Ero
troppo preso dal ricostruire le circostanze che mi hanno mandato
fuori strada circa l’identità
del «rivoltoso sconosciuto» di piazza Tienanmen, per poter prestare
la dovuta attenzione, ma anche e soprattutto la necessaria
disposizione d’animo,
alle circostanze che qui in Italia e, prim’ancora,
in mezzo mondo, a partire dal Regno Unito, hanno mandato fuori strada
molti organi d’informazione
circa la morte di Noa Pothoven, sicché solo in queste ultime ore ho
recuperato gli estremi della faccenda per come realmente ha avuto
svolgimento, e preziosi in tal senso mi sono stati gli interventi
succeditisi nelle ultime 48 ore sulla pagina Facebook di Marco
Cappato, tra i primi a smentire la notizia che in un ospedale
olandese fosse stata praticata l’eutanasia
su una minorenne perché depressa, e con tanto di placet clinico e
legale, tra i primi a chiarire che invece si era lasciata morire di
fame e di sete, e a casa sua, proprio perché quel placet era
mancato.
Reduce
da un infortunio che in sostanza era della stessa natura (superficialità nel trattamento delle fonti), potete
immaginare con quanta curiosità mi sia interessato al modo col quale
vi mettevano riparo le prestigiosissime testate e le autorevolissime
firme che ne avevano subìto uno uguale, constatando che però tutto
andava come al solito, con chi faceva finta di niente, passando
subito a parlar d’altro,
chi dava conto dell’errore,
ma en passant, come si fosse trattato di un refuso tipografico, e chi
se ne assumeva la responsabilità, ma solo per lasciar spazio a
giustificazioni ed attenuanti che in sostanza la rigettavano: nessuno
che ammettesse l’errore,
chiedesse scusa e si impegnasse a non ripeterlo. In generale, mi è
parso che si intendesse dire al lettore: «Guarda che nel rilanciare
la bufala non sono stato vittima meno di quanto lo sia stato il lettore che se l’è bevuta,
perché la storia dava corpo a quell’ipotesi
di piano inclinato che è tra più suggestivi espedienti retorici di
chi si oppone a una legislazione che riconosca il diritto
all’eutanasia,
e che dà sostanza anche alle riserve di non vi si oppone per ragioni
di principio, ma solo perché ne teme le derive. Cerca di essere
indulgente, dunque: cascarci era facile, e in fondo anche in te
l’orrore
ha lasciato poco spazio all’incredulità».
Sempre meglio di un «ci hai creduto, faccia di velluto», e già è
tanto.
Poi
c’è
Il Foglio, ma si sa che Il Foglio fa categoria a parte. Mercoledì 5
giugno: «La morte on demand è realtà, l’Olanda pratica
l’eutanasia su una minorenne depressa. Una ragazza olandese di 17
anni, Noa Pothoven, ha ottenuto l’eutanasia, legale nei Paesi
Bassi, a seguito di una violenza sessuale subita all’età di 11
anni». Notevole è quell’«a
seguito», che lega violenza a violenza, stupratore ad assassino.
«Qui c’è una riflessione da fare. [...] L’eutanasia era
iniziata come metodo estremo per porre fine alle sofferenze dei
malati incurabili, condannati a morte certa, per abbreviarne il
calvario. “Compassione”, si disse. Gli oppositori avevano evocato
lo slippery slope, il tema del piano inclinato. Non ci saremmo
fermati ai malati incurabili. [...] La vicenda di Noa questo ci dice:
una volta che si accetta di camminare sul piano inclinato si finisce
contro il muro della “death on demand”. La morte su richiesta.
Come un qualunque altro servizio sanitario».
Giovedì
6 giugno? Ok, Noa non ha ricevuto l’eutanasia,
ma «avrebbe potuto riceverla». Anche se s’è
saputo che le era stata negata? Poco importa, la ragazza aveva deciso di lasciarsi
morire di fame e di sete e «lo stato olandese aveva acconsentito alla
sua morte decidendo, in accordo con la famiglia, di non intervenire».
E questa è eutanasia? Non stiamo troppo a sottilizzare: la notizia
era una bufala, ma in fondo, in fondo, in fondo, non lo era.
Come non
restare incantati di fronte a tanta disinvoltura nel trattare i
propri infortuni? Averne almeno un po’,
di tanta faccia tosta, che invidia!
perdoni, Malvino, ma il paragone non mi sembra calzante. I giornalisti vivono del loro lavoro e ammettere platealmente i propri errori potrebbe pregiudicare il loro reddito. Tutti quelli che lavorano sbagliano, ma non si può pretendere che un avvocato, un idraulico o un dottore pubblicizzino i propri errori...
RispondiEliminaIl giornalista ha dei doveri di altra natura, soggetti a procedimenti disciplinari anche di una certa entità (azione intrapresa non necessariamente in seguito ad epistole europee puntate; non minacce ma consigli s'intende). E rischia anche l'istituzione che non si attiva nel far rispettare i doveri, anche perché in molti casi i doveri di alcuni sono diritti negati ad altri.
RispondiEliminaAnticipo per chi non continua la lettura del testo dell'ODG: ultimamente qualcuno ha escogitato un modo furbesco per forzare il sistema, per sfangarla col sacco di soldi come nei film, cioè passare dallo status di giornalista a quello di showman (un noto personaggio televisivo progressista ha ormai fatto scuola). E' il progresso, bellezza! O il regresso in bruttezza?
Testo unico
dei DOVERI del giornalista
Approvato dal Consiglio Nazionale nella riunione del 27 gennaio 2016
Articolo 9
Doveri in tema di rettifica e di rispetto delle fonti
Il giornalista:
rettifica, anche in assenza di specifica richiesta, con tempestività e appropriato rilievo, le informazioni che dopo la loro diffusione si siano rivelate inesatte o errate;
non dà notizia di accuse che possano danneggiare la reputazione e la dignità di una persona senza garantire opportunità di replica. Nel caso in cui ciò si riveli impossibile, ne informa il pubblico;
verifica, prima di pubblicare la notizia di un avviso di garanzia che ne sia a conoscenza l’interessato. Se non fosse possibile ne informa il pubblico;
controlla le informazioni ottenute per accertarne l’attendibilità;
rispetta il segreto professionale e dà notizia di tale circostanza nel caso in cui le fonti chiedano di rimanere riservate; in tutti gli altri casi le cita sempre e tale obbligo persiste anche quando si usino materiali – testi, immagini, sonoro – delle agenzie, di altri mezzi d’informazione o dei social network;
non accetta condizionamenti per la pubblicazione o la soppressione di una informazione;
non omette fatti, dichiarazioni o dettagli essenziali alla completa ricostruzione di un avvenimento.
TITOLO V
SANZIONI
Articolo 15
Norme applicabili
La violazione delle regole e dei principî contenuti nel «Testo unico» e integranti lo spirito dell’art. 2 della legge 3.2.1963 n. 69 comporta per tutti gli iscritti all’Ordine dei giornalisti l’applicazione delle norme contenute nel Titolo III della citata legge.
Articolo 16
Norma transitoria
Il «Testo unico» entra in vigore il 3 febbraio 2016. I procedimenti disciplinari avviati prima di tale data sono definiti mantenendo il riferimento ai precedenti documenti deontologici.
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legge 3.2.1963 n. 69
TITOLO III. Della disciplina degli iscritti
48. Procedimento disciplinare.
Gli iscritti nell’albo, negli elenchi o nel registro, che si rendano colpevoli di fatti non conformi al decoro e alla dignità professionali, o di fatti che compromettano la propria reputazione o la dignità dell’ordine, sono sottoposti a procedimento disciplinare.
Il procedimento disciplinare è iniziato d’ufficio dal Consiglio regionale o interregionale, o anche su richiesta del procuratore generale competente ai sensi dell’art. 44.
51. Sanzioni disciplinari.
Le sanzioni disciplinari sono pronunciate con decisione motivata dal Consiglio, previa audizione dell’incolpato.
Esse sono:
a) l’avvertimento;
b) la censura;
c) la sospensione dall’esercizio della professione per un periodo non inferiore a due mesi e non superiore ad un anno;
d) la radiazione dall’albo.