sabato 7 maggio 2011
venerdì 6 maggio 2011
Il furbo vigliacco
Bombardiamo Tripoli perché non possiamo proprio farne a meno, ce lo chiede la Nato e ci tocca come prezzo da pagare perché i profughi non rimangano solo fatti nostri, e i nostri interessi in Libia non subiscano troppi danni, quando gli insorti dovessero spuntarla. E però siamo italiani, non possiamo essere lineari neanche nel tornare indietro sui nostri passi, tradendo un patto, sputando sulla mano che avevamo baciato, ed ecco che ora abbiamo trattative diplomatiche in corso con Gheddafi. Quasi certamente mediate dalla Santa Sede, che ci piace usare non meno di quanto ci piaccia esserne usati.
E tutto questo lo dichiariamo ufficialmente? Macché, siamo italiani: lo facciamo uscir di bocca, quasi per caso, da un sottosegretario con la forfora in un talk show televisivo del mattino. E con un velo di vanto, come se tutta questa ambiguità fosse eccelsa arte di governo, sofisticato prodotto della nostra superiore intelligenza politica, figlia di antica tradizione che onora il doppio gioco e non disdegna mai di tentarne un terzo.
Ci portasse frutti, almeno. Non ce ne porta mai. Sleali, inaffidabili, sempre pronti allo scrocco, incapaci di intrattenere relazioni internazionali a un livello superiore a quello degli accordi di interscambio: il familismo amorale è la cifra del nostro carattere nazionale, e in politica estera diventa la macchietta del furbo vigliacco.
Così fan tutti? Con altro stile. Anche Germania, Francia e Inghilterra difendono i propri interessi, non essendo ancora chiaro se ve ne sia uno europeo, ma le regole sono accettate e condivise: c’è l’interesse nazionale, l’interesse di coalizione, c’è una risoluzione dell’Onu e i diversi modi di leggerla, ci sono pure i colpi bassi e gli sgarbi, ma ciascuno e tutti si decide, e almeno si evita – ciò che l’Italia non sta evitando, anzi – di sparare sull’esercito di Gheddafi, per difendere gli insorti sui quali l’esercito di Gheddafi sparava, intanto trattando con Gheddafi, sicché se prima ce ne fregavamo dei morti anti Gheddafi adesso ce ne fottiamo pure di quelli pro Gheddafi. Poi tra mezzo secolo chiediamo scusa e stringiamo un accordo con tanto di risarcimento.
Come tra Granarolo e Parmalat
Lasciarsi andare al sarcasmo sarebbe inevitabile nel commentare la puntata di Qui Radio Londra andata in onda ieri sera, ma sarebbe pure fare un favore a Giuliano Ferrara, che cerca disperatamente audience, e a modo suo, sennò almeno l’incidente – il sospetto viene – per chiudere il programma senza dover pagare penali. Se una riflessione può essere utile, sarà necessario evitare il sarcasmo, negando al trash l’attenzione che chiede, perché agitarsi, urlare, tirar fuori la camicia dai pantaloni, sfidare Beppe Grillo da vaiassa a vaiassa, da ianara a ianara, senz’altro reale fine che far baccano, per solleticare il ventre della plebe televisiva – tutto lo squallore che ieri sera è stato buttato in faccia al telespettatore – cerca partecipazione emotiva, simpatia o antipatia, ammirazione o disprezzo, vorrebbe costringere a scegliere tra Grillo e Ferrara, come tra Granarolo e Parmalat: sembra una sana competizione, ma puzza di wrestling. Ora, puoi schifarlo quanto vuoi, il wrestling, ma se ti ci soffermi, anche solo un po’ più di quanto vorresti, finisci per tifare per uno dei due variopinti.
Limitiamoci a dire che Qui Radio Londra sta cominciando a far perdere ascolti ad Affari Tuoi: prima, alla fine del Tg1, c’era un crollo dello share che risaliva subito, appena Ferrara andava via; adesso la ripresa è assai più lenta, come se il telespettatore tornasse su Raiuno solo quando strasicuro che Qui Radio Londra è finita; e Ferrara comincia a capire che ha sbagliato fascia e rete.
giovedì 5 maggio 2011
Il delfino
Ieri, fra le altre, girava voce che Ayman al Zawahiri dovrebbe prendere il posto di Osama bin Laden. Anche qui il mito abdica in favore di un astuto ragioniere.
mercoledì 4 maggio 2011
Crocifiggersi
“Police were awaiting a forensics report to determine the cause of death and whether it was a homicide or suicide” (guardian.co.uk, 4.5.2011). Mica solo nelle Filippine.
Tra libare e allibire
Ogni 11 settembre ci sentiamo chiedere dove fossimo quando abbiamo saputo dell’attacco alle Twin Towers, e cosa stessimo facendo, quale sia stato il primo pensiero, la nostra prima reazione emotiva. Nulla sarà più come prima, anche per questo: prima ci facevano le stesse domande, ma in relazione allo sbarco sulla Luna, alla caduta del muro di Berlino, ecc.
Incastonare l’evento di dimensioni storiche in una stanza di vita quotidiana – la mia, la tua, la sua – non è un passatempo ozioso: è uno dei modi – neanche il più inutile, non il più rozzo – che abbiamo per ridurre la spesa emotiva che ogni evento storico ci chiede, non importa chi quale segno. Dov’ero, e che pensavo, mentre guardavo Italia-Germania di Mexico ’70? Che stavo facendo, e dov’ero, quando il terremoto devastò l’Irpinia? Quale è stata la prima reazione alla notizia del rapimento di Aldo Moro, e dove mi trovavo quella mattina? L’onda della storia si abbatte sul quotidiano, e il quotidiano riesce ad attenuarne l’urto, assorbendola: diventiamo porosi per non spezzarci e così la storia ci entra dentro senza fare troppo danno. Poi, sì, può diventare pure un passatempo, un gioco di società, anche un poco coatto, da narcisisti che amano esibirsi con l’evento storico sullo sfondo, quando non è peggio, cioè rituale esorcistico, seduta spiritistica, coro stonato; in genere, però, chiedere “come avete reagito quando avete saputo di …?” non è cosa malvagia, anzi, è un invito alla condivisione della spesa emotiva collettiva.
Alberto Cane lo fa con la notizia dell’uccisione di Osama bin Laden, che in realtà è come chiederci quale sia stata la prima reazione emotiva alla notizia dell’attacco alle Twin Towers, ma di sponda; e invita ad aggiungere la nostra alla sua, che è questa: “Sono rimasto allibito e non ho esultato. Pensavo fosse già morto”. Direi che qui l’evento trovi poca porosità, come se fosse già tutto assorbito, e al refluo si fosse impermeabili. Meglio che altrove, forse, dove si arriva allo sfarinamento, e prima si brinda e poi ci si pente un poco, e allora si spiega che è per salutare un “atto di giustizia”, come si fa a Mitilene quando schiatta Mirsilo. Senza tener conto a Mirsilo subentra Pittaco, uno dei Sette Sapienti, che emana una legge che raddoppia le pene per i reati commessi in stato di ubriachezza.
martedì 3 maggio 2011
Bleah
Non fosse per tutto il resto, c’è una questione estetica che mi rende repellente il cattolicesimo: troppo feticismo, e di un così cattivo gusto, che al confronto mi sembrano decenti perfino il tao, la gnosi, l’islam e il latex.
Michelangelo
Nanni Moretti lamenta che la Rai ha acquistato Il Caimano ma non lo manda in onda (La7, 1.5.2011). Può lamentarlo da abbonato Rai, ma non da autore, tanto meno da venditore. E non parliamo di un’opera d’arte che in copia unica venga acquistata da un privato per goderne in solitudine sottraendola al godimento di chiunque, ma dell’esclusiva dei diritti televisivi su un film che da chiunque può essere acquistato in dvd. Hai ceduto questa esclusiva? E quale pretesa accampi? Si tratta di un film che hai girato tu, ne avrai certamente una copia a casa, puoi proiettartelo quando ti pare e piace. Da abbonato Rai, in teoria, puoi lamentarti, ma come autore che ha ceduto quell’esclusiva, in pratica, non è meglio se stai zitto? Peraltro, altri abbonati Rai già si sono lamentati: non puoi limitarti a dire che condividi?
Ecco, domenica sera, Nanni Moretti mi è parso buffo come se il Buonarroti lamentasse di sentirsi un po’ troppo imbottigliato nella Cappella Sistina.
Stolti
Un cancro può regredire spontaneamente. Rarissimo, sempre inspiegabile, ma non impossibile. In realtà, neppure è mai possibile escludere che la diagnosi fosse errata. Di fronte a un cancro che regredisce spontaneamente, insomma, si può credere a un miracolo fatto da un santo o a un errore fatto da una équipe clinica, a piacere, anche quando entrambi sono indimostrabili: ci si può affidare a quella che pare l’ipotesi più verosimile, secondo il gusto. Basta non pretendere che quella sia la sola spiegazione possibile.
Alcuni anni fa, un collega mi raccontava di aver portato sul tavolo operatorio una paziente che tutti gli esami diagnostici – tutti – gli davano come portatrice di un cancro, di quelli che si decide di asportare solo per sperare di rosicchiare alla morte qualche mese di vita in più. Bene, apre e non trova il cancro. Inspiegabile, ovviamente. Il fatto è che la paziente non credeva nel soprannaturale.
“E come hai risolto?”, chiedo.
“Le ho detto che avevamo molto pregato per lei – tutti – e che escludere un miracolo era offensivo per la nostra fede”.
“E lei?”.
C’era ancora la lira, e l’avvocato dell’atea fu assai bravo: una dozzina di anni dopo fu complessivamente risarcita nella misura di 750 milioni. Anche poco, se si pensa che a pagare erano in quattro, e coperti da una buona assicurazione.
Morale Si può capire il farlo ai funerali, ma gridare “santo subito” dopo averlo appena fatto beato è da stolti: bisogna provare un secondo miracolo, e la fede ha i tempi lunghi di ogni tribunale.
lunedì 2 maggio 2011
Battere sul tempo il Time
“Chi non muore si rivede, non manda avanti il vice. Osama avrebbe interesse a farsi rivedere, se fosse vivo. Infatti i suoi, finché possono, confezionano messaggi e messaggini di dubbia fattura per dimostrare che è vivo e lotta insieme a loro. Ma la prova semplice semplice di quel che dicono non la danno, e il dottore sostituisce lo sceicco profeta. Resta la possibilità generica che Osama sia vivo. Ma resta soprattutto la domanda: perché noi desideriamo credere che sia vivo? Piuttosto di esporsi a una gaffe planetaria, cercando di dimostrare l’indimostrabile, la Cia e i governi occidentali di guerra (ma anche quelli disertori) hanno interesse alla sopravvivenza del mito di un Osama vitale. Per i nemici dell’islam radicale, è un memento che spaventa le opinioni pubbliche, e se non puoi avere un succulento scalpo del nemico, meglio il suo spettro. Per i disertori o per i leali rivali di Bush, è la prova che la sua strategia è impotente. Ecco considerato a suon di logica il perché non possiamo fare quel titolo: OSAMA BIN AMEN, ma è come se l’avessimo già messo in pagina”
Il Foglio, 11.9.2004
Chiedo rispetto nei confronti di Maurizio Gasparri
Ho tolto il video a questa pagina di YouTube, perché non voglio che la faccia di Gasparri vi condizioni, facendovi scivolare nella grassa fisiognomica, anche un po’ razzista, che sembra essere l’unico argomento in certe malfamate aree del web. Anzi, una tantum, astenetevi da apprezzamenti personali sugli illustri contemporanei dei quali tengo il commentario o non crucciatevi se li cestino: mi deprimono.
E dunque concentratevi su quello che dice, non pensate al fatto che è Maurizio Gasparri, non pensate alla sua faccia: Barack Obama era appena stato eletto, non erano le stesse previsioni che facevano gli intelligentissimi ed elegantissimi analisti de Il Foglio?
Si tenga presente, inoltre, che pur avendo i bulbi buffi e il labbrone pendulo, Maurizio Gasparri non ha mai dato Osama bin Laden per morto prima del tempo, come Giuliano Ferrara ci dava per certo fin dal 2004. E tuttavia, mentre possiamo esser certi che adesso Maurizio Gasparri stia rintanato nello scuorno perché non se ne vede ombra e non se ne sente fiato, ilfoglio.it pare obamiano da sempre, per tacere di Christian Rocca, che addirittura è nero.
Chiedo rispetto nei confronti di Maurizio Gasparri: diceva quello che aveva letto su Il Foglio, lo faceva per sembrare intelligentissimo ed elegantissimo, cercava – poverino! – di difendersi dal pregiudizio della fisiognomica. Ma quel ganzo di Christian Rocca, invece, che scusa ha?
[fonte audio: Giornalettismo]
Per la precisione
“Sotto il segno di Giovanni Paolo II anche i rapporti tra Italia e Vaticano conoscono una svolta politico-diplomatica di straordinaria rilevanza. Merito anche di Bettino Craxi, presidente del Consiglio alla metà degli anni Ottanta, il quale ebbe il coraggio e la decisione di realizzare il nuovo Concordato con la Chiesa cattolica. Anche solo per questo successo, che non fu conseguito né dai democristiani, né dai laici prima di lui al governo, la memoria del leader socialista è consegnata alla storia politica italiana”.
Così scrive Luigi Amicone, senza spiegarci perché il nuovo Concordato non sia stato possibile prima del 1984. Merito di Craxi? Demerito dei democristiani e dei laici prima di lui al governo? Significa stravolgere i fatti, che in questo caso non sono suscettibili di altra lettura: nessuna revisione sarebbe stata possibile senza le due mazzate referendarie che la Santa Sede si beccò nel 1974 e nel 1981.
Basta una scorsa alle più di 300 pagine di fonti inedite che Giovanni Spadolini mette in appendice a La questione del Concordato (Le Monnier, 1976), soprattutto quelle relative alle note verbali intercorse tra Segreteria di Stato Vaticano e Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede nel biennio 1966-67, dove emerge con chiarezza un dato incontrovertibile: il Vaticano rifiutava di accettare proprio ciò che poi accettò nel 1984.
Senza le vittorie referendarie del fronte laico nessun Craxi sarebbe riuscito a portare a casa il Concordato del 1984. Che insieme all’art. 7 della Costituzione rimane la più grande vergogna della Repubblica, ma che costituisce pur sempre una decente foglia di fico grazie al venir meno dell’assunto che nel 1929 ribadiva quello albertino del cattolicesimo come religione di Stato.
Senza le vittorie referendarie del fronte laico nessun Craxi sarebbe riuscito a portare a casa il Concordato del 1984. Che insieme all’art. 7 della Costituzione rimane la più grande vergogna della Repubblica, ma che costituisce pur sempre una decente foglia di fico grazie al venir meno dell’assunto che nel 1929 ribadiva quello albertino del cattolicesimo come religione di Stato.
domenica 1 maggio 2011
Eminentissime facce di culo
Prima versione: “Già si parla delle reliquie del beato Giovanni Paolo II, è vero che esiste un’ampolla del suo sangue? Risponde Dziwisz: «Sì, l’ho chiesta ai medici del Gemelli il 2 aprile del 2005, poco prima che morisse. Una reliquia preziosa che potrà essere venerata in un santuario che si sta costruendo a Cracovia»” (Il Foglio, 18.1.2011).
Seconda versione: “Si tratta del sangue prelevato a Giovanni Paolo II negli ultimi giorni della malattia e conservato in quattro ampolle in vista di un’eventuale trasfusione, ma che poi non è stato utilizzato” (L’Osservatore Romano, 27.4.2011).
Terza versione: “Suor Tobiana, la religiosa dell’istituto di Maria Bambina che ha assistito Papa Wojtyla fino all’ultimo giorno, e suor Marie Simon Pierre, che un miracolo attribuito a Wojtyla ha guarito dal Parkinson, sono salite sul sagrato portando i due reliquiari che contengono le provette ospedaliere con il sangue che fu tolto al Papa, ricoverato al Gemelli, per le prove di compatibilità necessarie a eventuali trasfusioni” (repubblica.it, 1.5.2011).
Dall’atroce ammissione di un salasso a futura reliquia (ne parlavo qui) all’assurda menzogna di un prelievo a fine autotrasfusivo (ne parlavo qui), e ora questa immensa stronzata delle prove di compatibilità. Come se per quelle non bastassero due gocce di sangue da un polpastrello. Come se il gruppo sanguigno di Giovanni Paolo II fosse ancora ignoto dopo tutti i ricoveri ai quali era stato sottoposto nel corso del suo pontificato. Eminentissime facce di culo.
[grazie a Giovanni Luca Ciampaglia per la segnalazione]
Balle bulgare
“Provo molta pena per lo scarso senso della realtà e del ridicolo che ancora oggi induce tanti osservatori e commentatori, laici ed ecclesiastici, a rifilarci per mera compunzione balle inverosimili sull’attentato di cui fu autore il lupo grigio turco Mehmet Ali Agca, a tre anni dalla elezione di Wojtyla al soglio di Pietro e immediatamente dopo i suoi fatali pellegrinaggi polacchi; Agca cercò di ammazzarlo, quel pontefice gloriosamente minaccioso, su ordine conforme del Kgb, trasmesso attraverso il partito fratello bulgaro. S’inventano di tutto, dal traffico di stupefacenti all’islamismo ad altre storie buffe o tragicomiche, pur di negare l’evidenza. Il che era giustificabile in tempi di guerra fredda e di equilibrio nucleare, quando alla diplomazia internazionale e allo stesso Vaticano, entità responsabile, facevano paura le rivelazioni irrecusabili sui rapporti del sicario turco con le autorità spionistiche bulgare di Roma, compresa la perfetta descrizione dell’appartamento del caposcalo della Balkan Air, il committente o cooperante di un progetto lucidamente nato a Mosca, nel Cremlino di Yuri Andropov” (il Giornale, 1.5.2011).
In realtà, almeno a tener conto dalle risultanze processuali, nessuna prova valida è stata fin qui prodotta per accreditare una “pista bulgara”: nel 1986, una Corte d’Assise mandò assolti tutti i bulgari accusati di aver armato la mano di Alì Agca e, nel 1998, una Procura della Repubblica archiviò definitivamente il tutto.
È che “la perfetta descrizione [che Agca diede] dell’appartamento del caposcalo della Balkan Air” non era affatto “perfetta”, ma, anche se lo fosse stata, non avrebbe dimostrato alcun collegamento certo tra Antonov e Andropov, semmai tra padre Felix Morlion e la Cia (via Michael Ledeen) [*], né dagli archivi dei servizi segreti di Mosca, Berlino Est e Sofia è mai emersa prova di un ordine partito dal Cremlino.
La prima a parlare di una “pista bulgara” è Claire Sterling, una scrittrice americana dalle accertate frequentazioni con uomini della Cia, da qualche tempo trapiantata a Roma, in un articolo che apparve nel settembre del 1982 su Reader’s Digest, per essere subito rilanciato da alcune tv americane. Due mesi dopo, quando è già stato condannato all’ergastolo da oltre un anno, Agca tira finalmente in ballo i bulgari. “Rivelazioni irrecusabili”? Stando alle risultanze processuali, tutt’altro. Per un garantista del calibro di Giuliano Ferrara non dovrebbe trattarsi di un dato irrilevante. E dunque: chi rifila balle?
[*] Su questo punto, ma anche su tutto ciò che indica nella “pista bulgara” un depistaggio dei servizi segreti americani: Carlo Palermo, Il papa nel mirino, Editori Riuniti 1998 - pagg. 6o-112.
[*] Su questo punto, ma anche su tutto ciò che indica nella “pista bulgara” un depistaggio dei servizi segreti americani: Carlo Palermo, Il papa nel mirino, Editori Riuniti 1998 - pagg. 6o-112.
Freddy The Flying Dutchman & Sistina Band (1979)
Wojtyla, Wojtyla, Wojtyla disco dance
Wojtyla,Wojtyla, Wojtyla disco funk
Looking out for the light
after such long black night
He's nice, he's the man
The new Pope in the Vatican...
But from Poland comes the man,
the new Pope in the Vatican.
Wojtyla, Wojtyla, Wojtyla disco dance
Wojtyla,Wojtyla, Wojtyla disco funk
If you go to the discoteque,
should Wojtyla stay awake
swing around in polka dance,
up and down it's romance
Since they know he's the man
the new Pope in the Vatican.
Wojtyla, Wojtyla, Wojtyla disco dance
Santo
Non sappiamo ancora di chi sarà protettore. In vita, senza dubbio, lo fu di Marcial Maciel Degollado: è che Solidarnosc non si teneva su solo a rosari e, per quanto il fondatore dei Legionari di Cristo fosse una vera e propria fogna, portava un gran bel mucchio di denari all’Obolo di San Pietro e, insomma, chiudere un occhio era misericordia. Ecco, potrebbero farlo protettore di quei preti lì.
sabato 30 aprile 2011
Come fate a odiarlo?
La malattia mentale di Silvio Berlusconi è tutta squadernata nelle risposte che dà a chi gli chiede un giudizio su Giovanni Paolo II, per Tv7 (Raiuno, 29.4.2011): gli chiedono del beato, ma parla di sé.
Karol il Grande? Oh, certo, lui l’ha incontrato molte volte, anche prima di entrare in politica. Una volta gli ha portato la squadra del Milan e si sono intrattenuti a chiacchierare, da manager a manager.
Un’altra volta gli ha portato mamma Rosa (che è la mamma più speciale del mondo, non foss’altro perché ha messo al mondo lui) e Giovanni Paolo Magno ne è stato tanto bene impressionato che, quando si sono incontrati successivamente, gli ha sempre fatto la personale carineria di chiedergli “e come sta, la mamma?”.
Sì, ma il Papa, il Santo – che ne pensa, Silvio Berlusconi? Non pervenuto. Wojtyla è solo una foto nel suo album personale, trofeo di un certo prestigio, figurina che un bambino come-si-deve ti fa subito “ce l’ho!”.
Narcisismo maligno, senza dubbio. Mette in imbarazzo pure chi lo intervista, che gli porge un assist. Anzi, due.
Se non riusciamo a spremere niente sul Papa e sul Santo, vogliamo parlare delle sue grandi doti comunicative? Sì, era uno straordinario comunicatore. Perciò entrava molto bene in ogni casa. Grazie alla tv. A lasciar scorrere la spirale si finirebbe col dover ricordare che lui, Silvio Berlusconi, l’ha mandato tante volte in onda dalle sue emittenti, e partecipa di quel Grande Fenomeno Pop. Non si capisce se stordito dall’estasi o spossato dalla vertigine, chi lo intervista dà un ultimo cenno di vita: e il Wojtyla politico?
Gli offrono su un piatto d’argento la sua ghiottoneria preferita – l’anticomunismo – ma pure quella “ce l’ho!”: Giovanni Paolo II è santo, sì, ma al modo di Giovanni Battista, che annunciava la venuta dell’Unto, l’anticomunista per eccellenza – ancora, sempre – lui.
Come fate a odiarlo? Non vi rendete conto che è malato?
venerdì 29 aprile 2011
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