[Le
cose più sennate che ho letto sulle stragi che stanno insanguinando
mezzo mondo le ho trovate... Indovinate dove? Su Il Foglio.
Non rabbrividite, parlo de Il Foglio che esce il lunedì,
quello diretto da Giorgio Dell’Arti,
raccolta antologica di articoli apparsi su altri quotidiani e altre
riviste, talvolta anche sul web, nel corso della settimana
precedente. Il numero di ieri apriva con una miscellanea di brani
tratti da articoli di Guido Olimpio, Andrea Riccardi, Stefano
Montefiori e altri, cuciti assieme in modo assai efficace
come a ribattere le osservazioni di un interlocutore immaginario,
vergate probabilmente dallo stesso Dell’Arti,
a costruire un dialogo così vivo e brillante che non posso
trattenermi dal riportare su queste pagine. Tra le parentesi quadre
ci sono i rimandi alle fonti, elencate in calce.]
Rassegnarsi a convivere con
la morte?
Il fondamentalismo islamico
e la pazzia dietro agli attentati dei lupi solitari:
cosa possiamo,
cosa non possiamo fare e cosa dobbiamo sperare.
Questa
mattina, seduto in metropolitana, un po’ per gioco e un po’ per
ansia, mi sono chiesto: chi ha il volto dell’attentatore? Chi
potrebbe farsi esplodere o tirare fuori un coltello?
La
capisco, stiamo vivendo una lunga estate del terrore. In poche
settimane, dagli Stati Uniti all’Europa, abbiamo assistito a una
serie impressionante di attacchi. L’ultimo a Monaco di Baviera.
L’Isis, il folle, il veterano in lotta con la polizia, il
disturbato che prende in prestito una causa politica o religiosa. La
sintesi è brutale: la nostra società è sotto minaccia [1].
Sempre
seduto in metropolitana, ho pensato che sarebbe ora di prendere in
mano i fucili. Sarebbe ora di difendere con le armi i nostri
territori contro l’Isis.
La
capisco anche in questo caso, ma lei sta confondendo due problemi
distinti, anche se connessi. C’è il totalitarismo e il
fondamentalismo dell’Isis, o Is o Daesh (e mi scusi se qui
generalizzo un po’) con insediamenti territoriali, ramificazioni e
la sua propaganda, che si sviluppa in un mondo islamico carico di
contraddizioni e divisioni. D’altra parte, si moltiplicano in
Europa i radicali, i folli, gli antisistema, pronti a fare tanto
male, che vivono tra di noi [2].
Se
ho capito bene, quelli che fanno gli attentati in Europa per lei sono
solo dei pazzi? Ma guardi che rivendicano la loro fede, urlano «Allah
Akbar» mentre sparano sulla folla. Mi sembra un atteggiamento da
radical chic che dal suo lettino di Capalbio (ammesso che i radical
chic vadano ancora a Capalbio) cerca di minimizzare la minaccia
dell’Islam, riducendo tutto a una questione di follia.
Ma
certo, non tutti i terroristi sono pazzi, ovviamente, ma qualsiasi
pazzo oggi può ispirarsi all’Isis e improvvisarsi suo soldato. Una
volta i matti pensavano di essere Napoleone, oggi pensano di essere
l’Isis. Lo Stato islamico fornisce loro la copertura ideologica e
l’incitamento ad agire. L’Isis è in grado di organizzare
attentati complessi, ma è capace anche di accontentare chi vuole
suicidarsi finendo in prima pagina [3].
Ma
chi lo dice che questi terroristi che uccidono in nome dell’Islam
sono pazzi? Lei, guardando un uomo con un kalashnikov in mano, sa
distinguere un pazzo da un sano di mente?
Questi
i fatti: indagando per mesi sui foreign fighters, gli investigatori
francesi hanno scoperto che il 10 per cento di chi è partito per la
Siria o per l’Iraq è schizofrenico [4]; e nel rapporto annuale sul
terrorismo in Europa che l’Europol ha presentato la scorsa
settimana è scritto che circa il 35 per cento dei lupi solitari che
hanno compiuto attacchi tra il 2000 e il 2015 aveva problemi di tipo
psichiatrico [5].
Capisco,
ma non può negare che qui c’entri la religione e il
fondamentalismo islamico. E le rivendicazioni dell’Isis allora?
Possibile che nessuno di questi terroristi avesse contatti diretti
con membri o cellule dello Stato Islamico?
Certamente,
un lupo solitario può essere un terrorista dormiente addestrato in
Siria. Non tutti diventano combattenti al fronte, però. Chi non
riesce a partire per il Medio Oriente può essere facilmente
riciclato: sono i «lupi solitari» incoraggiati all’azione nei
Paesi in cui si trovano. Ma può anche essere – ed è questa la
minaccia più grave – un qualsiasi musulmano con problemi psichici,
oppure depresso da un matrimonio finito male, oppure propenso
all’assunzione di droghe, oppure perfettamente normale ma pieno di
rabbia per le sue condizioni di vita, che trova nella ideologia
apocalittica dell’Isis e nella sua propaganda multimediale una
apparente via d’uscita. Senza ricevere ordini da Raqqa, che ha poi
comunque interesse a etichettarlo e rivendicare l’attacco
terroristico [6].
Spesso
questi terroristi si islamizzano velocemente, va bene, ma sempre
fondamentalisti islamici sono.
Qui
non c’è un esercito di liberazione, guerriglieri che si
organizzano, qui c’è un patologico culto di morte. La follia di
Mohamed Lahouiaej Bouhlel, l’attentatore di Nizza, non è così
diversa, almeno dal punto di vista fenomenologico, da quella di
Andreas Lubitz, il pilota tedesco che si schianta sui Pirenei con un
aereo pieno di passeggeri, o anche da quella di Anders Breivik che
spara coi suoi fucili automatici nel corso di una festa politica a
Utøya, o da quella di Omar Mateen che irrompe armato in un locale di
Orlando e fa fuoco all’impazzata [7].
Troppo
filosofico.
Le
faccio esempio più comprensibile: Mohamed Bouhlel, l’uomo che si è
lanciato con un Tir sulla folla a Nizza del 14 luglio: non andava mai
in moschea, beveva alcol, era depresso e picchiava la moglie, il
padre in Tunisia dice che era pazzo. Ma le autorità francesi hanno
parlato di attentato islamista, e l’Isis lo ha rivendicato. Perché?
Ho letto qualche giorno fa un’intervista all’orientalista
francese Olivier Roy, che da tempo sostiene la tesi di una
«islamizzazione del radicalismo»: secondo lui persone disadattate,
nichiliste o squilibrate finiscono per abbracciare la causa jihadista
perché «è oggi l’unica davvero radicale sul mercato», quella
che garantisce il maggiore grado di rifiuto del mondo [3].
Suvvia,
messe così molte storie ricordano quelle degli assassini di massa
americani.
Certo,
il percorso di Mohamed Lahouaiej Bouhlel ricorda quello dei «mass
shooter» statunitensi che per lungo tempo macerano nei propri
tormenti, simulano una vita anonima e innocua. Poi all’improvviso
una scintilla, una situazione contingente che accende la miccia e li
trasforma in bombe. C’è un’evidente sovrapposizione tra le due
realtà: la prima appartiene al privato, la seconda arriva quando
scoprono l’impegno politico. In questa ultima veloce fase, il
killer sceglie il movente che preferisce per giustificare la sua
follia [4].
Io
forse ho studiato meno di lei, ma ricordo una frase di Cechov che fa:
«Chiunque può superare una crisi: è il quotidiano che ti logora».
Il ripetersi di attentati ha portato insicurezza, affanno, paura
nelle nostre vite. E lei mi parla di rifiuto del mondo, dice che non
dovremmo fare niente? Io credo che sia il momento di potenziare i
nostri apparati militari e di intelligence. Guardi François
Hollande, che ha deciso di schierare entro fine luglio 15mila
riservisti, di portare a diecimila il numero di militari schierati a
presidio di manifestazioni o eventi estivi.
Mai
come questi giorni l’intelligence internazionale è sotto scacco.
Perché le indagini sulla strage di Nizza hanno svelato che il piano
del massacro veniva preparato da mesi, senza che le autorità
francesi ne sapessero nulla. E la reazione delle autorità bavaresi
invece di isolare il pericolo ha allargato le dimensioni del panico,
trasmettendo allarmi crescenti e infondati, invitando una metropoli e
una regione a barricarsi in casa. È stata una pessima prova. Ma il
punto è che non esiste nessuna possibilità di prevenire i lupi
solitari. D’altra parte negli Usa i lupi solitari (da Columbine in
poi) esistono da un pezzo. È lo stesso fenomeno, l’unica
differenza è che si presenta con abiti diversi e in questo caso
l’abito è l’Islam [8].
Però
c’è l’esempio di Israele. Un’enorme attività di intelligence
e un popolo perennemente in armi. Servizio militare obbligatorio di
tre anni (un anno per le donne), con richiamo per tutti ogni anno,
fino a che non si sono compiuti 50 anni. In altri termini: una
mobilitazione generale continua.
È
vero, è un sistema molto efficace. Non si azzera il rischio, ma lo
si contiene. Loro accettano in pieno questo sistema militarizzato
perché si sentono e sono assediati da un pezzo e sanno che c’è
almeno un paese, l’Iran, che dichiara ufficialmente di volerli
annientare. Noi non abbiamo questa consapevolezza e nonostante tutto
ci sentiamo sicuri, parendoci impossibile che casi come quelli di
Nizza capitino proprio a noi [9].
C’è
però il caso della Gran Bretagna, che in passato fu bersaglio anche
di un terrorismo diffuso, dove sono stati investiti oltre due
miliardi di sterline per l’intelligence e la prevenzione: in
pratica per pagare centinaia di infiltrati e attirare nella rete i
candidati al jihadismo. Chiaro che questa non è una garanzia
assoluta di successo ma limita la possibilità di attentati, come
dimostra Londra.
Bisogna
però dirlo con franchezza: il terrorismo è una tecnica di
combattimento prima ancora che un’ideologia mortale che non può
essere sconfitto in maniera definitiva. Non ci sono realistiche
possibilità di cancellare il pericolo di subire attentati come la
quello di Nizza o di Monaco o del giovane immigrato che ha attaccato
all’arma bianca i passeggeri di un treno in Baviera [10].
Dovremmo
quindi abituarci a convivere con la possibilità di essere ammazzati
in una qualunque sera in un qualunque ristorante?
Esattamente
come ci siamo abituati all’idea che ogni anno, nell’indifferenza
generale, muoiano in macchina 3-4.000 persone. Fidiamo nel fatto che
la ripetitività del massacro gli tolga forza mediatica, quindi
significato. Come tutti i fenomeni di moda, verrà a sbiadire anche
questo [9].
Tutto
qui? Io rimango convinto che serva più vigilanza, più poliziotti
nei quartieri, più attenzione ai siti internet che arruolano i
disperati, più telecamere, più sermoni in italiano nelle moschee,
più controlli sui barconi...
Tutto
vero. Tutto giusto. Ma più ancora è importante avere la
consapevolezza, vigile ma non isterica, che può accadere anche da
noi. Ed essere, tutti noi, più presenti. Fare finta che possa
capitare solo agli altri non è solo inutile, è autolesionista [11].
Note:
[1] Guido Olimpio, CdS 23/7; [2] Andrea Riccardi, CdS 23/7; [3]
Stefano Montefiori, CdS 17/7; [4] Alessandra Coppola, Guido Olimpio,
Cds 17/7; [5] Marco Bresolin, La Stampa 21/7; [6] Franco Venturini,
CdS 17/7; [7] Christian Raimo, internazionale.it 15/7; [8] Gianluca
Di Feo, la Repubblica 23/7; [9] Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta
dello Sport 16/7; [10] Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 23/7; [11] Gian
Antonio Stella, Cds 23/7.