Nel
trentennale degli incidenti di piazza Tien An Men, doppio paginone de
la
Repubblica,
a firma di Ezio Mauro. Tra le foto, immancabile, quella che è
diventata il simbolo della protesta che fu affogata nel sangue,
l’uomo
in camicia bianca che sfida la colonna di carrarmati: il «rivoltoso
sconosciuto»,
così nella didascalia.
Il
Corriere
della Sera
ci aveva pensato ieri, articolo di Marco Del Corona e boxino ad
annunciare per oggi, in allegato al giornale, Piazza
Tienanmen,
raccolta di saggi e reportage a cura di Marcello Flores, in copertina una rielaborazione grafica della foto (XxYstudio). Lo sfoglio:
normale non trovare il nome di quell’uomo
da pag. 48 a pag. 232, si tratta di articoli coevi ai fatti, ma non
ve n’è
traccia neppure in quelle che precedono (presentazione di Marcello
Flores, articoli di Fabio Lanza e Guido Santevecchi), scritte al più
una settimana fa.
La
Stampa,
invece, aveva anticipato a domenica il ricordo del massacro del 4
giugno 1989: Gianni Vernetti, inviato a Hong Kong, intervistava Han
Dongfang, uno dei capi della protesta. Anche lì, la «foto
simbolo»;
anche lì, il protagonista non trovava un nome.
Come
d’altronde
non lo trovava sulle pagine de Il
Fatto Quotidiano,
che nello stesso giorno mandava in pagina un articolo a firma di
Roberta Zunini e la foto d’obbligo,
però in bianco e nero, un po’
sgranata: chi è quell’uomo?
«Il
ribelle sconosciuto».
Non
diversamente con il
Giornale,
che lunedì 3 giugno, a corredo di un articolo a firma di Roberto
Fabbri, pubblicava la foto, dove al
«tank
man»
non riusciva a dare un nome: anche qui era il «rivoltoso
sconosciuto».
Ben
quattro pagine, invece, su il
manifesto
oggi in edicola (articoli di Tommaso Di Francesco ed Alessandro
Russo, con due reprint dell’epoca,
Rossana Rossanda ed Edoarda Masi); anche qui la foto, anche qui non
si ha modo di sapere chi sia l’eroe
che sbarra la strada ai quattro blindati.
Giornaloni, giornalini e giornaletti on line? Idem con patate.
Ora,
non è per star qui a rompere il cazzo a qualcuno in particolare, ma
agli eccellentissimi direttori di queste testate vorrei chiedere:
su Mark Caltagirone avete sguinzagliato intere redazioni e un po’
di pace l’avete
trovata solo quando avete potuto avvertire i vostri lettori che il
tizio non esisteva, Pamela Prati v’aveva
preso per il culo, eccetera, eccetera, possibile che il ditino vi si
anchilosava a cliccare qua e là per scoprire che il ribelle, o
rivoltoso che dir si voglia, un nome ce l’ha
e, se lo onorate dandogli il titolo di
«icona»,
meriterebbe pure fosse scritto in pagina?
Si
chiama Wang Lianxi, e per giunta è ancora vivo (*). Fu arrestato nelle
settimane successive al massacro di piazza Tienanmen e condannato a
morte, ma poi la pena gli fu commutata in ergastolo perché «malato
di mente».
Ospedale psichiatrico, ma poi nel 2007 fu rilasciato. Tornò a casa,
trovò che i genitori erano morti e la casa era stata distrutta. Un
comitato di quartiere gli procurò un posto dove dormire. Poi, nel
2008, alla vigilia delle Olimpiadi tenutesi a Pechino, fu di nuovo
arrestato e internato nell’ospedale psichiatrico Pingan nel
distretto Xizhimenwai, a Pechino, dove nel 2009 un’associazione
per i diritti umani in Cina, la Chinese
Human Rigths Defenders,
ebbe modo di incontrarlo, trovandolo un po’
intontito per gli psicofarmaci, ma in discrete condizioni fisiche. Più
in salute di Mark Caltagirone, insomma, signoroni della nostra molto sussiegosa informazione.
Sono d'accordo sulla sciatteria e la pigrizia di certo giornalismo italiano, ma sarei un po' più cauto sulla questione specifica. L'identità del ribelle sconosciuto non è mai stata accertata. Sul sito del gruppo Chinese Human Rights Defenders si trovano quattro articoli dedicati a Wang Lianxi. Mi pare che in nessuno di questi articoli venga associato al ribelle sconosciuto. Anche Asia News lo chiama semplicemete "dissidente di piazza Tiananmen". All'epoca dei fatti il Sunday Express fece il nome di Wang Weilin, arrestato "per teppismo politico e per aver minato l'autorità di membri dell'esercito della RPC". Ed è il nome di Wang Weilin che viene riportato da Wikipedia (ho consultato anche la versione cinese). Visto il capo di accusa, mi pare un'ipotesi interessante, ma si tratta pur sempre di un'ipotesi. Più recentemente (il 20 luglio 2017) il giornale di Honk Kong Apple Daily ha fatto il nome di Zhang Weimin. In conclusione mi pare di poter dire che la questione della vera identità del "ribelle sconosciuto" sia ancora aperta.
RispondiEliminaL’antonomasia che gli è assegnata come “il dissidente di piazza Tienanmen” non lo collego a quella foto?
RispondiEliminaOh, grazie per la domanda. Non ho affrontato la questione della foto per timore di appesantire il mio intervento. La risposta è "no" per due motivi. 1) È la classica foto a corredo. Se, per esempio, scrivo un articolo sugli attuali progetti di riportare l'uomo sua Luna, cosa faccio? È ovvio: uso la foto dell'impronta lasciata da Neil Armstrong. 2) Asia News non ha titolato "È in manicomio Wang Lianxi, IL dissidente di piazza Tiananmen", bensì "È in manicomio Wang Lianxi, dissidente di piazza Tiananmen". La differenza è sostanziale. Si tratta di uno dei tanti dissidenti, non del dissidente per antonomasia.
EliminaInnanzitutto mi scuso per il ritardo col quale le rispondo, ero in viaggio e solo adesso ho potuto avere modo di farlo. Di poi, devo concederle che le sue obiezioni sono solide e documentate. E' che sul "rivoltoso sconosciuto" compii delle ricerche nel 2004 per un pezzullo pubblicato sul Riformista di Polito, nel quale concludevo che non si potevano trarre conclusioni certe. Qualche anno dopo, mi pare nel 2009, se gli appunti non mi ingannano, mi arrivo l'email di un conoscente con allegato il link alla pagina di Asianews. Ho commesso l'errore, allora, reiterandolo, oggi, di credere che l'attenzione data a uno delle migliaia di dissidenti presenti in piazza Tienanmen in quel giugno del 1989 fosse dovuta all'emblematicità della sua azione. Sono colpevole di precipitazione, che ora mi risulta anche un po' spocchiosa. Non posso far altro che scusarmene.
Eliminavorrei qui ringraziare DKS, e anche lei che è capace di ammettere un errore. aggiungo però che il titolo ironico "Signoroni della nostra molto sussiegosa informazione" ci sta tutto; la vicenda di Noa Pothoven viene trattata sulle prime pagine di questa mattina con un'approssimazione che che vuole suscitare il caso dove il caso non c'è: "in Olanda si può" - testuale sul Corriere Gramellini, uguale il pezzo in prima di Rep " in Olanda la si può chiedere dai 12 anni; ; La Stampa nel titolo: "l'eutanasia a 17 anni". ho ascoltato un paio di GR, stessi contenuti; e finchè non ho letto i post di Marco Cappato non ho capito che i medici olandesi avevano opposto un rifiuto e quindi niente eutanasia, si tratta di suicidio. chiedo: ma come si fa? ad essere un paese normale senza un solo giornale credibile?
Eliminaio vorrei qui ringraziare DKS, Malvino e paolo brianzi, stavo per scrivere la stessa cosa su Noa Pothoven e il racapricciante guano mediatico di guesti giorni, sistema di potere senza alcun argine o autocontrollo, asfissiante, prepotente e deturpatore. In ultima analisi antiscientifico: senza alcun esercizio del dubbio.
EliminaCitando De Gregori: Italia assassinata dai giornali e dal cemento.
Quella porcheria è tanto grave quanto una censura, dovrebbe intervenite un certo Ordine dei Giornalisti se non fosse così deontologicamente corrotto e pericoloso. (Una generica accusa di cialtroneria, senza alcun atto concreto, sarebbe solo un diversivo assolutorio)
Mattia Feltri non legge questo blog.
RispondiEliminaPerdiana.
Stia bene.
Ghino La Ganga
E da parte mia una stretta di mano a Castaldi e a Brianzi.
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