«...
trovo molto interessante
la
mia parte intollerante
che
mi rende rivoltante
tutta
questa bella gente»
Adesso,
per chi ne magnificava le virtù, l’Italicum
non va più bene. Per chi si dichiarava indisponibile a rimetterci
mano, almeno qualche ritocchino, adesso, lo merita, non foss’altro
per tentare un altro Nazareno. Né manca, sul fronte opposto, chi
riteneva fosse la madre di tutte le possibili criptodittature, e
adesso dice che ridiscuterne non è un problema prioritario,
l’importante è altro, chessò,
strappare a Paolo Mieli la sorpresa che nella cozza del M5S c’è
quella perla di un Luigi Di Maio, oggi simpatico come lo era Daniele
Capezzone fino a dieci anni fa.
Viene la voglia di un Dio spietato
che li incenerisca tutti, boss e luogotenenti, gregari e leccaculo di
complemento, ma, si sa, voglie del genere segnalano un malessere
esistenziale di grado severo, quello del moralismo. Abbia il buon
gusto, chi ne soffre, di non esibirlo, perché è vero che, come la
psoriasi, non attacca, ma in società crea il panico del contagio più
della rogna. Poi, diciamocela tutta, pretendere che il prossimo
nostro abbia sempre un argomento decente per dimostrarci che non è
l’uomo di merda che palesemente
sembra – sensu stricto – è violenza.
Dissimulare, dissimulare,
coprire la chiazza cutanea con la cipria di una soffice ironia, dire
che sono tutti eguali, e chi lo sembra meno, gratta gratta, è
peggio, ma senza mostrare acredine, sfoggiando il sorriso consigliato a pag. 23 del
Vademecum del perfetto uomo di mondo, quello di chi ha visto tutto, e
non si scandalizza più di niente, anzi trova tutto molto divertente.
Appendice
Appendice
«Ogni partito è favorevole a quella tecnica elettorale che gli fa più comodo, e cerca di far passare quella legge elettorale che meglio canonizzi quella tecnica.
Questo
è vero. Ma non è tutta la verità. In un paese che non riduca le
elezioni a truffe perpetrate dai più imbroglioni a spese dei più
minchioni, la legge elettorale non può solamente e brutalmente
prescrivere quella tecnica di votazione che fa comodo a chi fa la
legge. In un paese di gente onesta, e non di falsari, la legge
elettorale deve prescrivere non solo una tecnica, ma anche una regola
di gioco, la quale giustifichi quella tecnica: regola di gioco, da
cui tutti si sentano legati perché garentisce i diritti di tutti:
cioè il diritto di formare il governo in chi ottiene il consenso
della maggioranza, e il diritto della minoranza di essere rispettata
nelle proprie libertà.
Quando
la tecnica della votazionecessa di essere regola di gioco
riconosciuta legittima da tutti, e pretende produrre sempre, ad ogni
costo, una maggioranza governativa, non è più una regola di gioco,
ma un imbroglio totalitario.
[…]
A
questo punto i lettori del “Mondo” mi lascino riconoscere, prima
che me lo dica altri, che ho finora fatto un discorso da “moralista”,
e non da “realista”. E il moralista, come tutti sanno, è un
“astrattista”, un “antistorico”, un cretino famoso, che non
dovrebbe occuparsi mai di materie politiche.
Sia.
Ma sta il fatto che il mondo trabocca di cretini famosi. E, in regime
di suffragio universale, costoro rappresentano un peso, del quale
debbono tener conto i sapientoni fabbricanti di tecniche elettorali,
perché sono precisamente quei moralisti astrattisti ed antistorici
che decidono le elezioni, spostandosi di qua o di là, squadre
volanti; disgraziati, che cambiano bottega non appena si avvedono che
il macellaio ruba sul peso, e non amano fare amicizia con un mercante
di cavalli, perché sanno che vende onzini vecchi come puledri
giovani. Pregiudizi. Ma esistono; e chi li trascura, si trova male.
Motivo percui i fabbricanti di nuove tecniche elettorali debbono
persuadere proprio noi che essi non intendono truffare nessuno, ma ci
invitano ad assumere impegni, ai quali abbiamo l’obbligo
di consentire a ragion veduta.
[…]
È
inutile che storciate il muso allorché qualcuno vi ricorda questo
guaio. Guaio o non guaio, questa, oggi come oggi, è la realtà; e se
ve ne infischiate, essa si rivolterà contro di voi».
Gaetano
Salvemini
(Il Mondo,
20 settembre 1952)