Una
sentenza della Corte costituzionale, la n. 1146 del 29 dicembre 1988,
recita: «La
Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non
possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale
neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi
costituzionali. Tali sono tanto i principi che la stessa Costituzione
esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione
costituzionale, quale la forma repubblicana, quanto i principi che,
pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non
assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale,
appartengono all’essenza
dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana».
È quanto basta perché la riforma costituzionale votata da questo
Parlamento possa essere messa in discussione, fino ad essere
dichiarata costituzionalmente illegittima, anche se venisse
confermata dall’esito del
referendum che si terrà ad ottobre: sarebbe sufficiente dimostrare
che quanto è stato riscritto, nel dettaglio o nel complesso,
sovverta o modifichi, nel suo contenuto essenziale, uno o più
principi non assoggettabili al procedimento di revisione. La stessa
sentenza della Corte costituzionale, d’altronde,
rammentava di aver «già
riconosciuto in numerose decisioni come i principi supremi
dell’ordinamento
costituzionale abbiano una valenza superiore rispetto alle altre
norme o leggi di rango costituzionale»,
riaffermando di essere «competente
a giudicare sulla conformità delle leggi di revisione costituzionale
e delle altre leggi costituzionali»,
perché, «se
così non fosse, si perverrebbe all’assurdo
di considerare il sistema di garanzie giurisdizionali della
Costituzione come difettoso o non effettivo proprio in relazione alle
sue norme di più elevato valore».
Ciò
premesso, si potrebbe già passare, articolo per articolo,
all’analisi
del testo costituzionale così come riscritto dalla banda di
mascalzoni da oltre due anni inserrata a Palazzo Chigi e approvato
dal Parlamento di cooptati sub condicione consegnatoci dal Porcellum.
Lo faremo, fino a ottobre c’è
tempo, d’altronde
non sarebbe neanche necessario, perché fin qui non è mancato chi ha
segnalato più di un vulnus ai principi contemplati dalla I parte
della Costituzione in un testo che peraltro abbonda di fumose
ambiguità e sconcertanti paradossi, al netto di un lessico di merda,
che rivela tutta la zoticaggine di chi l’ha
steso. Tutto sommato, però, sarà superfluo: da un lato, è nel suo
insieme che questa riforma costituzionale è incostituzionale,
dall’altro,
solo la Corte costituzionale è autorizzata a sancirlo. Non sto
affermando che il referendum di ottobre sia inutile: è di piana
evidenza che una vittoria dei no farebbe a pezzi la riforma. Di
fatto, tuttavia, una vittoria dei sì non ne assicurerebbe la tenuta
al vaglio della Consulta, anche se potrebbero volerci due o tre anni
prima di mandarla al macero.
Anche
nel caso del referendum confermativo, dunque, come ampiamente
discusso su queste pagine nel caso di quello abrogativo, il risultato
della consultazione non sarebbe dirimente. E meno male, vorrei
aggiungere. Dove un popolo smarrisce ogni dignità, è più che
sacrosanto perda ogni sovranità, è più che ovvio perda voce in
capitolo sui fondamenti della legge, è più che naturale – direi
salutare – una supplenza della magistratura.