D’istinto
siamo portati a rigettare affermazioni fatte da individui che consideriamo repellenti.
Accade per risparmiarci la fatica di verificare ogni volta se ci sia la stretta
associazione tra chi parla e ciò che dice, dopo averla riscontrata in un numero
più o meno consistente di occasioni. È umano, ma è sbagliato. Per meglio dire,
si tratta di un errore argomentativo: quello detto «ad hominem». Bene, vedo che
si commette questo errore con ciò che Mario Adinolfi ha scritto in Perché sono contrario al matrimonio gay (*): nessuno si accolla la fatica di leggere il post, di rilevare le innumerevoli fallacies di cui è infarcito (ricorso all’autorità, ricorso alla tradizione, ricorso a una credenza,
ricorso alle conseguenze di una credenza, ricorso alla pratica comune, ricorso all’emozione, ricorso alla petizione di principio, ricorso alla nitidezza fuorviante, ricorso all’analogia del pendio scivoloso, ecc.), nessuno prova a dimostrare in modo circostanziato perché sia una merda. Niente, lo si dà per scontato: ciò che ha scritto viene rigettato perché è una merda a priori, e questo onestamente è sommamente ingiusto. Ecco perché mi sento in obbligo di mettere da parte per un istante le Noctes Atticae di Aulo Gellio, nelle quali stasera mi ero rifugiato per evitare
l’ennesimo Santoro sul caso Ruby, nel tentativo di dimostrare che, nel caso, merda sì, ma solo a posteriori. E dunque...
«Con la
sentenza della Corte Suprema Usa (per carità, è solo un primo passo, ma la
pallina ormai è su un piano inclinato) il matrimonio gay, già sdoganato in
mezza Europa, si appresta a diventare tema di dibattito anche in Italia e prima
o poi legge. Mi rendo conto dell’impopolarità della mia posizione, in
particolare a sinistra dove comunque ricordo la linea del Pd è contrario al
matrimonio omosessuale e a favore delle unioni civili “alla tedesca” (linea su
cui concordo in pieno), ma io sono stato sempre e resto contrario alle nozze
gay. Provo a riassumere il perché in cinque rapidi motivi».
Sorvoliamo
sulla forma sgangherata data al secondo periodo, limitiamoci a considerare
quella che in premessa sembra avere la pretesa di chiarire la posizione
politico-culturale di chi prende la parola, dandole un valore di coerenza che dovrebbe bastare a renderla qualificata se comparata a quella del Pd, che invece darebbe prova di incoerenza. Si tratta di un tentativo di slittamento dei piani di contesto, col quale Mario Adinolfi prova ad accreditarsi come fedele a posizioni che il Pd avrebbe abbandonato o sarebbe in procinto di abbandonare: fa affidamento sulla capacità di lasciar credere che tra le ragioni per le quali è uscito dal Pd ci sarebbe anche il mutato atteggiamento del partito sul matrimonio gay. In pratica, sarebbe il Pd ad essersi spostato, lasciandolo fuori, saldo sulle sue posizioni, che così acquisterebbero un sovrappiù di valore: prim’ancora di esporle e argomentarle, Mario Adinolfi ci chiede un anticipo di favore, che gli sarebbe dovuto perché resiste al gorgo del mainstream che ha inghiottito il Pd. E qui si ha un ulteriore tentativo di slittamento dei piani contesto:
l’opposizione al matrimonio gay è suggerita come posizione anticonformista. Cosa aggiunga o cosa tolga forza ad una affermazione se conforme o no all’opinione corrente, non è dato comprenderlo. Cosa aggiunga o cosa tolga solidità agli argomenti coi quali si intende supportarla se la si è sostenuta da sempre mentre altri la abbandonavano, men che meno. Si può solo ipotizzare che con questo post Mario Adinolfi stia provando a rientrare nel Pd grazie all’interessamento di chi nel partito rimane contrario al matrimonio gay.
«1. Per
me il matrimonio è l’unione tra un uomo e una donna, questo è stato per
millenni. Dal matrimonio derivano diritti e doveri. La battaglia per il
matrimonio omosessuale non è una battaglia per una parolina (chiamarla “matrimonio”
o “pippo” cosa cambierebbe?) è la battaglia per i diritti che ne conseguono. I
tre fondamentali temi di controversia sono il diritto “a formarsi una famiglia”,
il diritto di successione e il diritto alla reversibilità della pensione. Sono
due diritti che io contesto possano essere riconosciuti fuori dal matrimonio
tra un uomo e una donna».
Anche qui sarà il caso di sorvolare sulla forma, che peraltro rende problematica la comprensione di quali siano i
«due diritti»
contestati sui «tre» indicati, anche se al fine di rilevare la fragilità dell’impianto argomentativo costituisce dato irrilevante (tuttavia da quanto segue si ricava che «due» sia un refuso). Quello che appare ben chiaro, invece, è il ricorso alla tradizione come fonte di autorità dirimente senza appello. Si potrebbe fare altrettanto in difesa della schiavitù, se non fosse stata già abolita in gran parte del mondo. D’altronde, chi si batteva contro la sua abolizione dava enorme peso al fatto che «questo è stato per millenni». Ma il cortocircuito logico sta altrove: da un lato, infatti, si afferma che la questione non è meramente nominalistica («non è una battaglia per una parolina») e, dall’altro, come vedremo al punto 2, sembra che essa stia tutta nel nome da dare al
«vincolo»
che viene a crearsi in un
«rapporto “stabile”» tra due individui che abbiano lo stesso sesso («Se
rompiamo la sacralità del vincolo matrimoniale tra uomo e donna, ogni rapporto “stabile”
potrà alla lunga trasformarsi in matrimonio»). È come se per la radice pater- che in patrimonio si sollevasse obiezione al diritto di possedere un bene materiale se esercitato da una donna: si tratta di paradosso, ma, come vedremo, è proprio ciò che Mario Adinolfi ritiene legittimo per la radice mater- che sta in matrimonio.
«2. Se
il matrimonio è solo un timbro pubblico sul proprio amore e “davanti all’amore
lo Stato non può imporre a nessuno come comportarsi”, al momento dovessimo
ammettere la rottura del principio sacro per millenni che il matrimonio è l’unione
tra un uomo e una donna, perché limitarci a rendere legale e matrimoniale solo
il rapporto tra due donne o due uomini? Perché non accettare che ci si possa
amare in tre? O in quattro? Se un bambino riceve amore uguale a quello di una
madre e di un padre da due papà, perché non da quattro? O da tre papà e una
mamma? O dal papà che ama tanto il proprio cane e vuole che la sua famiglia sia
composta dal papà, dal cane e dal bambino ottenuto da una madre surrogata? Il
cane dimostra tanto affetto verso il bimbo, quasi gli somiglia. Se rompiamo la
sacralità del vincolo matrimoniale tra uomo e donna, ogni rapporto “stabile” potrà
alla lunga trasformarsi in matrimonio, sarà un diritto incontestabile. Con
conseguenze inimmaginabili».
Qui comincia a venir meno la motivazione all’analisi del testo, perché comincia a farsi forte il sospetto che si voglia sollevare obiezione al matrimonio gay assimilandolo a tutto ciò che non sia matrimonio tra un uomo e una donna. Sul piano logico è operazione legittima solo dopo aver assunto che l’unico vincolo degno di essere considerato matrimoniale sia quello tra due persone di sesso differente. In altri termini, è come se per sollevare obiezione al diritto di sciopero bastasse porre la domanda retorica: «Ti par bello che i ciliegi smettano di fiorire in primavera?». A chi la ponesse, basterebbe di rimando chiedere: «Scusa, ma che cazzo c’entra?». Poi, avendo tanta pazienza, si potrebbe anche perder tempo a spiegare la differenza tra un lavoratore e un albero da frutta. Così con Mario Adinolfi, spiegandogli la differenza tra genere e numero, e facendogli presente che un cane non ha capacità giuridica.
«3. Se
due uomini possono sposarsi ne deriva il pieno diritto a “formarsi una
famiglia”. Senza limitarsi al diritto all’adozione, no, quello è il meno.
I precedenti ci dicono che il diritto a figliare forzando la natura sarà
pienamente tutelato. Il caso più noto è quello di Elton John e di suo “marito”
David. Sono decine di migliaia già i casi similari. Elton e David vogliono un
figlio. La natura pone un limite a questo loro bisogno, come è noto. Ma Elton e
David vogliono, fortissimamente vogliono. Sono sposati e ora come tutte le
coppie vogliono un figlio. Allora affittano (Dio mio, faccio fatica persino a
scriverlo) l’utero di una donna, mescolano il loro sperma e con quel mix la
ingravidano, nasce il piccolo Zac che appena nato istintivamente viene posato
sul ventre della madre e naturalmente cerca il suo seno. Zac viene però
immediatamente staccato a forza da quel suo rifugio naturale e consegnato ai “genitori”.
Il bimbo per un anno intero non fa altro che piangere, Elton se ne lamenta
graziosamente in qualche intervista e racconta che per placarlo faceva “tirare”
il latte al seno della madre naturale per allattarlo poi con il biberon. Io l’ho
trovata una storia agghiacciante, una violenza terribile fatta al più debole
tra gli umani, il neonato. La moda imperante considera tutto questo invece
molto glamour».
Qui, francamente, si è fortemente tentati di essere indulgenti con l’errore argomentativo «ad hominem», perché dinanzi a un così palese tentativo di spostare la discussione dal matrimonio gay al diritto di allevare prole da parte di una coppia gay, e dal
diritto di allevare prole da parte di una coppia gay alla possibilità di affittare un utero, e dalla possibilità di affittare un utero al far piangere un bambino, e dal far piangere un bambino all’agghiacciare Mario Adinolfi, e dal suo agghiacciarsi a quello di chi dovrebbe agghiacciarsi all’idea che due gay possano sposarsi, c’è solo da chiedersi chi possa mai fottersene di sentirsi intellettualmente a posto nel dargli della merda solo se a posteriori. Lasciamo perdere, via, abbandoniamoci all’istinto.