domenica 18 agosto 2013

I referendum «initially sponsored by Radical party» («Strumento di democrazia diretta» / 3)

Oltre a quelli già presi in considerazione (1, 2), Arturo Labriola ha un ultimo argomento contro l’istituto referendario, che, se sul piano teorico è assai meno forte rispetto agli altri, ha unindubbia efficacia su quello pratico, traendola dall’evidenza piana, sulla quale d’altronde ci siamo già soffermati, che nella singola consultazione referendaria «ogni giudizio di insieme sfugge», e non può che sfuggire, perché l’elettore «non esamina i motivi che hanno determinato la proposta» o, per meglio dire, su essi non può esprimere un parere che connoti il valore della scelta nell’ambito in cui essa è agita, ma neanche – abbiamo visto – nell’ambito in cui essa è agente: di là dal quesito posto e dall’esito della consultazione, sostiene Labriola, un referendum trascende sempre il contesto generale entro il quale la questione che solleva si è venuta a porre, quindi non si fa carico delle questioni di opportunità che sono implicitate dal quadro politico generale, e che ne connotano i tratti.
In altri termini – e qui mi auguro di non complicare troppo le cose nel tentativo di semplificarle – la questione sollevata dal referendum ha sempre, almeno in potenza, i caratteri di un segmento disarticolato rispetto al progetto che si presume lo includa: di là dal quesito posto e dall’esito della consultazione, gli effetti generati da una consultazione referendaria, talvolta ben prima che sia dato il risultato, sfuggono ai fini posti. Non solo, si badi bene, perché Labriola ritiene «inutile o dannoso» quanto è prodotto da un qualsivoglia strumento di democrazia diretta, ma anche perché sostiene che, quando «la mozione presentata si giudica per ciò che appare»leterogenesi dei fini è la regola.

Se anche così le ragioni di Labriola rimangono poco chiare o comunque poco convincenti, non resta che ricorrere a un esempio. Suppongo sappiate che i radicali stanno raccogliendo le firme per dodici referendum. Si tratta di due pacchetti tematici (Cambiamo noi e Giustizia giusta) di sei quesiti ciascuno. Abrogazione del reato di clandestinità, divorzio breve, libertà di scelta nella destinazione dell’8xmille, abolizione della carcerazione per fatti di lieve entità relativi alla normativa sugli stupefacenti e abolizione del finanziamento pubblico ai partiti politici sono i sei quesiti del primo pacchetto, promosso da un comitato che ha trovato impulso dall’iniziativa politica di Radicali italiani, uno dei soggetti della cosiddetta «galassia». Il percorso che ha portato alla decisione di indire questi sei referendum è estremamente complicato, come d’altronde lo è tutto ciò che riguarda i radicali. Possiamo risparmiarci i dettagli, ma è importante rimarcare un dato: Marco Pannella non li voleva, e per molteplici ragioni.
In primo luogo, perché desiderava che le già esigue forze dell’area non fossero disperse per altri fini che la battaglia per l’amnistia: in pratica, temeva – e a ragione, come al momento dimostrano i risultati parziali della raccolta delle firme – che l’impresa corresse il rischio di andare incontro a un fallimento, con ovvie ripercussioni negative in termini di immagine del movimento, già ampiamente logorata dalle scelte ambigue e contraddittorie che ne hanno segnato il percorso negli ultimi vent’anni.
In secondo luogo, le questioni sollevate da questi sei referendum «guardano a sinistra», e Pannella sa bene che una qualsiasi intesa dell’area radicale con la sinistra, di cui la campagna referendaria Cambiamo noi possa essere occasione, non può realizzarsi senza un drastico ridimensionamento della sua leadership, per lasciar spazio – anche solo un po’ di spazio – a chi da anni, contro la sua volontà, lavora in questo senso.
Visto che i sei referendum prendevano la loro via, la sua contromossa è stata la presentazione degli altri sei quesiti referendari (separazione delle carriere in magistratura, abolizione dell’ergastolo, limiti all’istituto della custodia cautelare, responsabilità civile dei magistrati e rientro di quelli fuori ruolo nelle loro funzioni). Temi che «guardano a destra», bilanciando gli altri sei, e dunque neutralizzandone i potenziali «effetti indesiderati» sul piano della costruzione di eventuali alleanze politiche a sinistra. Di fatto, l’appoggio che poteva venire dalla sinistra al primo pacchetto referendario è andato riducendosi via via che a destra andava maturando, anche se in modo surrettizio e con evidenti fini strumentali, l’appoggio al secondo. È così che per un osservatore neutro come il Financial Times i referendum «initially sponsored by Radical party» sono diventati i punti di una «reform of the Italian justice system» voluta dal Pdl.

È che, nel loro insieme, i dodici quesiti sono coerenti solo al di fuori di ogni logica di opportunità che sinistra e destra sono tenute a osservare nella corrente serie di contingenze che caratterizzano l’attuale quadro politico: se mai si riuscisse a raccogliere per tutti e dodici le firme necessarie, se tutti e dodici superassero il vaglio della Corte Costituzionale, se per tutti e dodici si avesse un responso positivo dalle urne e se quanto abrogano delle vigenti normative non trovasse modo di rientrare dalla finestra dopo essere uscito dalla porta – ipotesi del tutto aleatorie, anche senza voler recepire gli argomenti di Labriola, che peraltro trovano rispondenza in ciò che è accaduto per tanti esiti referendari in Italia – ci troveremmo dinanzi a dodici segmenti di un programma liberale. Continuerebbero a non avere l’articolazione che è propria di un programma, ma non perderebbero coerenza. Di fatto, sono nati per opportunità incoerenti tra di loro e ne pagano le conseguenze sul piano delle opposte opportunità che incontrano nellodierno quadro politico italiano.
Conviene firmarli? Se si è ingenui, sì, tutti. Se si è cinici, solo alcuni. In entrambi i casi, si sarà data ragione a Labriola. Anche senza averne coscienza.    

3 commenti:

  1. Forse non c'entra nulla ma mi è venuto in mente che gli ultimi referenda, quelli che riguardavano l'acqua ad esempio, sono stati utilizzati per una campagna ideologica folle, nel tentativo fallito di ricompattare l'are alla sinistra del PD. Un servizio complesso come quello idrico, in un paese come l'Italia che ha ancora diversi problemi (le fogne, la qualità dell'acqua erogata, l'erogazione intermittente) è stato ridotto al pericolo di una proprietà mista (e quindi svincolata, secondo i bene-comunisti, da ogni paletto su investimenti, modi ed i prezzi del servizio) delle aziende di gestione. Almeno se ho capito bene, perché son passati anni ed ancora la cosa mi sfugge, in parte.

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    1. non so in che paese comunista viva lei, ma le assicuro che io, in pieno regime di azienda privata con una partecipazioncina pubblica piccina piccio', di investimenti nel miglioramente della rete idrica e di quella fognaria ne ho visti pochini, anzi, i costi sono lievitati ed il servizio è peggiorato, ma tanto poi i soci si spartiscono i loro bei dividendi. ho visto poi la stessa azienda, concessionaria pure per la raccolta rifiuti, alimentae un termovalorizzatore con la frazione di plastica che sulla carta doveva essere avviata al riciclo. ps vivo nel nordest

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  2. Chiedo scusa per il fuori-tema.
    Pannella: "non sapevo che Dino stesse, in qualche modo, male."
    In 'che modo' Dino Marafioti stava male?
    Nessuno aveva capito nulla?

    Bordin:"penso, anzi, 'temo' che sulla morte di Dino dovremo avviare una riflessione seria. Bisognerà riflettere, su questa morte".

    Che cosa è successo? C'è un silenzio impressionante.

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