Ho ricevuto molte critiche, e anche qualche rimprovero, per non essermi unito al coro pressoché unanime di quanti hanno solidarizzato con don Maurizio Patriciello, ma non ho ricevuto neanche una risposta convincente alla questione che ponevo: il reverendo parlava a nome di tutti i cittadini di Caivano – ho scritto – ma a quale titolo? Quando gli è stata conferita questa delega – ho chiesto – e con quale procedura? Sono domande che ripropongo, avendo ben presente i rischi che corro. Nell’immaginario collettivo, infatti, la figura del prete che combatte la criminalità organizzata ha ormai da tempo conquistato tanta stima e tanto affetto da essere diventata intoccabile.
L’ho sperimentato alcuni anni fa, quando posi la stessa questione per don Fortunato Di Noto, il prete che da anni setaccia il web a caccia di pedofili: chiesi a quale titolo avesse acquisito tale licenza, e come l’avesse maturato, e a chi fosse tenuto a render conto del proprio operato. Anche in quella occasione nessuno seppe darmi una risposta, ma ricevetti severe critiche per aver avanzato l’ipotesi che la nobile crociata di don Di Noto potesse essere effetto di una sublimazione. Non si fa alcuna offesa al chirurgo nel dirgli che probabilmente la sua bravura è il risultato della sublimazione delle sue pulsioni sadiche, d’altronde presenti in ciascuno di noi, ma ipotizzare che la stessa cosa potesse valere per don Di Noto fu considerata un’odiosa insinuazione.
La questione che ponevo rimase inevasa e a tutt’oggi ignoro chi lo abbia investito del titolo di cacciatore di pedofili on line, e chi ne controlli le attività e i metodi. Suppongo sia andata com’è per don Patriciello: meriti acquisiti sul campo, non soggetti ad alcun vaglio, maturati grazie al favore di un’opinione pubblica che, sui piatti della bilancia, mette di qua don Di Noto e don Patriciello e di là un prete pedofilo o un sacerdote che va a dare l’eucaristia a un boss mafioso del suo covo di latitante, e voilà i primi due diventano dei santi al di sopra di ogni critica, sicché anche il solo chiedersi a che titolo don Patriciello rappresenti gli interessi dei caivanesi, o don Di Noto quelli dei genitori di minori potenziali vittime di orchi internettiani, è offesa.
Si parva licet, siamo all’accusa che fu mossa a Leonardo Sciascia quando sollevò dubbi sulle prerogative e i metodi dei «professionisti dell’antimafia» che l’onda della simpatia popolare aveva ormai promosso a santi: lo scrittore fu linciato, ci fu perfino chi insinuò che volesse fare un favore a Cosa Nostra. Sia, correrò il rischio che qualcuno insinui che ho legami coi casalesi.
Le cose, oggi, sono un po’ più chiare: «In quella riunione – dichiara don Patriciello – volevo raccontare di aver accompagnato un giornalista a fare foto a Succivo, nel casertano, dove da anni c’è amianto ormai sbriciolato e ora si sono aggiunte lastre di eternit. Il giorno dopo sono andato dal
Prefetto di Caserta, Carmela Pagano, senza appuntamento e non mi hanno fatto entrare. Ma io ho insistito, sono rimasto lì mezza giornata, e alla fine mi ha ricevuto. Ha tentato di tranquillizzarmi: “È tutto sotto controllo”» (la Repubblica, 22.10.2012).
Ora, non so come la vedete voi, ma a me pare che pretendere di essere ricevuti da un Prefetto senza neanche aver preso un appuntamento, e insistere fino ad ottenerlo, non sia del tutto ordinario. Come non è ordinario il fatto che alla fine il Prefetto abbia ceduto. Il fatto, poi, che, denunciato il presunto illecito, don Patriciello si sia sentito in diritto di mettere in discussione quanto gli era stato detto dal Prefetto, be’, a me pare sia scostumatezza maggiore del chiamarla, di lì a qualche giorno, «signora».
D’altra parte, l’incidente che ha procurato tanta pubblicità al parroco di Caivano – egli stesso lo rileva dicendosene assai soddisfatto – nasce dall’esagerata reazione del Prefetto di Napoli a quel «signora» che arrivava in coda alla petulanza del sacerdote. Molto probabile che il dottor Andrea De Martino sia arrivato a quella riunione con un pregiudizio ostile e che la sua esagerata reazione lo abbia rivelato per intero, ma parliamoci chiaramante, si tratta del pregiudizio al quale questo post ha fin qui cercato di dare un fondamento: don Patriciello si sente investito di una missione suppletiva a quella del sacerdozio, pretende di incarnarla, e guai a chi si azzarda a rammentargli che non è un politico, non è un tecnico, ma un arruffapopolo. Animato, sì, da buone intenzioni. Che però non sono sufficienti a dargli deleghe. Potrà farsi portavoce delle anime dei cattolici di Caivano, ma se vuole interpretare altro ruolo è necessario vi si candidi e raccolga consenso in forme e in modi che lo legittimino dinanzi alle istituzioni dello Stato.
Tutto normale, invece, per chi vede incarnato in lui, e a pieno diritto, la crociata della quale s’è messo a capo, ma questo è dovuto a tutti? Per don Patriciello, sì. Ed è facile intuire da chi si senta elevato agli onori degli altari laici: da quanti gli sono subito corsi in soccorso, addirittura chiedendo le dimissioni del Prefetto di Napoli. Questo spiega perché il parroco di Caivano sia uscito dalla riunione immortalata dal video girato da un suo supporter ammantandosi delle vesti della vittima, e profondendosi in scuse, giustificando quella che non ha fatto alcuna fatica ad ammettere potesse costituire un’involontaria offesa. Poi, sondato l’effetto suscitato, arriva a dire in faccia a dottor Andrea De Martino: «Lei è antidemocratico come la camorra» (napoli.repubblica.it, 22.10.2012). Pensatela come volete, a me costui non piace proprio.