Per
Colin Crouch, che ne ha coniato il termine, la postdemocrazia
è una democrazia formale svuotata in modo rilevante di quanto in
partecipazione,
rappresentanza e decisione è sottratto ai cittadini da oligarchie di
burocrati,
tecnocrati, lobbisti, attori dell’alta
finanza, potentati economici multinazionali, organismi
intergovernativi e operatori nel campo dell’informazione.
E i giudici? Non ne fa cenno, neanche di striscio. Cosa pensare, dunque, di chi segnala il
rischio di postdemocrazia nella sentenza della Consulta che boccia
come incostituzionale il taglio delle indicizzazioni delle pensioni
incluso nel decreto cosiddetto Salva-Italia del governo Monti? È una
sentenza – dice – che causa uno «svuotamento
dell’autonomia di decisione dei governi democratici che ha indotto
alcuni a parlare
di postdemocrazia».
E chi, di grazia? D’altronde,
come avrebbe potuto parlarne, se non impropriamente, visto che con
postdemocrazia non si intende affatto uno svuotamento dell’autonomia
dei governi, ma delle prerogative che una democrazia sostanziale
assegna ai cittadini? «Non
c’è praticamente giorno – dice – in cui non
compaia qualche nuova notizia a ricordarci come molte decisioni
politiche a livello nazionale o locale dipendano dalle pronunce di un
tribunale amministrativo, civile, penale, oppure, come nel caso che
occupa le cronache di questi giorni, della Corte costituzionale».
E sarà che il ceto politico non sa prendere decisioni che non
cozzino con le leggi dello Stato, sicché accade che le infrangano: i
tribunali dovrebbero lasciar correre? Dove sarebbe il rischio per la
democrazia sostanziale, se la giustizia
si limita a dichiarare illegittime le decisioni del ceto politico che
riesce a dimostrare illegittime? Il
rischio – dice – sarebbe la «giuridicizzazione
della politica».
Ma a limitare il vaglio di legalità che i tribunali operano sulle
decisioni del ceto politico non si avrebbe di converso una
politicizzazione del diritto? E qual è il rischio maggiore?
Poi
uno smette di leggere e pensa. Pensa che in
Italia non c’è
mai stata una vera borghesia, ma solo un ceto quanto mai pleomorfo di
pezzenti più o meno arricchiti, per lo più incolti e felloni,
senz’altra
preoccupazione che cavalcare l’onda,
ma mai troppo vicino alla sua cresta, per non finirne sotto al suo
schiantarsi. Pensa che della stessa pasta è anche chi scrive sul
giornale di questa borghesia. Giornale che ad ogni onda cambia il
direttore, come di tanto in tanto certi animali a sangue freddo
cambiano pelle, ed ora ne ha uno nuovo, perché l’onda
renziana monta e non è il caso di farsi trovare impreparati. È la
stagione che celebra il ritorno dell’uomo
forte e, finché dura, in Via Solferino si suonerà la musica che
Renzi vuol sentire, sennò si incazza e manda un sms risentito. E
allora gli si suona la musica che vuol sentire.