lunedì 19 maggio 2014

Il Pasquino di Caravaggio



Sul farsi prendere la mano dinanzi a un’opera d’arte mi sono già intrattenuto in cinque o sei occasioni su queste pagine, oggi vi ritorno sollecitato da un articolo a firma di Maddalena Spagnolo apparso ieri su Domenica de Il Sole-24 Ore, che fin dal titolo (Il Pasquino di Caravaggio) offre un altro esempio di quel piegare le evidenze a un’interpretazione che poi ci viene offerta come folgorante scoop. Peccato, perché l’articolo, che una nota in coda al testo ci informa essere il sunto di una relazione che l’autrice ha tenuto ad un convegno su Society and Culture in the Baroque Period (Roma, 17-19 marzo 2014), sembrava accogliere sennatamente il «limite» oltre il quale l’analisi si fa «sfida» così spesso destinata a un esito tragicomico. Ma veniamo al dettaglio.
Dopo aver accuratamente ripercorso le vicende relative al frammento scultoreo «dissotterrato a Roma nel tardo Quattrocento e presto denominato Pasquino», per secoli ritenuto «opera d’arte antica di eccelso valore» in virtù della «resa accurata della muscolatura delle due figure», Maddalena Spagnolo ci dice che l’esserci giunto mutilo ha «stuzzicato» intere generazioni di artisti e di critici alle più bislacche ipotesi riguardo a cosa raffigurasse originariamente: sulla base di solidi argomenti oggi è concordemente riconosciuto come ciò che resta di «una scena di pietas militare» (quasi certamente un Menelao che sorregge un Patroclo morente), ma in passato si offrì alle più fantasiose interpretazioni, di quelle affini al «guardare le macchie informi sui muri o le nuvole del cielo immaginandovi immagini nascoste», con ciò segnando la superiorità del «nostro approccio» alle opere d’arte del passato per «il pregio di essere filologicamente più corretto rispetto a quello degli artisti di un tempo…»; e qui scapperebbe un «brava», ma non si fa in tempo, perché la frase chiude a questo modo: «… ma ha il limite di allontanarci dal loro modo fantasioso di guardare alla statua».
E che, sarebbe un «limite», questo? Per Maddalena Spagnolo, in buona evidenza, sì, e non indugia a darcene conferma con la fantasiosa ipotesi che il Caravaggio si sarebbe ispirato al Pasquino per la sua seconda versione del San Matteo e l’angelo che oggi si ammira nella Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, «qui presentata in versione speculare», ribaltata sull’asse verticale, per meglio venire incontro alla tesi. 


«La postura del santo, con il ginocchio poggiato sullo sgabello, ricorda da vicino quella di Pasquino la cui gamba spezzata all’altezza del ginocchio tocca il piedistallo», e «il capo dell’apostolo che si volge di scatto e si inarca leggermente per dialogare con l’angelo crea un analogo contrapposto con l’arco disegnato dal braccio» dando all’insieme un «analogo tipo di torsione serpentinata», mentre di poi «perfino la mano sul libro […] rievoca la mano che sorregge il corpo di Patroclo nel gruppo scultoreo» e «le scanalature delle costole del petto che emergono dalla scollatura della tunica di San Matteo si apprezzavano un tempo anche dal chitone di Pasquino, come si vede in un disegno di Francisco de Hollanda», prima che fossero cancellate; d’altronde, «Pasquino troneggiava all’angolo di Palazzo Orsini, a poche centinaia di metri dalla chiesa di San Luigi dei Francesi» ed «è possibile che anche Caravaggio, nel momento in cui si trovò a ideare una pala d’altare destinata a rimpiazzare il lavoro di uno scultore, Jacon Cobaert, si sia soffermato a guardare quel “nobilissimo” gruppo», per ispirarvisi: senza riuscire a fare lo stesso scoop di Maddalena Spagnolo, non era lo stesso Roberto Longhi a ravvisare in quel San Matteo «una rinnovata “maniera grande” [e] l’adozione di un “costume aulico” e “quasi una classicità”»?
Siamo dinanzi a molte sconvenienti forzature. Il fatto che un autorevole studioso del Caravaggio abbia intravvisto stilemi classicheggianti in quel San Matteo porta di fatto prove certe alla fantasticheria? E se l’autorevolezza di Roberto Longhi è surrettiziamente richiamata per dare solidità alla tesi esposta, si può poi sminuirla con l’implicito rilievo che non fu in grado di cogliere così evidenti analogie con Pasquino?
Certo, è possibilissimo che Caravaggio abbia avuto modo di soffermarsi a studiare Pasquino e a trovarvi più o meno conscia ispirazione per il suo San Matteo, ma gli elementi formali che lo caratterizzano sono così intelligibilmente riferibili al residuo gruppo scultoreo? Dov’è l’analogia tra la mano del santo poggiata sul libro e quella di Menelao che sorregge il torso di Patroclo? Dov’è l’analogia tra «le scanalature delle costole del petto che emergono dalla scollatura della tunica di San Matteo» e quelle che nessuna incisione raffigurante Pasquino, nemmeno quella di Francisco de Hollanda, può riportare, e per la semplice ragione che Menelao ha un vigoroso pettorale destro e quello sinistro è coperto da un pannato? E quanti dipinti della stessa epoca, caravaggeschi e no, ritraggono figure con «analogo tipo di torsione serpentinata»? Tutte ispirate a Pasquino?
Ai profani il «guardare le macchie informi sui muri o le nuvole del cielo immaginandovi immagini nascoste», agli studiosi d’arte in cerca di visibilità scoperte del genere.

5 commenti:

  1. Bisogna ammettere, questa è meglio del cervello di Michelangelo alla Sistina.

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    1. Senza dubbio, d'altronde la Spagnolo è una con la testa sulle spalle, che sono pure spalle larghe. E' che il farsi prendere la mano è tentazione cui è difficile non cedere di tanto in tanto.

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  2. invece de romper li cojoni
    s'annassero a guarda' er Giano der Boccioni...

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  3. Caro Luigi Castaldi sinceramente nel tuo commento non trovo alcuna argomentazione che confuti l'ipotesi di Maddalena Spagnolo, ma solo un atteggiamento supponente e arrogante ben diverso dall'approccio cauto e analitico della studiosa. Mi sa che sei tu che cerchi lo scoop, non la Spagnolo. L'individuazione del Pasquino come modello del San Matteo è portata come ipotesi; ipotesi che è, a mio parere, molto convincente, data la fama che il Pasquino aveva allora come statua di grande valore artistico. Maddalena Spagnolo, nel citare il discorso sulle "macchie informi" che ti indigna tanto, sottolinea come il modo di guardare ai modelli del passato che adottavano gli artisti nel 1600 era ben diverso dall'approccio odierno. Il riferimento a Longhi, che tu interpreti come fatto oltraggioso perchè contiene un " implicito rilievo che non fu in grado di cogliere così evidenti analogie con Pasquino", non è per nulla da interpretare così. Longhi avrebbe molto apprezzato questo articolo dato che era ben consapevole del fatto che la storia dell'arte è un libro aperto dove ognuno aggiunge un nuovo tassello anche grazie a spunti o suggerimenti mutuati da altri. Se si parte dal presupposto che se qualcosa non è stata notata da un grande storico del passato allora non sussiste, allora non si andrebbe mai avanti.

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    1. Caro Anonimo, prima di stendere questo post io ho letto con attenzione l'articolo di Maddalena Spagnolo, nella quale non ho avuto difficoltà a riconoscere, come ho scritto nella risposta al commento di un lettore (vedi sopra), "una con la testa sulle spalle, che sono pure spalle larghe". Non mi pare, invece, che tu abbia letto il post con altrettanta attenzione prima di lasciare il tuo commento. In primis, io non mi "indigno" affatto per quella che ritengo una tentazione alla quale è facile cedere quando si esercita l'attività di critico o di storico: l'ho definita "farsi prendere la mano", che mi pare sia locuzione che ben esprima l'intento da cui muove e l'incidente che rischia. In secondo luogo, devo confessarti che stupisco dinanzi all'imputazione che formuli a mio carico quando dici: "Mi sa che sei tu che cerchi lo scoop, non la Spagnolo". Io non sono affatto nelle condizioni di cercarlo, ma neppure di volerlo cercare: non esercito la professione di critico, né quella di storico, sicché, quand'anche avessi le prove che la tesi della Spagnolo sia indiscutibilmente infondata (chessò, producessi un chirografo del Merisi che attesti l'essersi ispirato per il San Matteo ad altro che al Pasquino), la mia confutazione non avrebbe mai le coordinate di contesto necessarie a renderla contro-scoop. D'altra parte, anche la Spagnolo non produce prove, ma indizi, che io mi sono limitato a definire suggestivi, ma forzati. E venendo al merito della questione, sulla quale tu non aggiungi altro rispetto a ciò che era scritto nell'articolo apparso su Il Sole-24 Ore: (1) sapevo già, prima di leggerlo nel suddetto articolo, che "il modo di guardare ai modelli del passato che adottavano gli artisti nel 1600 era ben diverso dall'approccio odierno", ma questo riguarda il tentativo di farsi un'idea riguardo a quale gruppo originario appartenesse il frammento, e in nulla attiene a ciò che ho messo in discussione nel post; (2) che il Pasquino sia stato preso a modello da molti artisti del 1600 è vero, ma questo dev'essere provato riguardo al San Matteo del Caravaggio e a me pare la Spagnolo non l'abbia fatto (basti richiamare qui le sue osservazioni sulla mano che regge il tronco di Patroclo e sulla conformazione del costato di Menelao, che ad una seria analisi degli elementi formali non regge; (3) in quanto all'argomentazione per ricorso all'autorità, che in retorica è fallacia e in ambito scientifico è tributo, se rileggi con attenzione ciò che ho scritto, vedrai che io mi sono limitato a dire che più imperativo è il ricorso all'autorità, tanto più il soccorso che le si chiede non può andare oltre ciò essa concede: e in questo caso il Longhi non offre nulla che richiami al Pasquino,ma a una "maniera grande", a un "costume aulico" e a "quasi una classicità", che non sono né traccia, né indirizzo, rendendo la tesi della Spagnolo non un segmento continuo all'analisi del Longhi, ma il tipico caciocavallo appeso in aria.

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