“Gli agenti dell’Fbi lo hanno bloccato intorno a mezzogiorno davanti alla sede del ministero del lavoro a Washington, a due passi da Capitol Hill. Amin Khalifi, 29 anni di nazionalità marocchina, era convinto stesse per compiere un attacco suicida contro il Congresso. Ma in realtà la sostanza che portava indosso, sotto una veste, non era esplosiva. A fornigliela sarebbero stati alcuni investigatori che lo controllavano da settimane, e che per incastrarlo si sono spacciati per emissari di al Qaeda. L’indagine dell’Fbi sarebbe partita più di un anno fa, dopo che alcune conversazioni telefoniche dell’uomo - arrivato negli Stati Uniti a 16 anni e da tempo immigrato clandestino, residente ad Arlington, in Virginia - sarebbero state intercettate. Conversazioni in cui Khalifi avrebbe parlato della sua intenzione di compiere un attentato. Qui è scattata la trappola degli agenti dell'Fbi che, spacciatisi per membri dell’organizzazione terroristica numero uno al mondo, avrebbero fornito all’uomo un finto abito-bomba ed una pistola non funzionante” (America Oggi, 18.2.2012).
Non andava espulso appena è stato identificato come immigrato clandestino? Si è preferito lavorarlo, e per un anno, dando solidità alle sue intenzioni, chissà quanto solide inizialmente, e fornendogli assistenza, sebbene fosse tutta ingannevole, fino a munirlo dei mezzi, anche se inefficaci. Potremmo dire che la colpevolezza di Amin Khalifi è stata pazientemente costruita: il terrorista è stato confezionato a partire da qualche sua frase colta da Echelon.
Ho molte perplessità su questo modo di combattere il terrorismo: quella dell’Fbi non è stata una indagine, come è stata definita, ma una operazione; un attentato è stato sventato, ma dopo averlo incoraggiato e in buona parte preparato; le risorse impiegate a tale scopo sono state spropositate rispetto al risultato, anche concedendo che avessero come secondo fine quello deterrente. Perplessità sul piano della legalità, relativamente al metodo, ma anche nel merito, cioè riguardo la reale efficacia di tali strumenti.
Ricorda un po' il metodo Ganzer, che qui in Italia e' stato condannato in tribunale almeno
RispondiEliminaSi vede che da quando hanno fatto secco Bin sono a corto di lavoro. La crisi evidentemente si sente anche all'FBI.
RispondiEliminaForse pubblicizzando casi come questo in realtà gli statunitensi stiano cercando di seminare l'incertezza tra i potenziali terroristi riguardo alla autenticità dei mandanti. Una specie di guerra psicologica insomma.
RispondiEliminaMeno male che, adesso, dan loro armi ed esplosivi finti. Una volta li rifornivano con quelli veri, poi avran pensato che - visti i precedenti - qualcosa può sempre andar storto. Probabilmente, negli USA, le barzellette hanno come protagonisti quelli dell'FBI, anziché i carabinieri.
RispondiEliminaCondivido. Bel modo di spendere i soldi dei contribuenti.
RispondiElimina...non c'era uno della digos che quando voleva una licenza premio metteva una bomba su un treno e poi la trovava?
RispondiEliminaA tal proposito:
RispondiEliminahttp://libertarianation.org/2012/02/20/kill-me-softly-with-my-money/
Letta cosi la notizia fa quasi ridere!
RispondiEliminaSempre più spesso i servizi segreti sono coinvolti dietro le quinte degli attentati terroristici (vedi quante bombe non espose in attentati in UK - e non credo proprio che siano state tutte dovute all'inesperienza degli attentatori, gli stessi che hanno imparato a pilotare aerei di linea..). Il fatto che questo caso sia stato proposto alla stampa in questo modo sa molto di trovata da campagna elettorale.
Se il tizio fosse stato rimandato in Marocco semplicemente sulla base di una violazione della legge sull'immigrazione, e senza che gli USA avessero fatto l' "occhiolino" al Marocco per tenerlo sotto controllo e/o processarlo, la minaccia (reale o fittizia) di un attentato negli USA non sarebbe stata risolta.
bayni8081
Freud forse parlerebbe di un atto mancato, nel senso che l'FBI è stufa di dover continuamente dire che loro non sono colpevoli.
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