martedì 29 aprile 2014

Cinque o sei cavolate


Stupisce che a Luigi Manconi possano essere scappate tante cavolate, tutte in una volta e per giunta così grosse, come quelle che oggi stipavano il suo Clericali e no (Il Foglio, 29.4.2014).
La più grave: «La teoria della riduzione del danno […] si nutre anche di un fondamento teologico quale la concezione del “male minore”». Si tratta di un errore grosso come una casa, perché «di due mali scegliere e perciò compiere il minore non è lecito, se si tratta di due mali morali ossia di due operazioni che sono in se stesse violazione della legge morale»: «un male [infatti] non diventa bene o lecito, perché c’è un altro male più grande, che si potrebbe scegliere», sicché «la comparazione con un altro peccato non toglie la malizia del primo» (Dizionario di Teologia Morale – Editrice Studium, 1969). Tanto più grosso, l’errore, se questo insussistente «fondamento teologico» viene chiamato a fornire «una motivazione cristiana nel volere, sia pure solo in casi estremi, la legalizzazione dell’aborto»: come si può ignorare, infatti, che l’aborto è sempre «gravemente contrario alla legge morale» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2271), anche quando la gravidanza sia frutto di stupro o di incesto, e perfino se metta a rischio la salute fisica o psichica della gravida? Luigi Manconi sembra non esserne a conoscenza.
Seconda, per gravità di errore, l’affermazione che segue ad una considerazione banalmente ovvia, e cioè che l’«anticlericalismo non equiv[alga] a spirito antireligioso e anticristiano»: Luigi Manconi aggiunge «bensì al suo esatto contrario». Ora, è un dato incontestabile che esista un anticlericalismo che «auspica il rinnovamento all’interno della Chiesa», e che nasce proprio al suo interno, in reazione ad un clericalismo inteso come «degenerazione dell’esperienza di fede», non di rado proprio grazie all’opera di membri del suo clero: è l’anticlericalismo tipico dei movimenti di riforma da cui la Chiesa è periodicamente scossa, ma non è il solo. C’è anticlericalismo, infatti, che non si limita a denunciare le colpe del clero come manchevolezze del mandato apostolico, ma che contesta lo stesso mandato, nelle sue forme e nei suoi contenuti: è l’anticlericalismo che rigetta ogni dimensione trascendente, e che a buon titolo può dirsi «antireligioso e anticristiano», anche con un certa fierezza, diciamo. Luigi Manconi sembra non esserne a conoscenza.
Nel terzo, nel quarto e nel quinto errore, invece, incorre quando affronta una vicenda che nei giorni scorsi ha conquistato qualche spazio sui media, dopo averlo disperatamente cercato. Luigi Manconi afferma che fare scioperi della fame e della sete, peraltro a singhiozzo, possa intendersi come «testimonianza cristiana e, per certi versi, cristologica». Un cristiano potrebbe considerarla affermazione blasfema, qui possiamo limitarci a correggerla dicendo che questo tipo di testimonianza sta al martirio dei cristiani e alla passione di Cristo come l’opistono isterico sta a quello tetanico. In quanto al fatto che «l’organismo che dimagrisce e ingrassa, che si ritrae e si espande, che si rattrappisce e si gonfia, che deperisce e infragilisce e che si riprende e si rafforza, costitui[rebbe] la più importante manifestazione d[i una] capacità di compassione» come «rappresentazione autentica del dolore e “teatro della crudeltà” della vita vera che viene mortificata fino all’annichilimento nei luoghi di privazione della libertà», vien da chiedersi se per caso Luigi Manconi abbia intenzione di prenderci per il culo, tanta è l’enfasi che mette nel farci la perifrasi di una patetica sceneggiata all’ennesima replica. Scrive, infine: «Tutto ciò può apparire a molti insopportabile narcisismo e monotona reiterazione. E forse lo è». Dove l’errore, il più lieve della serie, sta nel «forse», che è di troppo. 

6 commenti:

  1. Dedicato a Luigi Manconi (dal minuto 0.35).
    LB

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  2. Fuori da chiose nel merito specifico di Teologia Morale (a parte che non si comprende come lo sciopero alimentare possa intendersi 'testimonianza cristologica' trattando quest'ultima esclusivamente delle due nature del Cristo), altrettanto non si comprende come in questo caso il possibile,naturale,giustificabile e fisiologico loop geriatrico del Sen.Manconi dall'esegesi di Ombre Rosse e dalla difesa del garantismo debba spingersi nella profondità della catechesi.
    L’acne giovanile (- in alcuni casi - ) si cura con la vecchiaia. Sostiene Totò.

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  3. Non voglio sparare su Manconi, di cui penso quasi tutto il male possibile. Mi fermo ai tuoi argomenti. La descrizione del secondo errore di Manconi è corretta, ma, mi pare, incompleta. Se chiamiamo, con giustificabile anacronismo, “anticlericalismo” quello che si manifestò nei “movimenti di riforma da cui la Chiesa è periodicamente scossa”, allora abbiamo, certamente, quello che «auspica il rinnovamento all’interno della Chiesa», puntando le degenerazioni del clero. L’esempio più famoso ne è Guicciardini, per non parlare di quello col cui nome mi firmo. Abbiamo anche, è naturale, quello «antireligioso e anticristiano». Ma in mezzo ai due ce n’è stato un terzo, quello dottrinario. E’ anacronistico chiamarlo anticlericalismo, ma qui sopra abbiamo sanato la questione terminologica. Le posizioni dottrinarie che negano o diminuiscono la funzione di intermediazione del clero nel procurare la salvezza ai fedeli sono la forma storicamente più incisiva di anticlericalismo, tanto è vero che hanno portato alla divisione del mondo cristiano.

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    1. Osservazione formalmente corretta, ma la dimensione ecclesiologica (quella che muove l'istanza di riforma) è anche dimensione teologica: mettere in discussione "la funzione di intermediazione del clero nel procurare la salvezza ai fedeli" (e, visto che il riferimento è al protestantesimo, direi pure la funzione di intermediazione del clero nell'approccio dei fedeli ai testi sacri) è mettere in discussione un assunto teologico - di qui il mio accoglimento della tua osservazione - che è anche, e neanche tanto secondariamente, ecclesiologico, dunque storico o, se vuoi, politico. Il fatto è nel cattolicesimo, col concepire l'ecclesia come corpo mistico di Cristo, i due piani (teologico ed ecclesiologico, e dunque anche dottrinario e canonistico) sono sostanzialmente assimilabili (leggi la "Lettera dell’Episcopato al Clero" del 25.3.1960, mi pare il documento ufficiale che meglio rappresenti tale assimilabilità). Perciò non sono d'accordo sul fatto che sia "anacronistico" chiamare "anticlericalismo" quello "dottrinario": a mio parere, lo è di fatto e di diritto, basti pensare al sacerdozio laicale (rectius: apostolato laico) del protestantesimo e a ciò che ne consegue sul piano ecclesiologico. D'altronde, l'anticlericalismo "ecclesiologico" di Lutero (polemica sulla simonia, sulla corruzione della Roma papalina, ecc.) muove dalla riflessione sul rapporto tra fede e grazia.

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    2. Sì, d'accordo, ma io volevo solo rimarcare come il termine anticlericalismo sia entrato nell'uso molto più tardi. Il fenomeno invece è, come tutti sanno, ben precedente al secolo XVI. In ogni caso, si tratta di un fenomeno di reazione alla posizione presa dalla chiesa nel secondo millennio, e si accompagna proprio alla funzione di intermediazione obbligatoria assunta dalla chiesa riguardo alla salvezza, per affermare la quale l'invenzione del Purgatorio è a un tempo necessitata e geniale, con tutto quello che si porta dietro. Come ogni intermediazione, per avere successo deve impedire gli scavalcamenti: di qui il monopolio dei chierici nella lettura e commento delle scritture. E come ogni intermediazione non necessaria, cioè parassitaria, deve essere imposta con la forza, e genera invariabilmente abusi e corruzione. Il risultato finale è un coacervo difficilmente sceverabile di falsità, abusi e comportamenti reprensibili. Ma i riformatori sceveravano molto bene, ossia non gli sarebbe bastato che il personale ecclesiastico tenesse un comportamento irreprensibile e smettesse di vendere indulgenze. Per questo, a mio parere, il termine "anticlericalismo" è troppo sintetico e, appunto, anacronistico per descrivere l'opposizione alla chiesa di Roma che sfociò nella riforma.

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    3. Sulla questione meramente terminologica concordo e in tal senso mi sovviene l'acuta riflessione di Artuto Carlo Jemolo che afferma che clericalismo ed anticlericalismo sono praticamente nati insieme, quando ancora non si chiamavano così, e che hanno assunto il termine che li designa in funzione reciprocante. In tal senso, sì, almeno dagli anni 40 (e forse anche dagli 30) del Novecento, il termine anticlericalismo connota una serie di problemi che attengono strettamente a una stagione storica. Per quanto mi riguarda, e per il poco che conta, il termine anticlericale non mi ha mai convinto del tutto e ho sempre preferito quello di laicista. E suppongo che, in relazione al contesto cui fa riferimento il post e, più in generale, in relazione all'uso che si fa del termine anticlericale, si possa concludere che sia termine troppo ambiguo per descrivere una posizione sistematica.

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