lunedì 9 maggio 2011

Il Foglio, 9.5.2011


Oggi è eccezionale, non dovete perdervelo.

“Mi domando perché i Responsabili, o almeno molti tra di loro, si comportino con tanta repellente ingenuità, rilasciando alla stampa e alle telecamere dichiarazioni da brivido che parlano da sole: l’apparenza è quella del mercimonio, di una attrazione morbosa per la ricompensa, di odio per la concorrenza sgomitante, sono parole che parlano di un mediocre accattonaggio, di un forte disprezzo per le competenze, di una libido di potere (anche quando si tratti di mezza porzione di lenticchie) un poco oscena…”

Vendersi, sì, ma con un minimo di classe, cazzo.

“Perché non stanno un po’ zitti o, se proprio desiderino parlare, non dicono cose almeno un po’ normali?...”

Sono robe che a un venduto di gran classe fanno girare i coglioni, per quanto piccolini, si vede dall’uso del congiuntivo, tutto tattico. Questi Responsabili degradano il vendersi a mero vizio morale. Del quale peraltro si compiacciono pubblicamente, senza essere disposti a fare alla virtù neppure il piccolo omaggio di un po’ di ipocrisia. E così sputtanano il vendersi stesso, e insomma imbarazzano chiunque si venda o già si è venduto. Per non parlare dell’imbarazzo che arrecano a chi compra. Stronzi e pericolosi, questi Responsabili, hanno bisogno di essere rampognati. E chi meglio di lui?

“Nessuno può essere accusato di volere il governo, perché il governo è la posta in gioco del conflitto politico in democrazia. Ma che lo si voglia come un cono gelato, come un piacere proibito, come un sollazzo, come una sveltina, come una refurtiva luccicante, o almeno che si faccia le viste di avere simili voglie matte, questo è inspiegabile”.

Chiaro? Non si faccia le viste, almeno.

sabato 7 maggio 2011

Scongiurata l’astensione dei sordi che soffrono di insonnia



Wow, ho finalmente visto alla tv uno spot che annunciava i referendum di giugno. Era su Raitre, all’una di notte. Collocazione un pochino svantaggiata, però era uno spot con tanto di supporto per i non udenti.


La situazione



I messaggi obliqui che Mino Pecorelli mandava dalle pagine di O.P. diventano graziosi esercizi di enigmistica se confrontati a quelli che Giuliano Ferrara manda dalle pagine de Il Foglio, e insomma Pecorelli ci guadagna profilo da avventuroso mascalzoncello, forse mezzo matto ma in fondo galantuomo, come dimostra il fatto che fu sempre un morto di fame, e morì senza aver messo un soldo da parte. Ferrara, invece, non l’ammazza nessuno, e mangia, e matto non è, e ci guadagna profilo da mascalzone di ventura.

“Con una mossa che appare quantomeno irrituale, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ieri ha invitato i presidenti di Camera e Senato a valutare iniziative parlamentari dopo l’allargamento, giovedì, della compagine di governo a nove nuovi sottosegretari tutti provenienti da forze politiche oggi all’opposizione…”.
“Quantomeno irrituale”, sennò cosa? Il presidente della Repubblica sfiora l’illegittimità? Non esagerasse, sennò Il Foglio lancia uno dei suoi famosi appelli per chiederne l’impeachment, raccoglie le più importanti firme dell’intelligenza nostrana, che trovano sempre irresistibile quel genere di appello, e mette in serio imbarazzo il Quirinale.
Se ne avverte la smania, ultimamente, nelle vignette di Vincino: attaccano Napolitano con argomenti che stanno appena un po’ di al di qua di quelli usati da Sallusti e Belpietro, che però non finalizzano nell’insulto, concesso alla satira.

“Per una mancanza di comunicazione preventiva tra Quirinale e maggioranza, ieri il Pdl ha in prima battuta interpretato le parole del capo dello stato come un invito a chiedere un voto di fiducia. La reazione del Pdl, già impegnato nella campagna elettorale per le amministrative (Silvio Berlusconi sarà a Napoli il 13), è stata infatti di nervosa sorpresa”.
Napolitano avrebbe dovuto preventivamente comunicare a una parte del Parlamento quello che intendeva comunicare all’intero Parlamento. Non chiedete il perché: o avete un’intelligenza all’altezza di Giuliano Ferrara, e allora capite senza aver bisogno di chiedere, o vi fottete, e rimanete a brancolare nel buio.
Aspettate, ché vi faccio luce: quella nota del Quirinale doveva essere inviata alla sola maggioranza del Parlamento, dandole così la possibilità di eluderne il contenuto, evitando un grosso imbarazzo al governo. Ora, si sa, chi imbarazza questo governo non può essere che un comunista e Napolitano cos’è? Prego, Vincino, chiarisci il concetto.

Il vecchio comunista dopo una riunione di cellula:
Compagni lavoratori, abbattiamo il governo della reazione

“In realtà l’iniziativa del capo dello stato mirava a marcare una distanza avvertibile dalla manovra inclusiva della maggioranza nei confronti dei nuovi esponenti di governo. Un’operazione forse considerata trasformista dalle parti del Quirinale. Un segnale, quello di Napolitano, che gli ambienti del centrodestra più sensibili agli umori presidenziali non ritengono comunque di secondaria importanza”.
In realtà, Il Foglio è in grado di rassicurare Napolitano che il centrodestra potrebbe non chiederne l’impeachment. Sì, nella maggioranza c’è chi vorrebbe chiederlo, ma, se il presidente della Repubblica fa il bravo e promette di non rompere il cazzo, Giuliano Ferrara può impegnarsi a fare sensibile tutto il centrodestra agli “umori presidenziali. Non è stata umorale, forse, l’iniziativa di Napolitano? Mica sollevava una questione di procedura istituzionale, macché, dava sfogo a umori. Probabilmente, poi va’ a sapere cosa dia realmente corpo a un umore, gli sarà andato di traverso qualcosa: visto che il governo deve prestare giuramento nelle mani del presidente della Repubblica (Costituzione, art. 93), trovarsene sotto gli occhi uno tanto diverso da quello d’inizio legislatura deve averlo turbato. Si sa, è anziano, trova difficoltà a masticare la Costituzione materiale.
Cioè, non proprio. Quando vuole, sa masticarla.

Perché quando D’Alema fece il governo
con gente eletta con i fascisti? Io zitto allora

“D’Alema fece il governo con gente eletta con i fascisti”? Ma di chi parla, Vincino? Starà mica alludendo a Lamberto Dini? Non importa. Non importa neanche che allora non fosse capo dello stato. Importa che il messaggio obliquo arrivi. Perché, sia chiaro, “il premier intende proseguire con la politica dell’allargamento, ma il precedente di ieri con il capo dello stato complica la manovra”. Napolitano vuole complicazioni?

Pecorelli aveva un altro stile. Sarebbe stato più criptico, e quindi la minaccia sarebbe stata più garbata, al punto che neanche si sarebbe capito subito chi gliel’avesse commissionata. Anzi, poteva anche venire il sospetto che non gliel’avesse commissionata nessuno, che si facesse usare a gratis da qualcuno che neanche sapeva bene chi fosse. Ferrara, no. Si capisce a nome di chi minaccia, si capisce cosa ci guadagna. 

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venerdì 6 maggio 2011

Il furbo vigliacco


Bombardiamo Tripoli perché non possiamo proprio farne a meno, ce lo chiede la Nato e ci tocca come prezzo da pagare perché i profughi non rimangano solo fatti nostri, e i nostri interessi in Libia non subiscano troppi danni, quando gli insorti dovessero spuntarla. E però siamo italiani, non possiamo essere lineari neanche nel tornare indietro sui nostri passi, tradendo un patto, sputando sulla mano che avevamo baciato, ed ecco che ora abbiamo trattative diplomatiche in corso con Gheddafi. Quasi certamente mediate dalla Santa Sede, che ci piace usare non meno di quanto ci piaccia esserne usati.
E tutto questo lo dichiariamo ufficialmente? Macché, siamo italiani: lo facciamo uscir di bocca, quasi per caso, da un sottosegretario con la forfora in un talk show televisivo del mattino. E con un velo di vanto, come se tutta questa ambiguità fosse eccelsa arte di governo, sofisticato prodotto della nostra superiore intelligenza politica, figlia di antica tradizione che onora il doppio gioco e non disdegna mai di tentarne un terzo.

Ci portasse frutti, almeno. Non ce ne porta mai. Sleali, inaffidabili, sempre pronti allo scrocco, incapaci di intrattenere relazioni internazionali a un livello superiore a quello degli accordi di interscambio: il familismo amorale è la cifra del nostro carattere nazionale, e in politica estera diventa la macchietta del furbo vigliacco.
Così fan tutti? Con altro stile. Anche Germania, Francia e Inghilterra difendono i propri interessi, non essendo ancora chiaro se ve ne sia uno europeo, ma le regole sono accettate e condivise: c’è l’interesse nazionale, l’interesse di coalizione, c’è una risoluzione dell’Onu e i diversi modi di leggerla, ci sono pure i colpi bassi e gli sgarbi, ma ciascuno e tutti si decide, e almeno si evita – ciò che l’Italia non sta evitando, anzi – di sparare sull’esercito di Gheddafi, per difendere gli insorti sui quali l’esercito di Gheddafi sparava, intanto trattando con Gheddafi, sicché se prima ce ne fregavamo dei morti anti Gheddafi adesso ce ne fottiamo pure di quelli pro Gheddafi. Poi tra mezzo secolo chiediamo scusa e stringiamo un accordo con tanto di risarcimento.


Come tra Granarolo e Parmalat



Lasciarsi andare al sarcasmo sarebbe inevitabile nel commentare la puntata di Qui Radio Londra andata in onda ieri sera, ma sarebbe pure fare un favore a Giuliano Ferrara, che cerca disperatamente audience, e a modo suo, sennò almeno l’incidente – il sospetto viene – per chiudere il programma senza dover pagare penali. Se una riflessione può essere utile, sarà necessario evitare il sarcasmo, negando al trash l’attenzione che chiede, perché agitarsi, urlare, tirar fuori la camicia dai pantaloni, sfidare Beppe Grillo da vaiassa a vaiassa, da ianara a ianara, senz’altro reale fine che far baccano, per solleticare il ventre della plebe televisiva – tutto lo squallore che ieri sera è stato buttato in faccia al telespettatore – cerca partecipazione emotiva, simpatia o antipatia, ammirazione o disprezzo, vorrebbe costringere a scegliere tra Grillo e Ferrara, come tra Granarolo e Parmalat: sembra una sana competizione, ma puzza di wrestling. Ora, puoi schifarlo quanto vuoi, il wrestling, ma se ti ci soffermi, anche solo un po’ più di quanto vorresti, finisci per tifare per uno dei due variopinti.
Limitiamoci a dire che Qui Radio Londra sta cominciando a far perdere ascolti ad Affari Tuoi: prima, alla fine del Tg1, c’era un crollo dello share che risaliva subito, appena Ferrara andava via; adesso la ripresa è assai più lenta, come se il telespettatore tornasse su Raiuno solo quando strasicuro che Qui Radio Londra è finita; e Ferrara comincia a capire che ha sbagliato fascia e rete.

giovedì 5 maggio 2011

Il delfino



Ieri, fra le altre, girava voce che Ayman al Zawahiri dovrebbe prendere il posto di Osama bin Laden. Anche qui il mito abdica in favore di un astuto ragioniere.
 
 

mercoledì 4 maggio 2011

Crocifiggersi


“Police were awaiting a forensics report to determine the cause of death and whether it was a homicide or suicide” (guardian.co.uk, 4.5.2011). Mica solo nelle Filippine.


Tra libare e allibire


Ogni 11 settembre ci sentiamo chiedere dove fossimo quando abbiamo saputo dell’attacco alle Twin Towers, e cosa stessimo facendo, quale sia stato il primo pensiero, la nostra prima reazione emotiva. Nulla sarà più come prima, anche per questo: prima ci facevano le stesse domande, ma in relazione allo sbarco sulla Luna, alla caduta del muro di Berlino, ecc.
Incastonare l’evento di dimensioni storiche in una stanza di vita quotidiana – la mia, la tua, la sua – non è un passatempo ozioso: è uno dei modi – neanche il più inutile, non il più rozzo – che abbiamo per ridurre la spesa emotiva che ogni evento storico ci chiede, non importa chi quale segno. Dov’ero, e che pensavo, mentre guardavo Italia-Germania di Mexico ’70? Che stavo facendo, e dov’ero, quando il terremoto devastò l’Irpinia? Quale è stata la prima reazione alla notizia del rapimento di Aldo Moro, e dove mi trovavo quella mattina? L’onda della storia si abbatte sul quotidiano, e il quotidiano riesce ad attenuarne l’urto, assorbendola: diventiamo porosi per non spezzarci e così la storia ci entra dentro senza fare troppo danno. Poi, sì, può diventare pure un passatempo, un gioco di società, anche un poco coatto, da narcisisti che amano esibirsi con l’evento storico sullo sfondo, quando non è peggio, cioè rituale esorcistico, seduta spiritistica, coro stonato; in genere, però, chiedere “come avete reagito quando avete saputo di …?” non è cosa malvagia, anzi, è un invito alla condivisione della spesa emotiva collettiva.
Alberto Cane lo fa con la notizia dell’uccisione di Osama bin Laden, che in realtà è come chiederci quale sia stata la prima reazione emotiva alla notizia dell’attacco alle Twin Towers, ma di sponda; e invita ad aggiungere la nostra alla sua, che è questa: “Sono rimasto allibito e non ho esultato. Pensavo fosse già morto”. Direi che qui l’evento trovi poca porosità, come se fosse già tutto assorbito, e al refluo si fosse impermeabili. Meglio che altrove, forse, dove si arriva allo sfarinamento, e prima si brinda e poi ci si pente un poco, e allora si spiega che è per salutare un “atto di giustizia”, come si fa a Mitilene quando schiatta Mirsilo. Senza tener conto a Mirsilo subentra Pittaco, uno dei Sette Sapienti, che emana una legge che raddoppia le pene per i reati commessi in stato di ubriachezza.


martedì 3 maggio 2011

Bleah


Non fosse per tutto il resto, c’è una questione estetica che mi rende repellente il cattolicesimo: troppo feticismo, e di un così cattivo gusto, che al confronto mi sembrano decenti perfino il tao, la gnosi, l’islam e il latex.


Michelangelo


Nanni Moretti lamenta che la Rai ha acquistato Il Caimano ma non lo manda in onda (La7, 1.5.2011). Può lamentarlo da abbonato Rai, ma non da autore, tanto meno da venditore. E non parliamo di un’opera d’arte che in copia unica venga acquistata da un privato per goderne in solitudine sottraendola al godimento di chiunque, ma dellesclusiva dei diritti televisivi su un film che da chiunque può essere acquistato in dvd. Hai ceduto questa esclusiva? E quale pretesa accampi? Si tratta di un film che hai girato tu, ne avrai certamente una copia a casa, puoi proiettartelo quando ti pare e piace. Da abbonato Rai, in teoria, puoi lamentarti, ma come autore che ha ceduto quellesclusiva, in pratica, non è meglio se stai zitto? Peraltro, altri abbonati Rai già si sono lamentati: non puoi limitarti a dire che condividi?

Ecco, domenica sera, Nanni Moretti mi è parso buffo come se il Buonarroti lamentasse di sentirsi un po troppo imbottigliato nella Cappella Sistina.


Stolti


Un cancro può regredire spontaneamente. Rarissimo, sempre inspiegabile, ma non impossibile. In realtà, neppure è mai possibile escludere che la diagnosi fosse errata. Di fronte a un cancro che regredisce spontaneamente, insomma, si può credere a un miracolo fatto da un santo o a un errore fatto da una équipe clinica, a piacere, anche quando entrambi sono indimostrabili: ci si può affidare a quella che pare l’ipotesi più verosimile, secondo il gusto. Basta non pretendere che quella sia la sola spiegazione possibile.
Alcuni anni fa, un collega mi raccontava di aver portato sul tavolo operatorio una paziente che tutti gli esami diagnostici – tutti – gli davano come portatrice di un cancro, di quelli che si decide di asportare solo per sperare di rosicchiare alla morte qualche mese di vita in più. Bene, apre e non trova il cancro. Inspiegabile, ovviamente. Il fatto è che la paziente non credeva nel soprannaturale.
“E come hai risolto?”, chiedo.
“Le ho detto che avevamo molto pregato per lei – tutti – e che escludere un miracolo era offensivo per la nostra fede”.
“E lei?”.
C’era ancora la lira, e l’avvocato dell’atea fu assai bravo: una dozzina di anni dopo fu complessivamente risarcita nella misura di 750 milioni. Anche poco, se si pensa che a pagare erano in quattro, e coperti da una buona assicurazione.

Morale Si può capire il farlo ai funerali, ma gridare “santo subito” dopo averlo appena fatto beato è da stolti: bisogna provare un secondo miracolo, e la fede ha i tempi lunghi di ogni tribunale.

lunedì 2 maggio 2011

Battere sul tempo il Time



Chi non muore si rivede, non manda avanti il vice. Osama avrebbe interesse a farsi rivedere, se fosse vivo. Infatti i suoi, finché possono, confezionano messaggi e messaggini di dubbia fattura per dimostrare che è vivo e lotta insieme a loro. Ma la prova semplice semplice di quel che dicono non la danno, e il dottore sostituisce lo sceicco profeta. Resta la possibilità generica che Osama sia vivo. Ma resta soprattutto la domanda: perché noi desideriamo credere che sia vivo? Piuttosto di esporsi a una gaffe planetaria, cercando di dimostrare l’indimostrabile, la Cia e i governi occidentali di guerra (ma anche quelli disertori) hanno interesse alla sopravvivenza del mito di un Osama vitale. Per i nemici dell’islam radicale, è un memento che spaventa le opinioni pubbliche, e se non puoi avere un succulento scalpo del nemico, meglio il suo spettro. Per i disertori o per i leali rivali di Bush, è la prova che la sua strategia è impotente. Ecco considerato a suon di logica il perché non possiamo fare quel titolo: OSAMA BIN AMEN, ma è come se l’avessimo già messo in pagina

Il Foglio, 11.9.2004

Chiedo rispetto nei confronti di Maurizio Gasparri



Ho tolto il video a questa pagina di YouTube, perché non voglio che la faccia di Gasparri vi condizioni, facendovi scivolare nella grassa fisiognomica, anche un po’ razzista, che sembra essere l’unico argomento in certe malfamate aree del web. Anzi, una tantum, astenetevi da apprezzamenti personali sugli illustri contemporanei dei quali tengo il commentario o non crucciatevi se li cestino: mi deprimono.
E dunque concentratevi su quello che dice, non pensate al fatto che è Maurizio Gasparri, non pensate alla sua faccia: Barack Obama era appena stato eletto, non erano le stesse previsioni che facevano gli intelligentissimi ed elegantissimi analisti de Il Foglio?
Si tenga presente, inoltre, che pur avendo i bulbi buffi e il labbrone pendulo, Maurizio Gasparri non ha mai dato Osama bin Laden per morto prima del tempo, come Giuliano Ferrara ci dava per certo fin dal 2004. E tuttavia, mentre possiamo esser certi che adesso Maurizio Gasparri stia rintanato nello scuorno perché non se ne vede ombra e non se ne sente fiato, ilfoglio.it pare obamiano da sempre, per tacere di Christian Rocca, che addirittura è nero.
Chiedo rispetto nei confronti di Maurizio Gasparri: diceva quello che aveva letto su Il Foglio, lo faceva per sembrare intelligentissimo ed elegantissimo, cercava – poverino! – di difendersi dal pregiudizio della fisiognomica. Ma quel ganzo di Christian Rocca, invece, che scusa ha?

[fonte audio: Giornalettismo]

h. 9,02

Camillo si adegua alla vulgata che vuole Osama bin Laden morto ieri. Ci mette tre ore, ma si adegua.

Per la precisione


“Sotto il segno di Giovanni Paolo II anche i rapporti tra Italia e Vaticano conoscono una svolta politico-diplomatica di straordinaria rilevanza. Merito anche di Bettino Craxi, presidente del Consiglio alla metà degli anni Ottanta, il quale ebbe il coraggio e la decisione di realizzare il nuovo Concordato con la Chiesa cattolica. Anche solo per questo successo, che non fu conseguito né dai democristiani, né dai laici prima di lui al governo, la memoria del leader socialista è consegnata alla storia politica italiana”.
Così scrive Luigi Amicone, senza spiegarci perché il nuovo Concordato non sia stato possibile prima del 1984. Merito di Craxi? Demerito dei democristiani e dei laici prima di lui al governo? Significa stravolgere i fatti, che in questo caso non sono suscettibili di altra lettura: nessuna revisione sarebbe stata possibile senza le due mazzate referendarie che la Santa Sede si beccò nel 1974 e nel 1981.
Basta una scorsa alle più di 300 pagine di fonti inedite che Giovanni Spadolini mette in appendice a La questione del Concordato (Le Monnier, 1976), soprattutto quelle relative alle note verbali intercorse tra Segreteria di Stato Vaticano e Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede nel biennio 1966-67, dove emerge con chiarezza un dato incontrovertibile:  il Vaticano rifiutava di accettare proprio ciò che poi accettò nel 1984.
Senza le vittorie referendarie del fronte laico nessun Craxi sarebbe riuscito a portare a casa il Concordato del 1984. Che insieme all’art. 7 della Costituzione rimane la più grande vergogna della Repubblica, ma che costituisce pur sempre una decente foglia di fico grazie al venir meno dell’assunto che nel 1929 ribadiva quello albertino del cattolicesimo come religione di Stato.


domenica 1 maggio 2011

Eminentissime facce di culo


Prima versione: “Già si parla delle reliquie del beato Giovanni Paolo II, è vero che esiste un’ampolla del suo sangue? Risponde Dziwisz: «Sì, l’ho chiesta ai medici del Gemelli il 2 aprile del 2005, poco prima che morisse. Una reliquia preziosa che potrà essere venerata in un santuario che si sta costruendo a Cracovia»” (Il Foglio, 18.1.2011).

Seconda versione: “Si tratta del sangue prelevato a Giovanni Paolo II negli ultimi giorni della malattia e conservato in quattro ampolle in vista di un’eventuale trasfusione, ma che poi non è stato utilizzato” (L’Osservatore Romano, 27.4.2011).

Terza versione: “Suor Tobiana, la religiosa dell’istituto di Maria Bambina che ha assistito Papa Wojtyla fino all’ultimo giorno, e suor Marie Simon Pierre, che un miracolo attribuito a Wojtyla ha guarito dal Parkinson, sono salite sul sagrato portando i due reliquiari che contengono le provette ospedaliere con il sangue che fu tolto al Papa, ricoverato al Gemelli, per le prove di compatibilità necessarie a eventuali trasfusioni” (repubblica.it, 1.5.2011).

Dall’atroce ammissione di un salasso a futura reliquia (ne parlavo qui) all’assurda menzogna di un prelievo a fine autotrasfusivo (ne parlavo qui), e ora questa immensa stronzata delle prove di compatibilità. Come se per quelle non bastassero due gocce di sangue da un polpastrello. Come se il gruppo sanguigno di Giovanni Paolo II fosse ancora ignoto dopo tutti i ricoveri ai quali era stato sottoposto nel corso del suo pontificato. Eminentissime facce di culo.




[grazie a Giovanni Luca Ciampaglia per la segnalazione]