Più
o meno un anno e mezzo fa ho scritto che sarebbe «buona
norma, quando si polemizza, essere onesti con gli altrui argomenti e
usare toni garbati»,
ma che purtroppo questo «non
sempre è possibile»,
perché «spesso
fallacia chiama fallacia, sarcasmo chiama sarcasmo, e qualche volta
la polemica degenera in rissa»,
sicché, «quando
voglio evitare che questo accada, e tuttavia sento irrinunciabile la
polemica avverso una tesi che ritengo insostenibile»,
ho l’abitudine
di «prendere
in considerazione solo gli argomenti che in sostegno di quella tesi
sono prodotti da persona di riprovata onestà intellettuale e
d’indole affabile».
Eccomi, dunque, a prendere in considerazione gli argomenti che
Formamentis
ritiene destituiscano di fondamento la mia convinzione che Matteo
Renzi costituisca un grave pericolo per la democrazia, non prima però
di confessare di essere lieto che Formamentis
abbia voluto che questo scambio di opinioni sia pubblico, per darmi
modo di ricalibrare meglio il giudizio estremamente duro che ho
espresso su chi la pensa come lui, e che mi ha procurato alcuni
severi rimproveri. Qualche giorno fa, infatti, ho scritto che
considero un «fiancheggiatore»
di Matteo Renzi chiunque minimizzi la gravità delle sue
scelleratezze, soprattutto poi se col sarcasmo nei confronti di chi
le ritenga articolate in un processo di deriva autoritaria teso a
fare della democrazia formale un guscio vuoto di ogni sostanza, né
sono riuscito a trovare attenuanti alla buona fede che concedevo
possa pure motivare questa complicità di fatto, perché l’ho
definita, seppur con sofficissime perifrasi, da fessi: quei fessi che
non sono mai mancati a sottovalutare i prodromi di ogni catastrofe,
pensando che bastasse toccarsi le palle per scongiurare i pericoli
segnalati da una Cassandra.
Bene,
per affrontare la questione, Formamentis
è l’interlocutore
ideale. Tutto è meno che fesso. Sa polemizzare senza incorrere in
scorrettezze. Nel
post col quale mi interpella,
poi, quasi a far presente che non ha alcuna intenzione di cedere al
sarcasmo, propone che la discussione abbia uno scanzonato registro
ironico e autoironico. Infatti attacca così: «Ne
discutevo oggi con Luigi: stiamo scivolando verso una dittatura
mascherata, finiremo come la Bielorussia? Questo non credo».
«Questo
non credo»:
nell’uso
di una frase che evoca il Razzi di Crozza vedo l’invito a toni
leggeri, che accetto con piacere. E dunque: (1) «che
ci sia in questo momento una posizione dominante di Renzi è
evidente, ma questo principalmente per la pochezza degli avversari»;
(2)
«quella
di Renzi non la vedo come un’egemonia
tale da impedire la riorganizzazione e la futura affermazione
dell’avversario,
[...] ma a questa alternativa si dovrà pur dare il tempo di
riorganizzarsi»;
(3) «io
penso che la democrazia oggi si trovi svuotata non tanto da Renzi
quanto dalle stringenti necessità del sistema economico e
finanziario con le quali si trova a fare i conti»;
(4) «mi
piacerebbe capire cos’è
democrazia per Luigi: quando possiamo sostanzialmente esserne certi,
quando da forma ridiventa sostanza».
Temo che l’ultimo
punto mi prenderà un po’
di tempo, ma per i primi tre credo si possa fare in fretta.
E dico
subito che sono d’accordo:
al momento, Renzi non ha avversari in grado di opporglisi
efficacemente. D’accordo,
ma questo in cosa costituirebbe argomento ad escludere che la sua
forza possa essere impiegata per renderne irreversibile la
preponderanza? Se io sono fisicamente assai più forte di
Formamentis,
questo renderà possibile o meno che io lo massacri di botte, tutt’è
vedere se lo faccio, se minaccio di farlo o se semplicemente abuso
della possibilità di farlo per impedirgli in qualche modo di
acquistare forza pari o superiore alla mia. È sulle azioni di Renzi,
dunque, che va valutato l’uso
che egli intenda fare della sua forza e a me pare che nel metodo e
nel merito sia indiscutibile che le intenzioni non siano delle
migliori. L’armamentario
caratteriale, attitudinale e comportamentale è quello del despota
cinico, spregiudicato, vendicativo, smisuratamente ambizioso, con una
irrefrenabile smania di accentramento del potere nella sua persona,
cui non manca neanche uno dei tratti che sono distintivi della
personalità pesantemente disturbata dalle caratteristiche pulsioni
del mentitore abituale, del manipolatore, del narcisista, del sadico,
che costituiscono la configurazione psicopatologica costante in ogni
dittatore. Se posso esprimermi con un’immagine,
direi che Renzi sia l’uovo
del serpente. Posso concordare anche sul fatto che a covarlo possano
essere state le circostanze storiche – certo, accade così per ogni
tiranno, non è che dipenda dal segno zodiacale – ma questo in cosa
lo rende meno pericoloso? Dovremmo trattarlo da epifenomeno e
tollerarlo come sintomo di un febbrone che deve fare il suo naturale
decorso? Non escludo che qualcuno possa obiettare che le suddette caratteristiche siano in vario grado riscontrabili in ogni professionista della politica e in ogni amministratore della cosa pubblica, per cui trovarle così marcatamente rappresentate in Renzi sarebbe prova dell’eccezionalità di doti che sono necessarie e intrinseche al ruolo. Bene, penso che questo sia il sintomo più grave della malattia sociale che per prognosi si dà lo stato organico, la coincidenza tra partito e stato, la proiezione di una nazione in un solo uomo. Più che Renzi, disprezzo chi lo ammira come politico. E il disprezzo diventa immenso se lo ammira pure come uomo.
Più
complessa è la risposta alla domanda con la quale Formamentis
chiude il suo post. Qui, dicevo, sarebbe necessario molto tempo, ma
mi rendo conto di aver tediato già abbastanza i nostri lettori,
perciò, con tutti i rischi del caso, mi limito a dire che per me la
democrazia è la condizione nella quale si realizzi la piena
rappresentatività di ogni cittadino nell’esercizio
della sovranità popolare, le cui linee direttrici devono fedelmente
riprodurre le proporzioni di volontà che concorrono a determinarle.
Tanto più la forma della democrazia si riempie di sostanza quanto
meno la rappresentatività venga sacrificata alla governabilità. In
altri termini: quanto meno ciò che la democrazia affida a tutti e a
ciascuno venga requisito da uno o da pochi – o a pochi o ad uno
ceduto – nella sospensione o nella illimitata dilazione della
funzione di controllo. Ma qui è assai probabile che la voglia di
stringere mi abbia fatto incorrere in qualche ambiguità di formula.
Ci ritornerò sopra.