domenica 25 novembre 2012

Il compromesso

L’amabile colloquio tenuto qualche giorno fa da Giuseppe Vacca e Francesco D’Agostino (Bioetica, stop alle «doppie morali»Avvenire, 21.11.2012) mi ha fatto tornare con la memoria agli ultimi mesi del 1973.
A quei tempi ero poco più di un ragazzino ed ero iscritto alla Fgci. I quattro articoli coi quali Enrico Berlinguer annunciava su Rinascita la svolta del compromesso storico portarono bufera nella sezione del Pci che frequentavo con grande assiduità. C’era chi era favorevole a prescindere, perché «le decisioni del Partito non si discutono», e chi più o meno efficacemente provava ad argomentarle, quelle decisioni, per lo più riprendendo gli argomenti di Enrico Berlinguer, e mettendoci del suo, secondo le possibilità. Questo era il donde di un Partito con la p maiuscola: una comunità che si fa chiesa non regge che sullobbedienza, puoi chiamarlo Spirito Santo o centralismo democratico. Poi, ovviamente, c’era chi era contrario, ma quello era il Pci ed essere contrari alle decisioni del Partito significava per lo più mugugnare un po’, per poi accettarle, oppure andarsene. E infatti alcuni andarono via, e io con quelli.

Furono mesi di un gran discutere, la passione faceva volare le sedie, insomma, tesi e antitesi cercavano la sintesi. Non voglio tirarla troppo per le lunghe, dal quel gran discutere traggo solo una battuta che in quei mesi fu assai ricorrente: «È solo tattica». In pratica, sì, il Pci si offriva al dialogo e alla collaborazione col mondo cattolico (sineddoche di Dc) ma rimaneva il Pci di sempre. Era proprio quello che affermavano i cattolici (sineddoche di democristiani) contrari all’ipotesi di compromesso storico (non tutti, ma la maggioranza, sì). Era un modo di leggere la posizione del Pci sulla «questione cattolica» che era tornata comodo a Pio XII e a Palmiro Togliatti, ma era davvero quello il punto? In altri termini: le due culture erano poi così inconciliabili? C’era davvero antitesi irriducibile tra i due modelli di individuo – anzi, di persona – che proponevano?
Be’, io non l’ho mai creduto. Anzi, per dir meglio, ho cominciato proprio allora – una quarantina d’anni fa – a credere che le innegabili differenze tra un cattolico e un comunista siano tutte di superficie: nel fondo, lì dove le dottrine si riducono a un umore, a un atteggiamento, a una postura psicologica, un comunista e cattolico – un Giuseppe Vacca e un Francesco D’Agostino, per tornare all’incipit – si somigliano più di quanto sembrerebbe lecito supporre.

Qualche esempio? «Nella vita concreta e nell’evoluzione della orale comune hanno un’influenza esorbitante i processi di secolarizzazione a prospettiva nichilistica», chi può averlo detto? Il «vecchio comunista italiano di impronta togliattiana», come si autodefinisce Giuseppe Vacca.
«Invochiamo una nuova alleanza tra credenti e non credenti che ci pare la premessa fondamentale per evitare il bipolarismo etico e cercare di rompere la spirale secolarizzazione-nichilismo facendo crescere un umanesimo condiviso», chi può averlo detto? Sempre lui, Giuseppe Vacca.
«È difficile affermare che la disponibilità sulla mia vita sia un diritto individuale, poiché non mi sono autogenerato», chi può averlo detto? Sempre lui, Giuseppe Vacca.
«L’amore l’affetto, la solidarità sono importanti, ma quello che definisce la famiglia o la generazione», l’avrà detto Francesco D’Agostino? Macché, l’ha detto Giuseppe Vacca. Francesco D’Agostino si limita a chiosare, comprensibilmente soddisfatto: «Sono affermazioni molto impegnative queste di Vacca… Apprezzo moltissimo quanto ha detto Vacca…».
Comune umore, comune atteggiamento, comune postura psicologica – dicevo. Poi, certo, può darsi che l’art. 7 della Costituzione sia stata una furbata di Togliatti, può darsi che l’elogio di santa Maria Goretti fatto da Berlinguer sia stato un strizzar d’occhio, può darsi, insomma, che si sia consumato anche del tatticismo. Ma quanto Vacca dice a colloquio con D’Agostino rivela affinità profonde che hanno in solido lo stesso modello di persona e di società.

«È giunto il tempo che cattolici e no capiscano che bisogna rimboccarsi insieme le maniche, perché il bene umano non è né confessionale, ne meno che mai ideologico: semplicemente è il bene di tutti», auspica D’Agostino: è la sua offerta di compromesso storico. Ora che i comunisti non sono più pericolosi – lo dimostra il fatto che a loro nome parla uno spelacchiato togliattiano che la storia ha chiuso in una stanza piena di libri – il compromesso è possibile: in nome del «bene comune», che poi è l’unico bene valido per tutti, quello che a tutti può e deve essere imposto – per il loro bene, appunto – e quale sia ce lo faremo spiegare da chi ci conosce meglio di quanto noi conosciamo noi stessi. Tutt’altra cosa del bene di ciascuno nel rispetto del bene altrui – quello, si sa, è nichilismo.


Nota
Mi accorgo solo adesso che Sandro Magister commenta il dialogo tra Vacca e  D’Agostino, titolando Da Gramsci a Ratzinger. Ecco, perfetto.

2 commenti:

  1. Ma come? Ma non lo sa, che la cultura cattolica e quella comunista 'han solo fatto del bene al nostro paese', come da tempo ricordiamo Anskij ed io? Ma non si è accorto dei clamorosi progressi che il nostro paese ha compiuto, grazie all'impazzare di quelle due culture in ogni angolo dell'italico stivale? Mi meraviglio di Lei, che è sempre così attento...
    :-D
    Stia bene, sempre utile passar di qua.
    Ghino La Ganga

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  2. siamo spacciati

    Beh, d'altra parte non è una novità.

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