leva’ fumo a le schiacciate
Comunque non avrei più votato Pd –
dall’alluce all’attaccatura della coscia già assaporavo il piacere del calcio in culo che avrei dato a chi fosse venuto a chiedermi di votarlo ancora
– ma la vittoria di Renzi alle primarie per la
segreteria del partito sigilla la decisione solennemente presa dopo l’immonda
manovra dei 101 in Parlamento e il tradimento del mandato elettorale che, per chi avesse memoria corta, era «mai col Pdl». D’altronde avevo votato Pd solo perché Berlusconi,
Monti e Grillo s’erano messi d’accordo nello spacciarmi Bersani come
menopeggio, ahimè, riuscendoci. E dire che meditavo l’astensione, m’ero praticamente liberato da quel senso di
colpa che poteva pure
essere considerato un sintomo di inestirpabile fede nella democrazia, nel Novecento, quando ancora c’era il proporzionale, dove se non riuscivi a trovare un partito da votare, coi
trenta che ti erano offerti sulla scheda elettorale, be’, era chiaro che avevi
qualcosa di marcio dentro, e tutti a dirti «chi non vota non ha poi alcun diritto di
lamentarsi» e «se non voti, c’è chi vota al tuo posto», robe che col
maggioritario erano destinate a diventare cazzate, e col Porcellum micidiali
cazzate. Meglio non pensarci, via, torniamo a Renzi. Che ne avrà dette pure due ai 101, avrà pure avuto da ridire sul governo Letta, ma ai miei occhi resta col grave handicap di essere Renzi.
Mai
piaciuto. Dice: «Ma ne fai una questione di gusto?». E cos’altro dovrebbe
essere? Anche per lui la politica è questione di nome, faccia, posa, battuta, e allora se permettete io lo giudico da quello: nome da bottegaio, faccia di cazzo, posa da bullo, battuta da piazzista. Ci tiene a sottolineare che è post-ideologico, lui, gli farei torto a fare paralleli coi prototipi. D’altronde, anche
se avesse dovuto scegliere una filosofia politica da indossare per ottenere quello che voleva e
poi togliersela di dosso una volta che l’avesse ottenuto, l’avrebbe indossata
male. Non è fatto per le idee, si vede subito che le considera superflue,
figurarsi a metterle insieme per farne un sistema, ci picchierebbe dentro con la zucca ad
ogni passo. Immagini, quelle sì, per di più raccattate dall’album del già visto
e rivisto. Almeno Vendola ripesca dal desueto, arrischia qualche neologismo,
tenta una sua fattispecie di lirismo, torna ridicolo al punto che si inorridisce sentirlo al telefono con Archinà. Renzi, no. Renzi si compiace di un’estetica
da cafone del terzo millennio, rivernicia luoghi comuni senza nemmeno levar via
quello che ci si è andato ad incrostare sopra. Sembra il nuovo, ma è il vecchio
che ritorna con un’altra faccia, a illudere, come meritano, quelli che il nuovo
lo temono, anche se lo invocano, e in fondo per colonna sonora gli sta bene Jovanotti, quello del vuoto ingombro di ogni cosa. Meglio così, però, perché, quando un’ideologia
– una qualsiasi ideologia – incrocia un volitivo per tre quarti ambizioso e per
il resto becero il tanto da potersi dire a buon titolo uomo dei propri tempi, surfista sull’onda del momento,
allora può venirne fuori un mostro. Qui, invece, al massimo ne verrà fuori un
succedaneo di berlusconismo, liberalismo di cartapesta, meritocrazia da casting, modernità da guida turistica. Non ha un progetto di società, questo è tutto, dev’essere che quei 48 milioni di vecchie lire guadagnate alla Ruota della Fortuna gli hanno lasciato credere che tutto filasse liscio comprando la vocale giusta.
Oppure no, può darsi l’abbia, una visione, fatto sta che, se ce l’ha, sta sotto a un mucchio di parole, e quello che qui e lì ne affiora non
sembra affatto convincente. Prendi i diritti civili, per esempio. «Dopo», dice. «Dopo» cosa, se
quelli stanno a fondamento di tutto, e sempre? Quand’anche tu riuscissi ad alzare il Pil
e abbassare il debito pubblico – e non si capisce come, perché anche il
programma, se ne hai uno, sta sotto un mucchio di parole, e quello che qui e lì
ne affiora sono solo ideuzze buone a tappare qualche buco, e male – quand’anche
tu riuscissi a creare un milione di posti di lavoro e a innescare la tanto
agognata crescita, che strapaese sarebbe mai quello che appresso a te considera i diritti civili dei
lussi da concedersi solo dopo aver riempito la pancia? Costano? No, però
dividono, questo è il punto, ed è per questo che Renzi non può permettersi di avere una tradizione politica, tanto
meno ideali, principi o simili cazzabubbole d’impiccio. Deve fare il pienone, e
per farlo deve mettere insieme, nel partito e nel paese, quello che da sempre
nel paese e partito confligge a basso regime di conflittualità, nello statuto della dilazione
che media e non risolve, e in fondo solo a questo si riduce il suo essere democristiano, per tutto il resto è costretto a fare l’homo novus, come ogni scaracchio di demagogo.
Dice: «Vabbe’, ti sta antipatico e calchi la mano». Non saprei, può darsi, però io le persone, nel pubblico e nel privato, le giudico per quello che mi danno da vedere. E per uno che in mancanza di altro in curriculum non smette di scassarci la minchia con la sua esperienza di sindaco di Firenze, a me basta la faccenda dell’orologio della Torre d’Arnolfo di Palazzo Vecchio, per il quale Renzi non trova pace, perché è a lancetta unica che, a suo parere, inganna i turisti sull’ora esatta o, peggio, potrebbe dar da credere che l’amministrazione guidata da cotanto sindaco non lo regoli a puntino (e speriamo non s’accorga che il David di Michelangelo ha le gambe un po’ più corte di quanto ci aspetterebbe considerando la lunghezza delle braccia sulle curve auxologiche). Non che sia mancato chi gli abbia fatto presente che quel tipo di orologio fu creato dalle mani di Niccolò di Bernardo, e che ad aggiungere una lancetta si dovrebbe sostituire la meccanica, che è di Giorgio Lederle. Macché, «troveremo uno sponsor, la
gente deve vedere bene l’ora, mica deve essere un orologio filosofico». Non avrà le idee chiare neanche su cosa sia la filosofia, ma come biasimarlo? Lo fa per la «gente». E a chi gli obietta che sarebbe uno stupro a storia e cultura della sua città risponde piccato: «Mica voglio metterci un orologio al quarzo, è che così
’un funziona». Lasciando perdere il resto, l’aggiunta del pisello che Berlusconi decise per la statua di Marte che è a Palazzo Chigi, al confronto, è niente.