Il Popolo d’Italia va in edicola il 9 dicembre 1926 dando notizia che il fascio littorio, simbolo prima dei Fasci di combattimento (1919) e poi del Partito nazionale fascista (1921), è adottato come «emblema statale». È il segno tangibile che il fascismo mira all’identificazione tra partito e nazione, com’è in ogni progetto di Stato organico. Perché ciò si realizzi, tuttavia, occorre un partito unico. Della nazione, infatti, e fin dall’etimo, un «partito» è solo una «parte». Trova espressione in un’organizzazione che si candida alla gestione del potere politico, è vero, ma non può tollerare concorrenti se ha per fine l’identificazione con la nazione nella sua interezza: ogni altra «parte» diversa da quella che «legittimamente» aspira a rappresentare il tutto è da considerare superflua, per la sua sostanziale irrilevanza, o dannosa, per la minaccia posta all’unità di intenti che nello Stato organico trovano il corrispettivo che l’Io ha in un corpo vivente. È quello che troverà realizzazione nel 1928, quando il Partito nazionale fascista è dichiarato partito unico. Lo rimarrà fino al 1943, cercando – e in buona parte riuscendo – ad assorbire gli interessi delle categorie sociali nel sistema corporativista enunciato con la Carta del Lavoro del 1927.
Nulla accade due volte nello stesso modo, sta di fatto che per Beppe Grillo tutti i partiti sarebbero inutili, tranne il suo, che si candida a rappresentare il 100% del paese, anzi pare già lo rappresenti, anche se a votarlo è stato solo il 25%. In realtà, per Beppe Grillo, tutti gli altri partiti non sarebbero soltanto inutili, ma anche dannosi perché costituirebbero una minaccia per gli interessi del popolo italiano, che invece solo il M5S sarebbe in grado di esprimere legittimamente. Cosa devono fare gli altri partiti? «Arrendetevi, siete circondati dal popolo italiano… Arrendetevi, e io vi prometto che non useremo nessuna violenza su di voi… Andatevene finché siete in tempo…». Sulla promessa fa fede il fatto che si dichiara in grado di trattenere la violenza del popolo italiano: «Ho incanalato tutta la rabbia in questo movimento. Dovrebbero ringraziarci: se noi falliamo l’Italia sarà guidata dalla violenza nelle strade». Si tratta – e l’ho già scritto – del presentarsi come forza d’ordine che ha incorporato la violenza che ha cavalcato e fomentato, facendosene forte, con tratto demiurgico, per promettere di neutralizzarla, ma in cambio del potere. È la tecnica del colpo di stato senza spargimento di sangue. E il partito che si candida a riassorbire in sé i conflitti sociali si fa garante pure del sistema che sul piano economico li riconduce al sistema corporativistico del partito-nazione: «Arrivano le categorie da me… I notai, i farmacisti, i commercialisti… Dicono: “Siamo 20.000, ci dica cosa fa per noi, così poi le vediamo se darle il voto”… Guardate che avete sbagliato la domanda… Voi venite nel movimento, vi iscrivete, vi mettete così [indica i candidati del M5S che stanno in piedi alle sue spalle ad ogni tappa dello Tsunami Tour], vi votano, andate in Parlamento e portate avanti voi gli interessi della vostra corporazione…».
Il «fascio»
diventa forma di movimento politico ben prima del 1919. Benito Mussolini è nato
da meno di un mese – siamo nel 1883 – quando Felice Cavallotti, Andrea Costa e
Giovanni Bovio danno vita a un fronte che va a raccogliere e coordinare un
variegato numero di organizzazioni contadine e operaie di sinistra in
opposizione al governo Depretis. Si chiama Fascio della democrazia e ha per emblema un fascio littorio, che
per espressa intenzione dei suoi fondatori sta a rappresentare la convergenza di
forze diverse (socialisti, anarchici, radicali, ecc.) in un’unità di fine, ma è
al contempo anche l’esplicita evocazione del simbolo che il popolo della Roma
repubblicana conferisce ai propri eletti alla carica di console e pretore. Il
fascismo tenderà a sottolineare questa valenza simbolica nell’ambito di una più
ampia ripresa del mito dell’antica Roma, che non di rado toccherà il
tragicomico, ma allo stato nascente, quando aduna i suoi uomini sotto le
insegne dei Fasci di combattimento, il fascio littorio è innanzitutto la metafora
della confluenza di
spezzoni provenienti dalle più svariate esperienze culturali e politiche che in
quel momento storico si agitano in Italia. L’orgoglio del raccogliticcio,
potremmo dire. Ai suoi esordi sulla scena politica italiana, il fascismo è questo reclutare delusi, frustrati e arrabbiati da ogni contrada. D’altronde, anche sul piano delle idee, l’eclettismo sarà uno dei tratti distintivi del fascismo lungo tutta la
sua parabola. Come è stato osservato da numerosi autori (Mosse,
Sternhell, Griffin, Eatwell, Paxton), Mussolini non costruisce un’ideologia ex
novo, ma attinge a piene mani dagli umori che si levano da un paese in tumulto, e senza curarsi troppo delle patenti
contraddizioni tra ciò che mette assieme. Solo in questo modo è possibile «comprendere come lo Stato
fascista abbia potuto sottomettere e assorbire senza troppe dilacerazioni l’intera
società civile» (Zunino). Nulla di monolitico, nulla di sistematico, nella cosiddetta dottrina fascista dello Stato. Il lavoro che compirà Giovanni Gentile, più che da architetto, sarà da stuccatore.
Certo, nulla accade due volte nello stesso modo. Così, quando si afferma che il grillismo ha stretta analogia col fascismo del 1919, non si intende dire che ne sia la copia o la ripetizione: si vuole solo sottolineare la coincidenza di elementi sostanziali e formali di due esperienze lontane nel tempo, senza dubbio, ma che consentono un parallelismo. E anche se gli elementi formali sembrano prevalenti, quelli sostanziali non sono affatto irrilevanti. Basti la comparazione tra il programma del M5S e quello di Casa Pound Italia, la formazione politica che molto più che implicitamente si richiama al fascismo. Non viene meno la lezione di Popper (Miseria dello storicismo), sia chiaro. Nulla, qui, si dà per prevedibile riguardo al grillismo sulla base di ciò che è stato lo sviluppo storico del fascismo: ci si limita verificare le analogie tra due fenomeni che in entrambi i casi sono la reazione patologica ad una situazione critica (la crisi dello Stato Liberale e il declino della Seconda Repubblica). Per ciò che attiene alla capacità di raccogliere in «fascio» il peggio da ogni dove, fa fede l’orgogliosa dichiarazione del leader del M5S che mena vanto di essere riuscito a fidelizzare «estremisti
di destra ed estremisti di sinistra, insieme, a gridare in piazza». Al momento, pare non siano intenzionati a bastonare e a purgare chi si oppone all’onda, si accontentano di dar sfogo a quel misto di vittimismo e di aggressività che è caratteristico dei movimenti settari.
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