Il
risultato conseguito dal Pd di Matteo Renzi alle Europee trova ulteriore
ridimensionamento nell’analisi dei flussi elettorali elaborata dall’Istituto
Cattaneo: «Il primo flusso di voti dominante è quello da Scelta civica al Pd.
Assistiamo a uno svuotamento dell’area della coalizione che faceva capo a Mario
Monti nel 2013, a quasi totale favore del Pd. […] Il secondo flusso altrettanto
chiaro ed evidente è quello che conduce voti dal M5S all’astensione. […] Il
terzo flusso è quello che porta voti dal Pdl all’astensione. […] Su due ulteriori punti concentriamo la nostra
attenzione. Ci chiediamo cioè se non ci siano stati flussi di voto importanti
da Pdl a Pd (s’è parlato a lungo dell’appeal dello stile “berlusconiano” di
Renzi verso elettori “forzisti”) e dal M5s verso il Pd (anche in questo caso
s’è ipotizzato un “ritorno a casa” di elettori già Pd, incantati un anno fa
dalla sirena grillina, oggi da Grillo delusi). Questi flussi nei nostri dati
quasi non esistono. […] Da dove ha preso i voti il vincitore di queste
elezioni? […] La forza del Pd sta nell’aver saputo mantenere i propri consensi
precedenti senza perderli sulla strada dell’astensione. La seconda componente
per rilevanza del voto al Pd è quella […] proveniente da Scelta civica. C’è poi
una terza componente, che […] si presenta come minoritaria, proveniente dal M5S.
Il contributo di elettori provenienti dal Pdl è infine del tutto trascurabile.
[…] Verso chi hanno perso i voti i due sconfitti, e cioè il Pdl e il M5S? […]
Per quel che riguarda il M5S, […] pesanti perdite verso l’astensione. […] Quanto
al Pdl, le perdite verso il non voto sono state ancor più pesanti. […] Per
concludere. Ancora una volta gli attraversamenti del confine sinistra-destra
sono stati modesti. Il successo di Renzi si è costruito sulla tenuta
dell’elettorato Pd nei confronti dell’astensione, sulla conquista del bacino di
Scelta civica, sul cedimento di elettori M5S e Pdl verso l’astensione. […] In
una elezione politica, nella quale l’astensione giocasse un ruolo meno
importante rispetto a quello naturalmente avuto in una elezione “di secondo
ordine”, è possibile che non pochi elettori ora astensionisti possano rientrare
nei ranghi di partenza, sia di Forza Italia che del M5S».
È un
ridimensionamento di tipo qualitativo, perché riduce a bolla, molto
probabilmente effimera, quello che si sta celebrando come
«terremoto politico»,
«evento» dopo il quale «nulla
sarà più come prima». «Evento» che, d’altronde, rivela tutta la sua aleatorietà
in quel ridimensionamento di tipo quantitativo che fin da subito era già tutto nei numeri, a volerli leggere: al Pd, infatti, stavolta sono andati 11.172.861 voti, meno dei 12.095.306 del 2008, meno degli 11.930.983 del 2006, e meno pure della
somma dei voti andati ai Ds e alla Margherita nel 2001 (6.151.154 + 5.391.827) e di quelli che nel 1994 andarono al Pds e al Pp (7.881.646 + 4.287.172). Fatta
eccezione per le Politiche del 2013 (8.646.034) e per le Europee del 2009 (7.999.476),
insomma, il Pd non ha mai preso meno voti di quanti ne ha presi il 25 maggio 2014.
Un risultato mediocre che l’astensionismo ha gonfiato a dismisura e che ora solo la rincorsa al carro del vincitore, l’inguaribile conformismo nostrano, impedisce di considerare nelle reali dimensioni.
Un risultato mediocre che l’astensionismo ha gonfiato a dismisura e che ora solo la rincorsa al carro del vincitore, l’inguaribile conformismo nostrano, impedisce di considerare nelle reali dimensioni.