
fra i suoi compiti avrà l’«analisi
delle modalità e delle fonti che generano e diffondono le fake
news»,
il «coinvolgimento
di cittadini ed utenti social per rafforzare la rete di
individuazione»
e il «lavoro
di sensibilizzazione attraverso campagne di comunicazione».
«Ottimo!»,
mi son detto, e subito m’ha preso una voglia matta di
«coinvolgimento»
nella «rete
di individuazione»,
cosa ben diversa – capirete – dalla delazione di chi urla dal
balcone alla gazzella dei Carabinieri: «Lì,
dietro l’angolo, correte! C’è uno che passeggia senza cane e
senza busta della spesa!».
E dunque ero pronto a dare il mio contributo alla lotta contro la
disinformazione.
«A
pochi giorni dallo scoppio dell’epidemia
– avrei voluto segnalare – il
Burioni diceva da Fazio: “In
Italia il virus non c’è, ha più senso preoccuparsi di meteoriti”.
Chi aveva febbre e tosse avrà pensato fosse solo influenza e sarà
andato tranquillamente ad ungere tutto il pronto soccorso più
vicino. E gli organizzatori di Atalanta-Valencia? “Ok, via libera,
Burioni dice che non c’è pericolo! Ma stiamo attenti ai meteoriti,
ché possono far buche nel manto erboso e falsare la traiettoria dei
rasoterra!”. E così sarà andata pure alla Baggina. Il nonnino starnutiva? Non poteva essere Covid-19, il Burioni l’aveva assicurato la sera prima: tutti a dargli una pacca sulla spalla e a dirgli: “Salute!”...».
Perciò mi ero messo in cerca di un e-address, di un numero verde,
insomma di un recapito cui far giungere il mio contributo. Niente,
non l’ho
trovato.
Invece mi sono imbattuto in un articolo a firma di Anna
Lombroso su Il Simplicissimus, di cui qui riporto la gran parte:
«Verrebbe
da sorridere per l’involontario effetto paradosso della ricerca
della verità da parte di chi possiede tribune e amplificatori,
seleziona le fonti, attribuisce autorevolezza o la demolisce allo
scopo di autorizzare disposizioni, accreditare misure, imporre
comandi, persuadere che regole inopportune e illegittime siano
giustificate dall’intento di agire nell’interesse popolare, e che
con tutta evidenza vuole tacitare qualsiasi forma di critica e
dissenso in nome dello stato di necessità.
Verrebbe
da sorridere per la composizione della task force, fatta tutta di
appartenenti alle cerchie riconosciute, accademici della
comunicazione e giornalisti, finalmente abilitati a dare addosso, a
zittire, a intimorire chi non appartiene a ordini, chi non gode delle
difese immunitarie delle caste e di quelle legali delle corporazioni,
con tanto di coperture assicurative in caso di sfacciato uso della
menzogna.
Verrebbe
da sorridere che l’idea sia venuta in seno a un Esecutivo che da
due mesi somministra numeri contradditori, manipola dati, adultera
statistiche, impartisce direttive impraticabili e confuse, dice e
smentisce, chiama a testimoniare la scienza e la sconfessa a
intermittenza, riducendo gli esperti al ruolo di opinionisti ben
visti se corroborano la scelta apocalittica e oggetto di pubblico
anatema se non la certificano.
Verrebbe
da sorridere perché in prima linea nella guerra a menzogne e
distorsioni ci sono proprio gli addetti ai lavori dei giornaloni che
da due mesi contribuiscono a un’operazione di “rappresentazione”
spettacolare dell’epidemia in termini sensazionalistici, tra
sussurri e grida in sostituzione dell’informazione, con le
supposizioni al posto dei dati, dell’acquiescenza a icone
improvvisate mai sottoposte a contraddittorio, favorendo l’irruzione
dell’immaginario all’interno della realtà, promuovendo una
percezione avvelenata dalla paura, condizionata dall’imposizione di
quello che vogliono mostrarci le telecamere, dall’allarme generato
dai titoli in sovraimpressione, dal confronto rissoso dei pareri
discordanti delle “convinzioni” dei tecnici, dalle cifre lanciate
come armi a scopo intimidatorio.
Verrebbe
da sorridere perché non cambia mai la natura delle censure, che
comprende quella finalità “pedagogica” intesa a tutelare una
massa immatura, a proteggere un volgo ignorante, a salvaguardare una
plebe puerile.
Invece
c’è poco da stare allegri, perché si ricompone quel disegno di
infantilizzazione del Paese, che perfino per me è un punto dolente,
se ogni giorno qualcuno mi chiede di non “scrivere difficile”, di
non usare termini che superino quel centinaio di parole in uso nelle
scuole, nei social, nella comunicazione istituzionale , nei giornali,
di “abbassare” il livello oltre che i toni per uniformarmi ai
requisiti che assicurano consenso.
Il
processo in Italia ha avuto molti promotori, le televisioni di
Berlusconi, certo, ma pure il gergo moderno e dinamico dei
“progressisti” prodotto e subito consumato nei Think Tank, la
decodificazione aberrante del linguaggio dell’economia e comunque
delle scienze inesatte, impiegata per prendere per i fondelli e
intimorire un popolino di bamboccioni indolenti, il lessico e la
fraseologia della “politica”, volontariamente o involontariamente
inadeguata a garantire partecipazione e riconoscimento, soprattutto
perché al livello mediocremente elementare della comunicazione fa da
controcanto l’esuberanza prolissa e barocca della produzione
burocratica e giuridica.
Così
mettere il bavaglio oltre che la mascherina a voci fuori dal coro
della retorica del terrore, dell’amor patrio, della compassionevole
beneficenza, prevede certamente la somministrazione a lungo termine
delle favole adatte a un popolo bambino. E non occorre tirare il
ballo Propp per sapere che le fiabe seguono schemi precisi e
paradigmatici, quelli dell’obbedienza agli ordini e alle regole, la
cui violazione comporta rischi mortali, perdersi nei boschi, essere
mangiati dai lupi, ingabbiati da streghe che mettono all’ingrasso
per arrostire il trasgressore, quelli delle prove da superare per
garantirsi la salvezza.
Non
ci resta che sperare che qualche Franti superi la stigmatizzazione e
qualche Pinocchio si slavi dall’anatema di chi una volta arrivato
in cima e per paura di ruzzolare, vuole la riconferma quotidiana del
suo status superiore grazie al disprezzo per la “gente”,
dimostrato anche con l’ostensione di una funzione educativa e
paterna.
Non
a caso la morale dell’apologo regressivo che ci viene raccontato
ogni giorno è proprio quella di Pollicino, di Cappuccetto Rosso,
quella della sottomissione docile e deferente, pena oscuri e mortali
esiti, fino all’attenersi a prescrizioni che sono le stesse che
hanno accompagnato la nostra infanzia: lavarsi le mani, non
frequentare cattive compagnie, voler bene a papà e mamma (ma da
lontano), apprezzare muratorini, carbonai e altri eroi anonimi che
lavorano per noi, esaltare l’identità patria, voler bene alla
bandiera e cantare l’inno nazionale, purché dalla finestra».
E niente, che vi devo dire, m’è passata la voglia di collaborare.