Per
evitare di essere fraintesi – rischio che non dovrebbe mai essere
sottostimato neppure da chi sappia contentarsi di essere in pace con
la propria coscienza – sarebbe consigliabile non affrettarsi a
entrare nel merito di una questione quand’essa è ancora in mano a
quanti, per chiaro intento strumentale, ne stanno con successo
stravolgendo i termini nei quali invece andrebbe correttamente posta:
di qua e di là dalla linea che separa i fronti in campo, onestà
intellettuale e rigore analitico risultano, in tal caso, parimenti
intollerabili, finendo addirittura con l’essere
considerati via di fuga nel disimpegno. Se veramente la questione ci
sta a cuore, occorre rinunciare alla pretesa che la ragione
riesca a far sentire la propria voce fra gli strepiti, e aspettare
che il frastuono si sposti altrove.
Spesso non c’è nemmeno da aspettar troppo, perché di solito a chi strepita la questione cade di mano dopo due o tre giorni, massimo quattro, mai più d’una settimana, per essere presto abbandonata nel disinteresse in cui abitualmente finiscono i pretesti che sulla scena del dibattito pubblico hanno vestito fino ad un istante prima i panni di problemi cardinali, principi non negoziabili, ragioni prime o ultime, e similari. È allora che può essere recuperata dal punto in cui è stata fatta cadere ed essere adeguatamente riformulata, semmai riconoscendo il merito di chi ha cercato di farlo, restando inascoltato.
Spesso non c’è nemmeno da aspettar troppo, perché di solito a chi strepita la questione cade di mano dopo due o tre giorni, massimo quattro, mai più d’una settimana, per essere presto abbandonata nel disinteresse in cui abitualmente finiscono i pretesti che sulla scena del dibattito pubblico hanno vestito fino ad un istante prima i panni di problemi cardinali, principi non negoziabili, ragioni prime o ultime, e similari. È allora che può essere recuperata dal punto in cui è stata fatta cadere ed essere adeguatamente riformulata, semmai riconoscendo il merito di chi ha cercato di farlo, restando inascoltato.
Di
questo genere mi pare sia la questione sollevata dalla tanto discussa
puntata di Report sulle patenti lacune di cui gli organi deputati
alla farmacovigilanza si sono fin qui rese responsabili nel controllo
sugli effetti indesiderati di alcuni preparati vaccinali (sul punto mi pare non si possano sollevare obiezioni valide, visto che sono state ammesse perfino da Silvio Garattini, persona al di sopra di ogni sospetto in quanto a preconcetti relativi al mondo dell’industria farmaceutica): al
netto di quello che si è arrivati a sostenere, o almeno ad insinuare,
era questo il tema di quella puntata.
Non erano in discussione l’importanza della pratica vaccinale in generale, né quella del vaccino contro l’infezione da Papillomavirus, lì specificamente trattato. Non era in discussione neppure la necessità di una generale copertura vaccinale per quelle infezioni che, per pressoché unanime consenso del mondo scientifico e sennato recepimento da parte delle istituzioni pubbliche, da tempo hanno trovato la più adeguata soluzione nella obbligatorietà della profilassi. Nemmeno era in discussione che i casi di reazione avversa, più o meno dimostrabilmente associabili all’avvenuta inoculazione di un vaccino, siano da considerare sempre un prezzo sociale enormemente inferiore rispetto a quello che si sarebbe costretti a pagare, e solitamente si paga, per le complicanze cliniche di quegli eventi epidemici che non di rado mietono vittime nei soggetti più deboli di una popolazione. Nulla, poi, lasciava adito a ritenere che gli autori dell’inchiesta giornalistica intendessero affermare in qualche modo legittimo, per il medico, il poter opporre obiezione di coscienza in parola, atto od omissione alla pratica vaccinica o, per il cittadino, il poter fare richiamo al secondo capo dell’art. 32 della Costituzione («Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario...») senza leggerlo per intero («... se non per disposizione di legge») e trascurando quanto lo precede, laddove al primo capo la salute non è intesa solo come «diritto dell’individuo», ma anche come «interesse della collettività» (ratio che proprio nel caso della vaccinazione obbligatoria trova il miglior esempio di balance). Nulla di tutto questo, invece, sembra esser stato chiaro a chi ha mosso critiche alla trasmissione, di cui in qualche caso si arrivati a chiedere la sospensione.
Proprio per evitare di svilire a mera occasione di polemica tutta strumentale, come anche in questo caso è accaduto, la questione che Report affrontava, direi non valga neanche la pena di prendere in considerazione le numerose prove di malafede consumatesi in questa occasione. Mi limiterei a segnalare la dinamica che le ha mosse.
In passato, alcuni esponenti del M5S (peraltro nemmeno di spicco, quasi sempre si è trattato di voci semianonime sollevatesi dal brodo di coltura in cui è venuta a crescere la cosa grillina) hanno elaborato tesi sgangherate, per lo più basate su documentazioni parziali, quando non palesemente farlocche, per muovere critiche ai principi e alle istituzioni della medicina cosiddetta ufficiale, accusata di essere strutturalmente al servizio di loschi e biechi interessi di strapotenti imperi farmaceutici, e fra queste critiche non poche sono state proprio quelle relative alla produzione e alla diffusione dei preparati vaccinali.
Superfluo sottolineare quanto questo atteggiamento sia in sostanza da considerare pura disinformazione. Anzi no, non riteniamolo superfluo: a scanso di equivoci, diciamo chiaramente che è stata , e continua ad essere, pura disinformazione, per giunta pure estremamente pericolosa. Ma non accontentiamoci: per dar segno di piena coscienza di questa pericolosità, rammentiamo che la legge punisce chi diffonde «notizie false o tendenziose» (art. 656 c.p.) o si rende responsabile di allarme per «pericoli inesistenti» (art. 658 c.p.), e poi chiediamoci perché si è sempre preferito lacerarsi le vesti dall’indignazione di fronte a chi seminava frottole (scie chimiche, microchip sottopelle, cure anticancro a base di succo di limone o di bicarbonato, ecc.) invece di portarlo per le orecchie davanti a un giudice.
Ora, possono esserci cento altre ragioni per considerare il M5S il peggio del peggio del panorama politico e (sprechiamo un parolone) culturale italiano, e certamente la centounesima può a buon diritto essere ciò che in questo genere di frottole distilla rozzo qualunquismo e crassa ignoranza, paranoia di qualità peraltro assai scadente e inemendabile citrulloneria, ma come si può ritenere corretto il nesso logico, prim’ancora che l’ipotesi di concorso associativo, tra la puntata di Report e chi, al sostenere che le Twin Towers sarebbero venute giù per una demolizione controllata e che l’allunaggio dell’Apollo 11 avrebbe avuto per regista Stanley Kubrick, aggiunge che i vaccini provocano l’autismo? O fredda malafede o cecità pregiudiziale: non riesco a trovare altra spiegazione, quindi passo oltre, a considerare le critiche a Report che non si sono mosse lungo questa linea, ma lungo un’altra che tutto sommato è da considerare parallela, perché al vizio di metodo che si è preteso di intravvedere nell’inchiesta giornalistica qui è conferito i tratti di quella particolare forma di egemonia di pensiero che qualche settimana fa, sul Corriere della Sera, Angelo Panebianco affermava essere già in atto in un pressoché generale cedimento a tentazioni populistiche, complottistiche, giustizialistiche, ecc. In sostanza, a Report si è mossa l’accusa di essersi adeguata a questa egemonia di pensiero, arrivando ad affermare che con i servizi mandati in onda nelle passate annate se sarebbe stata addirittura una colonna.
Per riconoscere a tale posizione un’autonomia morale e intellettuale nella conventio ad excludendum di cui il M5S è fatto oggetto ormai da tempo, prenderò in considerazione il modo in cui è stata fatta propria da due opinionisti che da sempre possono vantare autonomia morale e intellettuale, talvolta perfino abusandone.
Non erano in discussione l’importanza della pratica vaccinale in generale, né quella del vaccino contro l’infezione da Papillomavirus, lì specificamente trattato. Non era in discussione neppure la necessità di una generale copertura vaccinale per quelle infezioni che, per pressoché unanime consenso del mondo scientifico e sennato recepimento da parte delle istituzioni pubbliche, da tempo hanno trovato la più adeguata soluzione nella obbligatorietà della profilassi. Nemmeno era in discussione che i casi di reazione avversa, più o meno dimostrabilmente associabili all’avvenuta inoculazione di un vaccino, siano da considerare sempre un prezzo sociale enormemente inferiore rispetto a quello che si sarebbe costretti a pagare, e solitamente si paga, per le complicanze cliniche di quegli eventi epidemici che non di rado mietono vittime nei soggetti più deboli di una popolazione. Nulla, poi, lasciava adito a ritenere che gli autori dell’inchiesta giornalistica intendessero affermare in qualche modo legittimo, per il medico, il poter opporre obiezione di coscienza in parola, atto od omissione alla pratica vaccinica o, per il cittadino, il poter fare richiamo al secondo capo dell’art. 32 della Costituzione («Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario...») senza leggerlo per intero («... se non per disposizione di legge») e trascurando quanto lo precede, laddove al primo capo la salute non è intesa solo come «diritto dell’individuo», ma anche come «interesse della collettività» (ratio che proprio nel caso della vaccinazione obbligatoria trova il miglior esempio di balance). Nulla di tutto questo, invece, sembra esser stato chiaro a chi ha mosso critiche alla trasmissione, di cui in qualche caso si arrivati a chiedere la sospensione.
Proprio per evitare di svilire a mera occasione di polemica tutta strumentale, come anche in questo caso è accaduto, la questione che Report affrontava, direi non valga neanche la pena di prendere in considerazione le numerose prove di malafede consumatesi in questa occasione. Mi limiterei a segnalare la dinamica che le ha mosse.
In passato, alcuni esponenti del M5S (peraltro nemmeno di spicco, quasi sempre si è trattato di voci semianonime sollevatesi dal brodo di coltura in cui è venuta a crescere la cosa grillina) hanno elaborato tesi sgangherate, per lo più basate su documentazioni parziali, quando non palesemente farlocche, per muovere critiche ai principi e alle istituzioni della medicina cosiddetta ufficiale, accusata di essere strutturalmente al servizio di loschi e biechi interessi di strapotenti imperi farmaceutici, e fra queste critiche non poche sono state proprio quelle relative alla produzione e alla diffusione dei preparati vaccinali.
Superfluo sottolineare quanto questo atteggiamento sia in sostanza da considerare pura disinformazione. Anzi no, non riteniamolo superfluo: a scanso di equivoci, diciamo chiaramente che è stata , e continua ad essere, pura disinformazione, per giunta pure estremamente pericolosa. Ma non accontentiamoci: per dar segno di piena coscienza di questa pericolosità, rammentiamo che la legge punisce chi diffonde «notizie false o tendenziose» (art. 656 c.p.) o si rende responsabile di allarme per «pericoli inesistenti» (art. 658 c.p.), e poi chiediamoci perché si è sempre preferito lacerarsi le vesti dall’indignazione di fronte a chi seminava frottole (scie chimiche, microchip sottopelle, cure anticancro a base di succo di limone o di bicarbonato, ecc.) invece di portarlo per le orecchie davanti a un giudice.
Ora, possono esserci cento altre ragioni per considerare il M5S il peggio del peggio del panorama politico e (sprechiamo un parolone) culturale italiano, e certamente la centounesima può a buon diritto essere ciò che in questo genere di frottole distilla rozzo qualunquismo e crassa ignoranza, paranoia di qualità peraltro assai scadente e inemendabile citrulloneria, ma come si può ritenere corretto il nesso logico, prim’ancora che l’ipotesi di concorso associativo, tra la puntata di Report e chi, al sostenere che le Twin Towers sarebbero venute giù per una demolizione controllata e che l’allunaggio dell’Apollo 11 avrebbe avuto per regista Stanley Kubrick, aggiunge che i vaccini provocano l’autismo? O fredda malafede o cecità pregiudiziale: non riesco a trovare altra spiegazione, quindi passo oltre, a considerare le critiche a Report che non si sono mosse lungo questa linea, ma lungo un’altra che tutto sommato è da considerare parallela, perché al vizio di metodo che si è preteso di intravvedere nell’inchiesta giornalistica qui è conferito i tratti di quella particolare forma di egemonia di pensiero che qualche settimana fa, sul Corriere della Sera, Angelo Panebianco affermava essere già in atto in un pressoché generale cedimento a tentazioni populistiche, complottistiche, giustizialistiche, ecc. In sostanza, a Report si è mossa l’accusa di essersi adeguata a questa egemonia di pensiero, arrivando ad affermare che con i servizi mandati in onda nelle passate annate se sarebbe stata addirittura una colonna.
Per riconoscere a tale posizione un’autonomia morale e intellettuale nella conventio ad excludendum di cui il M5S è fatto oggetto ormai da tempo, prenderò in considerazione il modo in cui è stata fatta propria da due opinionisti che da sempre possono vantare autonomia morale e intellettuale, talvolta perfino abusandone.
Massimo Bordin attacca in modo abbastanza scorretto il
conduttore della trasmissione, Sigfrido Ranucci, senza entrare nel
merito della questione: dice che si cerca di farne un eroe, forse
perché ha un nome da «eroe
nibelungico», ma è quello che nel 2001 mandò in onda, su
Rainews24, un’intervista
che Paolo Borsellino aveva concesso nove anni prima a due giornalisti
di Canal Plus, ed era un’intervista
manipolata, come riuscì a dimostrare Paolo Guzzanti, che ne addebitò
la manipolazione a Ranucci, mentre invece era stata manipolata dai
francesi, come si chiarì in tribunale, con l’assoluzione
di Guzzanti in sede penale, ma con «altre sentenze in sede civile in
parte contraddittorie con quella penale», che fuor di perifrasi
significa che della manipolazione Ranucci non era in alcun modo
responsabile.
Questo, per Bordin, farebbe saggio del «metodo giornalistico di Ranucci», non dissimile peraltro da quello di chi l’ha preceduto nella conduzione di Report, trasmissione che si sarebbe distinta solo per aver cercato di infangare l’onorabilità dei bar e delle pizzerie di Napoli. Non farà certamente saggio del metodo giornalistico di Bordin, ma questo è stato il taglio dato alla questione relativa al tema proposto da Report: fallacia ad hominem.
Questo, per Bordin, farebbe saggio del «metodo giornalistico di Ranucci», non dissimile peraltro da quello di chi l’ha preceduto nella conduzione di Report, trasmissione che si sarebbe distinta solo per aver cercato di infangare l’onorabilità dei bar e delle pizzerie di Napoli. Non farà certamente saggio del metodo giornalistico di Bordin, ma questo è stato il taglio dato alla questione relativa al tema proposto da Report: fallacia ad hominem.
Stesso taglio dato da Massimo Mantellini, ma nella variante
di fallacia ad hominen circumstantiale:
«il
giornalismo di Report è un giornalismo a tesi»,
per giunta «molto
ideologico»,
come è evidente nel suo «dar
voce anche alla controparte, ma mai fino al punto da rendere il punto
di vista avverso credibile»,
e poi «è
giornalismo dell’indignazione»,
quindi fa «più
male che bene»,
perché «l’indignazione
ha bisogno ogni volta di aumentare la dose»
(e qui possiamo intravvedere un’ulteriore
fallacia, quello del piano inclinato).
In entrambi i casi, sembra che
la questione posta dalla puntata di Report non sia degna di essere
presa in considerazione: se ne sarebbe potuto dare un giudizio anche
senza averla vista, bastava averne visto qualche puntata precedente,
avere qualche dubbio su un giornalismo che mira a terrorizzare il
consumatore dicendogli che gli ftalati possono farlo diventare
ricchione, e forse pure meno, nel senso che bastava sapere chi sia
Ranucci, e meno ancora, perché bastava considerare che a prenderne
le difese erano Roberto Fico e Marco Travaglio. E sia chiaro che Bordin e
Mantellini sono due amabili cazzoni, niente a che vedere con chi
pensa che la Marcia su Roma di Grillo e Casaleggio possa essere
fermata segnalando gli errori grammaticali di Di Maio.
A questo pare debba essere condannato il dibattito pubblico in Italia, e dunque credo si possa comprendere chi non sta pronto sulla notizia del giorno, rifugiandosi nello studio della pittura fiamminga o della musica gregoriana.
In questi giorni molti mi hanno chiesto di esprimere un parere sulla questione: dopo averli fin qui intrattenuti sul modo in cui ne sono stati stravolti i termini, non posso esimermi dal dire come credo andrebbero correttamente riformulati. Sarò stringato, facendo mia la posizione espressa da Carlo Freccero nel corso della puntata di Piazza Pulita andata in onda lo scorso giovedì: Report non ha fatto altro che integrare il bugiardino che è allegato ad ogni confezione di vaccino anti- Hpv, richiamando a una più attenta e trasparente attività degli organi preposti alla farmacovigilanza.
I vaccini? Sono necessari. In molti casi credo sia più che giusto renderli obbligatori. Quello anti-Hpv? Non preclude in modo assoluto la possibilità di contrarre un carcinoma della cervice uterina, ma la riduce sensibilmente. Sulle possibili reazione avverse che può cagionare occorre esprimersi con cautela rimandando agli studi che hanno preceduto e accompagnano la sua somministrazione, ormai assai estesa, che allo stato non hanno dimostrato nessi significativi tra i preparati in commercio e le patologie che in alcuni casi hanno destato il sospetto di avere relazione con l’avvenuta vaccinazione.
Più in generale, ritengo che sia necessario rimettersi a quanto è ampiamente assodato in campo scientifico quando siano correttamente messe in atto le severe procedure metodologiche che consentono di dare per consolidata una certezza in quel campo. A chiunque è lecito chiedere conto di queste procedure, ma a tutti è dovuto prendere atto delle conclusioni cui conducono gli studi che le rispettino.
Ecco perché resto a bocca aperta, senza sapermi dare una spiegazione, del perché passi in sentenza, e nel silenzio generale, che i cellulari causano cancro al cervello. Sul piano scientifico è men che dimostrato, ma ad affermarlo, qui, non è stato Napalm51: è stato un giudice, ancorché a conclusione di un processo di primo grado. Silenzio, ora non vola una mosca: stavolta pare che la scienza non sia stata stuprata.
A questo pare debba essere condannato il dibattito pubblico in Italia, e dunque credo si possa comprendere chi non sta pronto sulla notizia del giorno, rifugiandosi nello studio della pittura fiamminga o della musica gregoriana.
In questi giorni molti mi hanno chiesto di esprimere un parere sulla questione: dopo averli fin qui intrattenuti sul modo in cui ne sono stati stravolti i termini, non posso esimermi dal dire come credo andrebbero correttamente riformulati. Sarò stringato, facendo mia la posizione espressa da Carlo Freccero nel corso della puntata di Piazza Pulita andata in onda lo scorso giovedì: Report non ha fatto altro che integrare il bugiardino che è allegato ad ogni confezione di vaccino anti- Hpv, richiamando a una più attenta e trasparente attività degli organi preposti alla farmacovigilanza.
I vaccini? Sono necessari. In molti casi credo sia più che giusto renderli obbligatori. Quello anti-Hpv? Non preclude in modo assoluto la possibilità di contrarre un carcinoma della cervice uterina, ma la riduce sensibilmente. Sulle possibili reazione avverse che può cagionare occorre esprimersi con cautela rimandando agli studi che hanno preceduto e accompagnano la sua somministrazione, ormai assai estesa, che allo stato non hanno dimostrato nessi significativi tra i preparati in commercio e le patologie che in alcuni casi hanno destato il sospetto di avere relazione con l’avvenuta vaccinazione.
Più in generale, ritengo che sia necessario rimettersi a quanto è ampiamente assodato in campo scientifico quando siano correttamente messe in atto le severe procedure metodologiche che consentono di dare per consolidata una certezza in quel campo. A chiunque è lecito chiedere conto di queste procedure, ma a tutti è dovuto prendere atto delle conclusioni cui conducono gli studi che le rispettino.
Ecco perché resto a bocca aperta, senza sapermi dare una spiegazione, del perché passi in sentenza, e nel silenzio generale, che i cellulari causano cancro al cervello. Sul piano scientifico è men che dimostrato, ma ad affermarlo, qui, non è stato Napalm51: è stato un giudice, ancorché a conclusione di un processo di primo grado. Silenzio, ora non vola una mosca: stavolta pare che la scienza non sia stata stuprata.