Gigi
Manca mi chiede un commento su ciò che Beppe Grillo ha scritto a
margine della discussione parlamentare sul biotestamento (Fine
vita
– beppegrillo.it,
22.4.2017), e con ciò mi mette in grande difficoltà, perché, al
pari di molti altri testi a firma del comico prestato alla politica,
anche qui è davvero temerario l’esser
certi di aver capito tutto. Questo, d’altronde,
è il motivo per cui, pur avendo spesso criticato le sue posizioni,
non ho mai affrontato in dettaglio il modo in cui le esponeva, e sì
che ho sempre ritenuto essenziale partire dal come
ci si esprime per arrivare a capire cosa
davvero si pensa. Qualche tentativo, in realtà, l’ho
fatto, ma confesso di aver incontrato le stesse difficoltà che ebbi
tanti anni fa quando lessi per la prima volta le Memorie
di un malato di nervi
di Schreber.
In
generale, direi che Beppe Grillo non sappia articolare le proprie
argomentazioni, per giunta quasi sempre scorrette (per conclusioni
che seguono da premesse infondate) o invalide (per conclusioni non
congrue a premesse che pure abbiano un qualche fondamento),
procedendo a balzi e a tonfi in un caotico assemblaggio di avvilenti
banalità e sgangherati paradossi, che in patenti svarioni lessicali,
grammaticali e perfino ortografici danno forma a insopportabili
sproloqui.
Anche
quello sul quale Gigi Manca mi chiede un commento non fa eccezione, e
tuttavia, pur a fatica, si riesce a rintracciare il fine che lo
muove: l’intenzione
è quella di costruirsi una terza posizione tra chi è contrario al
testo di legge passato alla Camera, e su di esso si prepara a dar
dura battaglia al Senato, e chi invece lo ritiene solo un primo
passo, per giunta timido, sulla strada che porta al diritto di scelta
eutanasica.
Ve
n’è
un buon donde. La scorsa settimana, intervistato da Cesare Zapperi
per il Corriere
della Sera,
Marco Tarquinio, direttore di Avvenire,
ha detto che «sono
tanti i cattolici che partecipano alle iniziative del M5S»
e che, «dal
lavoro alla lotta alle povertà, nei tre quarti dei casi abbiamo la
stessa sensibilità».
Sono
affermazioni che hanno sollevato molti mugugni in campo cattolico, al
punto che l’intervistato
si è dovuto affrettare a precisare di aver espresso solo opinioni
personali. È innegabile, tuttavia, che quest’ultimo
pontificato abbia dato un forte accento populista alla dottrina
sociale della Chiesa, rendendo suggestivamente simili su molti temi i
fervorini di Bergoglio e le intemerate di Grillo. Tarquinio, insomma,
ha fotografato una realtà di fatto, senza peraltro dimenticare di
rilevare il punto sul quale la sintonia viene a cadere: «Non
riesco a capire come
[i grillini] possano
portare fino alle estreme conseguenze il loro concetto di libertà su
temi eticamente sensibili come quello del fine vita e
dell’eutanasia».
Ecco,
dunque, la necessità di rigettare l’accusa
di estremismo costruendosi una posizione favorevole al biotestamento,
come d’altronde
lo è pure la gran parte di quanti in Italia si dichiarano cattolici
(almeno a quanto riportano i sondaggi), ma decisamente contraria
all’eutanasia,
dunque ossequiosa alla dottrina morale della Chiesa. E come poteva
essere resa meglio, questa contrarietà,
se non con un attacco ai radicali, gli unici ad essersene fin qui
fatti espliciti fautori, fino alla raccolta di firme a sostegno di un
disegno di legge di iniziativa popolare che a tuttora riposa nei
cassetti della Presidenza della Camera dei Deputati?
Grillo
li aveva sempre ignorati, i radicali. Per rompere l’isolamento in
cui le sue ciniche e opportunistiche giravolte lo avevano
precipitato, Pannella gli twittava con la boccuccia a cuoricino:
«Finalmente together? Lo sai che t’aspetto da tempo?», ma Grillo
non lo degnava neppure di un freddissimo «no, grazie!». Allora da
Pannella arrivavano gli insulti, perfino con qualche colpo basso: «Se
rifiuti il dialogo, rifai l’errore per il quale anni fa un
tribunale ti ha condannato: vai a sbattere, e ancora una volta sarai
di danno a chi ti dà fiducia», e Grillo niente, neppure uno
sdegnato «che miserabile!». Come non esistessero, i radicali. Che
poi è il miglior modo per farli soffrire sul serio, visto che pure
il parlarne male li esalta, dandogli comunque un segno che dunque esistono.
Mai
esistiti, per Grillo, i radicali. Ora, invece, è il caso di
prenderli in considerazione, ma solo per stornare nei loro confronti
l’accusa di «portare
fino alle estreme conseguenze il concetto di libertà su temi
eticamente sensibili»
che
Tarquinio rivolgeva ai grillini, e dichiararsi equidistanti,
di qua, da loro e, di là, dagli integralisti cattolici, che
d’altronde, dal vecchio pontificato a quello nuovo, si sono
ritrovati come orfani. In tal senso, non è da considerare poi tanto
assurda la definizione che Bersani ha dato del M5S affermando possa
essere considerato «una
forza di centro».
Su
molti temi, infatti, col crescere dei consensi attribuitigli dai
sondaggi, la cosa grillina ha già da tempo cominciato ad operare un
sensibile riposizionamento mirante ad accreditarsi come affidabile
forza di governo, e con lo stesso espediente che qui serve a
presentare come moderata la posizione sul fine vita.
Col
primo capoverso del suo lungo post, Grillo marca la distanza dai
paladini dei «valori
non negoziabili».
Dovrebbe essergli più facile che marcarla dai radicali, ma
stranamente s’avvoltola in modo assai infelice in una sconcertante
serie di infortuni logici.
«In
che modo –
attacca – un
parlamento, la legge scritta oppure ancora da scrivere, può
contenere in sé la più grande paura dell’uomo?».
È evidente che «la
più grande paura dell’uomo»
stia per perifrasi della morte, e già qui, allora, siamo dinanzi a
una premessa infondata, peraltro affermata con la categoricità che
«uomo»
dà
alla totalità degli uomini, fra i quali, invece, vanno considerati
quanti hanno più paura di soffrire che di morire, e che proprio
perciò ritengono di aver diritto ad uno strumento legislativo che
consenta loro di scegliere, in una data situazione, la morte
piuttosto che la sofferenza.
«Come
possiamo pensare
– prosegue – di
trovarci tutti d’accordo su qualcosa, la fine della vita per come
la conosciamo, che ognuno di noi vede e teme in modo differente?».
Qui siamo dinanzi ad un’altra
premessa infondata, ancorché formulata con l’espediente
della domanda retorica. Se, infatti, è vero che non possiamo avere
tutti le stesse opinioni riguardo alla morte, è pur vero che
ciascuno può averne riguardo alla propria, e nel caso del
biotestamento ciò che viene consentito a chi lo stende non implica
un giudizio, tanto meno una disposizione attiva, sulla morte altrui,
ma esclusivamente sulla propria.
«Nulla
è più soggettivo della morte»,
dice Grillo, e infatti è proprio questo che sta in radice alla
legittimità di poter decidere, quando possibile, del come e del
quando sia più opportuna la propria morte. E dunque, sì, ciascuno
può avere della propria morte un’opinione
diversa da quella di un suo simile, ma questo mette in discussione
cosa realmente la morte sia? No, di certo. E allora che senso ha
chiedersi in cosa consista «il
passaggio dall’essere vivi al non esserlo più»,
lasciando intendere che non esista una risposta certa, peraltro
proprio dopo aver opportunamente concesso che è possibile dare una
definizione oggettiva («in
modo scientifico»)
«dello
stato di vita e quello di morte»?
Dove vuol andare a parare, Grillo, con due premesse infondate, al
momento lasciate in sospeso, e una fondata, ma che porta a
conclusione che non le è assolutamente congrua?
È
presto detto: «C’è
solo una cosa chiara riguardo a questo tipo di argomenti: finiscono
per diventare la passerella di schieramento politico preferita
da coloro che non intendono affrontare la questione in sé ma,
piuttosto, vogliono dispiegare come ruote di pavoni il loro colore
morale. Invece di essere in contatto con temi potenzialmente
sconvolgenti si approfitta per schierarsi, pronti a dichiarare
“inaccettabile”
oppure “inammissibile”
l’argomento stesso».
Non è evidente l’eco
della condanna che Bergoglio ha in più occasioni scagliato contro i
politici che pensano di poter far carriera usando in modo strumentale
i cosiddetti «valori
non negoziabili»?
Come
marcare, invece, la distanza dai radicali? Sui contenuti relativi al
fine vita è oggettivamente assai difficile (basta dare una scorsa
agli interventi tenuti dai deputati del M5S nel corso della
discussione sul testo di legge, dove è evidente quanto il diritto di
autodeterminazione, che ha fatto da Stella Polare a più di una
battaglia radicale, sia pienamente fatto proprio dagli argomenti in
favore delle disposizioni anticipate di trattamento), e allora il
bersaglio, anche abbastanza in vista, resta quello che, con qualche
approssimazione per eccesso, potremmo definire habitus
radicale. Faccio riferimento a quella supponenza tutta radicale nel
pretendere di incarnare un superiore modello antropologico, che è
sempre stato il fianco che i radicali hanno offerto ai loro critici,
spesso con esiti catastrofici delle loro pur nobili iniziative.
«Ma
neppure possiamo fare la fine dei radicali»,
dice Grillo. «La
fine dei radicali»: già in questa locuzione sono evidenti tutte le ragioni che spingono
Grillo allo smarcamento da coloro che – dice – «nascono
da una posizione morale e basta, lì finiscono».
Giudizio che potrà sembrare ingeneroso, ma che in fondo coglie la
sostanziale differenza tra pannelliani e grillini, rimandando alla
sostanziale differenza tra Pannella e Grillo: entrambi padroni di
linea, roba e simbolo, entrambi istrionici, bizzosi e aggressivi, e poi contraddittori, cinici, opportunisti, stessi modi spicci e stessa voce grossa, entrambi insofferenti ad ogni critica interna o esterna al loro
movimento – e qui l’elenco
dei tratti comuni potrebbe procedere ancora per lunga pezza – ma il primo
aspirante al ruolo di papa laico (o almeno, come premio di
consolazione, a un seggio di senatore a vita, semmai per prendersi lo
sfizio di rifiutarlo prima e poi accettarlo, ma con sufficienza, come
Dylan col Nobel), il secondo a quello di piccolo padre o di grande
fratello.
[...]
Caro
Gigi, qui penso di potermi anche fermare. Il resto del post di
Grillo, infatti, è tutto speso a dare un colpo al cerchio e uno alla
botte, qui col precisare che «il
movimento non considera le posizioni morali, oppure religiose, come
di meno o più qualificate ad esprimersi in questo senso»,
lì col puntare l’indice
sui «moltissimi
parlamentari che si sono nascosti dietro improbabili atteggiamenti
morali in cerca di un autore politico a cui asservirsi».
In definitiva, direi che il post sia una lettera aperta alla Cei, la
quale, vedrai, saprà leggerla come si deve. E comportarsi di conseguenza. Almeno fino a quando i sondaggi daranno il M5S attorno al 30%.