Sono
in molti ad essere convinti che la morte di Giulio Regeni sia
imputabile a uno degli organi di sicurezza egiziani, ma le opinioni
divergono riguardo al movente.
Per
alcuni, infatti, il giovane sarebbe stato sequestrato, torturato e
ucciso da uno dei nuclei operativi della polizia o dei servizi
segreti che in Egitto, fin dalla presa del potere da parte di
al-Sisi, sono routinariamente impegnati nell’azione
di repressione di ogni forma di dissidenza al regime: il sequestro
avrebbe avuto lo scopo di strappargli informazioni su una rete di
oppositori coi quali, a torto o a ragione, i sequestratori ritenevano
che egli fosse entrato in contatto, mentre la morte sarebbe stata la
diretta conseguenza delle torture con le quali si è cercato di
estorcergliele, poco importa se riuscendoci o meno, o come soluzione
per metterlo definitivamente a tacere dopo avergliele estorte.
Le
torture subite da Giulio Regeni, in tutto simili a quelle denunciate
da molti dissidenti sottoposti allo stesso trattamento, sono senza
dubbio un elemento a favore di questa tesi, che tuttavia ha un
significativo punto debole proprio nel ritrovamento del corpo che ne
recava gli inequivocabili segni, perché farlo sparire, come è
accaduto in molti casi analoghi, non avrebbe comportato alcuna
difficoltà per chi avesse voluto occultare, con quelli, le ragioni del suo omicidio.
Questo
porta altri a ipotizzare che i responsabili di quanto è accaduto
sarebbero uomini appartenenti a un corpo deviato in seno agli organi
di sicurezza dello stato, che ha agito con l’evidente
intento di destabilizzare la dittatura di al-Sisi, per causarle un
serio imbarazzo presso l’opinione pubblica estera e minare le basi
della solida partnership commerciale che intrattiene con l’Italia.
È
ipotesi, questa, che apre un ampio ventaglio di supposizioni sui
reali autori dell’efferato
delitto. Molti hanno sostenuto che i responsabili debbano essere
ricercati tra elementi dell’organizzazione
dei Fratelli musulmani, che tra gli oppositori al regime è quella
più agguerrita e che fin qui è stata anche quella più duramente colpita
dalle misure repressive di al-Sisi: membri dell’organizzazione
sarebbero riusciti ad infiltrare alcuni corpi dello stato, con ciò
dimostrando di continuare ad avere una notevole capacità di presa ad
ogni livello della società egiziana.
In
entrambi i casi si comprenderebbero i goffi tentativi delle autorità
chiamate a render conto all’Italia
e all’opinione
pubblica internazionale di quanto è accaduto. Tentativi fin qui risoltisi nell’offerta
di spiegazioni che sono parse implausibili. Sta di fatto che ammettere che la polizia
o i servizi segreti possano essere stati infiltrati da elementi
ostili al regime non sarebbe meno imbarazzante che assumersi la
responsabilità dell’omicidio
di Giulio Regeni.
È
in tal senso che anche l’ultima
di tali spiegazioni, quella che imputa la morte del giovane a una
banda di delinquenti comuni, sembra mostrare troppi punti che la
rendono inverosimile, costruita ad arte, e pessima arte, per
nascondere la realtà dei fatti, i quali rimanderebbero la responsabilità
dell’accaduto, ancorché indirettamente in questo caso, alle misure repressive che la
dittatura di al-Sisi attua nei confronti dei suoi oppositori. Poca
importanza, allora, avrebbe chi abbia materialmente ucciso Giulio
Regeni, perché la colpa ricadrebbe comunque su chi ha voluto che in
Egitto fosse sospesa ogni garanzia in favore della dissidenza.
Nessuna spiegazione, allora, sarebbe adeguata se non con un’ammissione
di colpevolezza da parte del regime, che ovviamente non potrebbe
permettersela neppure se la catena delle responsabilità che hanno
prodotto l’evento
fosse realmente in capo ai suoi vertici.
Sembrerebbe,
dunque, che non ci sia alcuna via d’uscita:
nessun’altra
spiegazione potrà mai soddisfare chi è convinto che Giulio Regeni
sia stato ucciso dagli organi di sicurezza dello stato, né mai tale
ammissione potrà essere fatta dal regime. Questo braccio di ferro
non può che consumarsi nel logoramento delle relazioni diplomatiche
e della partnership commerciale tra Italia ed Egitto.
Se
fosse valida l’ipotesi
che la morte del giovane è stata concepita proprio a tal fine,
potremmo dire che l’operazione
stia dando i risultati voluti, rimarrebbe solo da chiedersi chi
l’abbia
decisa. Davvero i Fratelli musulmani? Qualche altro attore
interessato a creare attriti tra Italia ed Egitto? Anche su questo è
improbabile si arrivi a far luce, di fatto non manca chi trarrebbe
enormi benefici da un allentamento dell’interscambio
economico che si è consolidato tra i due paesi. D’altra
parte, se è possibile che polizia e servizi segreti egiziani possano
essere stati infiltrati da elementi dei Fratelli musulmani, non si
vede perché non possano esserlo stato da agenti di paesi interessati
a contrastare gli interessi italiani in Egitto.
L’ho
già scritto a caldo, il 6 febbraio, e l’ho
ripetuto a freddo, una decina di giorni dopo: cosa ci sarebbe di
strano se i responsabili della morte di Giulio Regeni fossero agenti
dei servizi segreti di paesi come la Francia o il Regno Unito? Con la morte di
un nostro connazionale in terra egiziana, soprattutto se seguita a
bestiali torture che sollevano una sacrosanta indignazione, non avrebbero fin qui ottenuto proprio quanto era voluto?
Per
quanto possa farci schifo, tuttavia, proviamo a metterci nei panni di
al-Sisi: nel caso in cui non fosse direttamente o indirettamente
responsabile dell’accaduto,
nel caso in cui a sequestrare, torturare e uccidere Giulio Regeni non
fosse stato un organo di sicurezza dello stato egiziano, nel caso in
cui fosse ignoto alle stesse autorità egiziane chi siano i reali
autori dell’omicidio,
cos’altro
resterebbe se non il tentativo di confezionare una spiegazione di
comodo, ancorché farlocca? In ogni caso, dovrebbe trattarsi di una
spiegazione che non metta in discussione il pieno controllo del
regime sugli organi di sicurezza dello stato: negare la possibilità
che essi possano essere stati infiltrati sarebbe indispensabile,
salvo l’implicita
ammissione che l’eventualità non sia del tutto escludibile, ma non
possa essere esplicitamente offerta come ipotesi credibile.
Resta
la possibilità che Giulio Regeni sia davvero stato vittima di
delinquenti comuni, ma questa è ipotesi che viene sdegnosamente
rigettata da chi è convinto che il movente della morte non possa non essere politico. A favore di questa ipotesi depongono le testimonianze di
molte vittime della banda che di recente è stata eliminata dalla
polizia egiziana. Raccontano di essere stati sequestrati e sottoposti
a trattamenti brutali da soggetti che si qualificavano come
appartenenti ad organi dello stato e che li lasciavano liberi solo
dopo aver estorto loro del denaro: perché Giulio Regeni non potrebbe
esserne stato vittima?
Contro
questa ipotesi vengono opposte ragioni che sembrano aver forza solo
nella convinzione che non possa essere valida perché non deve
esserlo. Perché sarebbe stato torturato in modo così bestiale? Per
sottrargli il denaro che Giulio Regeni si rifiutava di dar loro,
forse per la banale ragione che non ne avesse nella misura che a torto i suoi
sequestratori ritenevano fosse nelle sue disponibilità. Si contesta
che questa sia spiegazione troppo banale, resa ancor più inverosimile dal
fatto che i responsabili non si siano disfatti dei documenti del
giovane dopo averlo ucciso. In più, c’è che sono stati eliminati
impedendo loro di confessare di essere autori del delitto, il che
puzza di maldestro insabbiamento dei fatti per come si sarebbero
realmente svolti. Tutto questo è vero, ma cosa impedisce di ritenere che
anche in questo caso non possa essere chiamato in causa chi fosse intenzionato a gettare un’ombra sulla reale intenzione del
regime di dare una versione attendibile della vicenda? Il fatto che
il regime di al-Sisi abbia risposto ai dubbi avanzati su tale
versione con la disponibilità a vagliarne di ulteriori non dovrebbe
far fede sulla possibilità che non sia affatto esclusa un’azione
di depistaggio ad opera di elementi interni agli organi di sicurezza
dello stato? Parrebbe di no, perché chi non tollera che la verità
sia diversa da quella che si vuole essere la sola possibile non
ammette altra conclusione della vicenda. A me pare che questo atteggiamento non possa
dare i risultati voluti, né che questi, poi, sarebbero necessariamente i soli ad essere validi per il solo fatto di essere considerati tali.
Per
quanto mi riguarda, e per il poco che conta, continuo a ritenere poco probabile che Giulio
Regeni sia stato vittima del regime di al-Sisi, perché in tal caso
non avremmo mai ritrovato il suo corpo. Continuo a ritenere che sia
stato usato per creare il caso, e che per crearlo fosse necessario si affermasse da subito, come in effetti è stato, l’indisponibilità a ritenere incolpevole la macchina della dittatura egiziana. E questo penso sia dovuto all’errata convinzione che una dittatura sia impermeabile a interferenze esterne, mentre invece la storia insegna esattamente il contrario.