«...
ci è permesso pensare
che il suo sacrificio fu perfetto...»
Jorge Luis Borges, Finzioni
«...
la verità viene sempre a palla...»
Panella-Battisti, Equivoci
amici
Con
la pubblicazione dei diari di Matteo Salvini (Milano, 1973 – Rio de
Janeiro, 2041) abbiamo finalmente spiegazione delle ragioni che lo
spinsero alla decisione cui gli storici hanno fin qui fatto cenno con
la locuzione presa a prestito dal titolo della collettanea di
autorevoli firme che Il
Mulino
diede
alle stampe a due anni di distanza dai fatti (AA.VV., La
grande puttanata,
2021), ed è spiegazione – occorre dire – che per mole e qualità
dei documenti raccolti in appendice non consente smentite, rivelando,
dietro la maschera grottesca che egli offrì ai suoi detrattori, il
volto di un fedele servitore dello Stato, tanto più nobile perché
capace di un sacrificio di cui decise di non avere riconoscimento in
vita, viste le disposizioni relative alla pubblicazione di queste
pagine solo venticinque anni dopo la sua morte. È così che solo
oggi, a quasi mezzo secolo da quel lontano agosto del 2019, sappiamo
come realmente siano andate le cose. Tanto
più preziosa, in tal senso, l’ampia prefazione a questi diari, a
cura di Cassiodoro Vicinetti, perché alla ricostruzione dello
scenario politico in cui si svolsero i fatti e alla dettagliata
cronistoria degli accadimenti, opportunamente richiamati al lettore,
accosta le congetture che gli osservatori del tempo imbastirono a
motivare quello che da tutti fu considerato un suicidio politico
(doviziosa la messe di virgolettati, frutto evidente di una
meticolosa ricerca in emeroteca).
Sul
crollo della Terza Repubblica nella sanguinosa guerra civile che
funestò l’Italia
tra l’autunno del 2020 e la primavera del 2022 (le stime ufficiali
parlano di 6.036 morti) sono stati scritti tanti volumi da poter
riempire cinque o sei scaffali, ma, com’era prevedibile,
l’attenzione s’è appuntata soprattutto ai momenti salienti di
quella che Gianfranco Pasquino definì «la
strage dei millennials», sicché i
prodromi della grande crisi, che prese i passi proprio dalla «grande
puttanata» di Matteo Salvini, sono
sempre stati troppo trascurati, sia dalla pubblicistica, sia dalla
storiografia. Così la sua figura, gravata dal pregiudizio che finì
per pesare sulla sua persona fin tra le fila della Lega, di cui perse
la guida nel febbraio del 2020 in seguito alla cosiddetta «congiura
dei giorgettiani», è a lungo
restata nell’ombra, relegata all’emblematico ruolo dell’«ennesimo
fesso che inciampa nella sua ὕβϱις»,
come sentenziò Massimo Cacciari (Corriere
della Sera, 8 gennaio 2020). Quanto
oggi emerge dalle pagine di questi diari impone una drastica
revisione del giudizio cui tutti fino a ieri ci eravamo uniformati:
il Matteo Salvini pubblico era un mero attore in scena, la parte che
recitava era in funzione di un disegno che almeno fino al dicembre
del 2019 ebbe la compiuta realizzazione prevista, e in favore ultimo
delle sorti del Paese, espressione dunque di un altissimo servizio.
Se le cose, poi, d’un
tratto, fuor d’ogni
previsione, presero la piega storta, non glielo si può imputare:
oltre a chiarire perché la sua non fu una «grande
puttanata»,
ma una mossa progettata ben diciassette mesi prima, e in solido col
Quirinale, il volume che oggi esce per i tipi della Einaudi nella
collana dei Millenni ci dà modo di assolverlo in pieno,
restituendogli l’onore
che tanto a lungo gli fu negato. Ma
forse sarà il caso di lasciar voce a qualche passo di questi diari.
«4 maggio 2018. A
colloquio da Sergio. Piena concordanza di vedute sulla situazione: il
risultato delle elezioni mette il Paese in pericolo. O si ritorna
alle urne, e allora avremo un M5S al 40%, oppure mettiamo in piedi un
governo che lo normalizzi. Do piena disponibilità. Rimandiamo a
lunedì per i dettagli».
«7 maggio 2018. Rivedo
Sergio. Stavolta è solo per un pelo che riusciamo ad evitare di
essere beccati a colloquio, sarà il caso di organizzare in altro
modo i contatti. Mi espone i problemi: situazione economica
insostenibile, clima sociale incandescente, l’Europa
che non aspetta altro si faccia un passo falso con la finanziaria per
mandarci la troika, la Libia è in ebollizione e il tappo messo da
Minniti minaccia di saltare. Insomma, siamo nella merda. Concordo.
Dice che in gioco è tutta la baracca, dobbiamo fare squadra, a
ciascuno la sua parte. Concordo. Mi sembra indugiare nell’espormi
la parte che ritiene spetti a me. Gli risparmio l’imbarazzo:
mi dico disposto a interpretare il nuovo Mussolini, faremo cagare
addosso quelli di Bruxelles, poi, dopo le Europee, ci inventeremo una
Liberazione e andremo a riscuotere il premio per aver salvato il
continente dalla deriva sovranista, flessibilità sul deficit,
indulgenza sul debito, revisione del Trattato di Dublino. Mi sembra
assai positivamente sorpreso del fatto che avevo intuito dove volesse
andare a parare. Dice che mi invierà via email un protocollo
d’intesa
per punti, dovrò rispedirglielo al più presto con le osservazioni
del caso. Cerco di stemperare la tensione buttando lì per scherzo un
“mi raccomando, su carta intestata del Quirinale,
voglio farmi bello coi posteri”. Non coglie l’ironia
e mi risponde: “Come preferisci”. Capisco che la
merda in cui siamo è proprio merda, e rabbrividisco».
«25 maggio 2018. Tutto è
definito al dettaglio, ho pronta la scaletta dei prossimi mesi.
Sergio mi ha suggerito di non risparmiarmi, di andarci giù pesante:
sarà opportuno che io calamiti il peggio del peggio che si muove nel
Paese, per poterlo poi neutralizzare al meglio con la mia “caduta”,
incanalandolo nella speranza di una rivincita, poi, si sa, se ne
perdono di beduini nelle lunghe marce nel deserto. Un’altra
preoccupazione che sembra stargli molto a cuore è quella di dare
alla Resistenza la sensazione di aver avuto peso sugli avvenimenti
programmati, ma capisco che allo scopo ha già il sostegno di altri
interlocutori. Gli faccio presente che il rischio di qualche
incidente è ineliminabile perché lavoriamo sulla lunghezza dei
cinque anni. Mi dice che va affrontato, non abbiamo altra scelta.
Anche stavolta cerco di alleggerire la tensione con una battuta:
“Nella migliore delle ipotesi, ci caverò la figura del
fesso; nella peggiore, tu sarai rieletto, tanto ormai con Napolitano
si è rotto il tabù”. Mi fissa per un istante come offeso e
tentato a dirmi che non se ne fa più nulla, poi mi cita il Borges
delle Tre versioni di Giuda. “L’hai letto?”,
mi chiede. Non l’ho letto. “E
leggilo”, mi fa. Gli prometto che lo farò».
«26 maggio 2018. Ma si
può essere così cretini? Che mi vanno a tirar fuori, i grillini?
Vogliono l’impeachment. Ma puttana di quella Madonna, dico io, è
il caso di mandare tutto in vacca con queste girate di culo? Chiamo
Sergio per sapere come muoverci al riguardo. “Niente – mi fa –
sono petardi di scavezzacollo. Tu, piuttosto, sorveglia gli incisi,
ché tra qualche mese dovrai affidarti al cuore immacolato di
Maria-sempre-vergine, altro che puttana”. Non posso che ammirare la
flemma. Cazzo, però, ’sti palermitani, che nervi d’acciaio!».
«1° giugno 2018. Si
parte. Oggi al giuramento quasi mi scappava un occhiolino a Sergio.
Ora comincia la parte più difficile: mese dopo mese accentuare i
toni, portare a galla il sedimento profondo, concentrarlo in me...
Credo di aver capito cosa intendesse Sergio nel suggerirmi quel
racconto di Borges. Sì, vabbè, però mettiamoci un “si parva
licet”».
«15 novembre 2018. Ho
chiesto un incontro a Sergio per valutare il pericolo posto dai
sondaggi sulla tenuta del governo: e se venisse in mente ai grillini
di stracciare il contratto per mettere un freno alla perdita di
consenso in favore della Lega? “Sta’ tranquillo, non lo faranno
mai: delle elezioni anticipate hanno una fifa blù e poi a Fico ho
fatto intendere che nel caso tu aprissi alla crisi, soprattutto se le
Europee dovessero confermare che hai raddoppiato i voti del 4 marzo,
sarebbe la maggioranza che loro hanno in Parlamento a fare la
differenza: qualsiasi soluzione avrebbe il mio appoggio pur di
sventare il pericolo che rappresenti”».
Tanto basti, lascio il resto
alla scoperta del lettore per non guastargli la sorpresa che gli
riveleranno le pagine scritte all’indomani delle Europee, quelle
dell’agosto e del settembre a seguire e, soprattutto, quelle che
coprono l’arco di tempo che va dallo scoppio della guerra civile
alla sua precipitosa fuga in Brasile.
Sappiamo come andarono le
cose: caduta del governo Conte I; accordo tra Pd e M5S per il Conte
II, dopo il via libera di Renzi e Grillo; uscita dal Pd di Renzi nel
settembre del 2019; caduta del governo dopo due mesi per il venir
meno della fiducia dei parlamentari renziani in occasione della
finanziaria; Mattarella costretto a sciogliere le Camere e a indire
le elezioni per il 19 aprile 2020; «congiura dei giorgettiani»
nel febbraio 2020; elezioni politiche, Lega al 41%, rapidissimo giro
di consultazioni, Mattarella dà l’incarico a Giorgetti per la
formazione del nuovo governo annunciando le sue dimissioni
all’indomani del giuramento; torbidi di piazza il 25 aprile, con 7
morti a Milano, 11 a Roma, altrettanti a Firenze e ben 28 a Bologna.
Il resto lo sapete.