Qualche settimana fa, in un’intervista concessa a John Hopper (The Guardian, 3.1.2013), Gianroberto Casaleggio ha azzardato un parallelo tra il grillismo e il cristianesimo primitivo: «It’s like Jesus Christ and the apostles. His message, too, became a virus». L’affermazione rivela un tratto di megalomania, ma in buona sintesi racchiude il fine cui ogni setta aspira, perché quella cristiana rappresenta il modello che ha incontrato maggior successo, e infatti quasi ogni setta riproduce in modo più o meno conscio lo schema che ha trovato fortuna nel cristianesimo: una verità indiscutibile incarnata da un capo carismatico, una ristretta cerchia di apostoli che stanno a difesa della fede e a cura del culto, una schiera di discepoli addetti a far proseliti. Nulla di nuovo, dunque.
Più interessante, invece, un’altra affermazione, stavolta sui malumori che da qualche mese serpeggiano nel M5S: «The statute contains rules. If they want to change the rules, they can create another movement». Il tono è risoluto, come di chi affermi il pieno diritto su una proprietà privata insidiata da illeciti appetiti di loschi malintenzionati, però nella sostanza è la dichiarazione dell’intoccabilità dello statuto. Volendo riprendere il parallelo col cristianesimo primitivo, saremmo alla condanna dei primi eretici, ma qui il parallelo non tiene, perché le eresie cristiane dei primi secoli nascevano sulle interpretazioni di quel testo, mentre lo statuto del M5S è assai meno ambiguo del passo che in Mt 16, 18 darebbe fondamento al primato petrino: «Il nome del M5S viene abbinato a un contrassegno registrato a nome di Beppe Grillo, unico titolare dei diritti d’uso dello stesso» (art. 3). E dunque Gianroberto Casaleggio ha ragione: il M5S è proprietà privata e chi ne è proprietario può decidere a suo piacimento chi ne fa parte e chi ne è fuori.
Più che un versetto evangelico, a me l’affermazione ha richiamato alla mente lo sbotto di reazione che un leghista o un cattolico tradizionalista potrebbe avere alle lamentele di immigrati musulmani cui sia stata negata la costruzione di una moschea: «Questo è un paese cattolico: se avete voglia di pregare Allah, tornate a casa vostra». Sono disposto a concedere che ci sono delle differenze, ma l’idea di una religione di stato non stride in egual misura con quella di un partito inteso come un club che abbia regole sulle quali non è ammesso discutere o con quella di un movimento politico il cui statuto non sia emendabile da una maggioranza qualificata? E tuttavia, anche se non si arriva quasi mai a esplicitarlo in modo così secco e liquidatorio, questo modo di intendere un partito non è caratteristico, seppure in vario grado, di quasi i tutti leader politici italiani? In altri termini, di fatto se non di diritto, tutti i partiti e i movimenti politici italiani non sono proprietà privata di una persona sola? È vero, c’è l’eccezione del Pd, che è in mano ad una oligarchia, ma per tutti gli altri partiti non vale la regola che la piena disponibilità della linea politica e delle risorse economiche siano nelle mani di uno solo? E allora cosa fa la differenza con una formazione a vocazione settaria? La risposta è nel carattere carismatico della leadership.
Ma del carisma del leader politico ho già parlato qualche mese fa.
18 anni di berlusconismo hanno ridotto la politica italiana ad una (costosissima) pagliacciata. In un paese civile, il corpo politico avrebbe marginalizzato ed espulso i "corpi estranei" che in italia invece, con successo, affondano i denti sul cadavere della politica per finire di spolparlo: e parlo di ballerine, comici, pranoterapeuti, mafiosi vari ecc. In italia invece lo spropositato potere economico e mediatico di B. ha paralizzato la capacità di reazione del corpo politico (peraltro già mezzo contuso da tangentopoli) e così i corpi estranei hanno fatto breccia e ora dettano legge e succhiano soldi.
RispondiEliminaCome uscirne?
Questo intervento è bello anzitutto perché si risolve in un attacco di sponda al Movimento Radicale (forse però interpreto aldilà delle Sue intenzioni).
RispondiEliminaIn secondo luogo, al paradigma "soprannaturale" del carisma c'è da opporre nu oggetto concreto, dal momento che la capacità di leadership è, apparentemente, pur sempre qualcosa. In questo senso, una delle sue caratteristiche è quella dell'assunzione di responsabilità, ovvero il farsi carico di determinati corsi d'azione, con tutte le possibili conseguenze che ne possono scaturire. Lei non crede?
Nicola Catania