Don
Pietro Savastano (Fortunato Cerlino) tira giù la zip dei pantaloni,
fa pipì in un flute e lo porge a Ciro Di Marzio (Marco D’Amore),
chiedendogli di bere, di bere tutto, come prova di piena obbedienza e
incondizionata sottomissione: «Devo
capire se mi posso fidare di te»,
gli dice. Siamo nel bel mezzo della seconda puntata della
prima stagione di Gomorra (Stefano Sollima – Sky
Atlantic, 2014), e Ciro Di Marzio beve. Indugia, per qualche
istante sembra essere sopraffatto dal disgusto, poi accosta le labbra
al bicchiere e manda giù il primo sorso, e sembra scosso come da un
conato di vomito, ma lo frena, e beve ancora, beve tutto.
Scena di
grande impatto drammatico, ma a Roma, in quello stesso istante, se ne
sta girando una molto più forte. È accaduto che una sera Gennaro
Migliore è andato a dormire pseudorivoluzionario e s’è
svegliato pseudoriformista, è uscito da Sel ed è entrato nel
Pd, ma sono passate già due settimane e Matteo Renzi tarda a
saldare. Probabilmente deve ancora capire se si può fidare di lui.
Starà pensando a quale prova di fedeltà chiedergli. Gli si sarà
inceppata la zip. Poi ecco che la cosa si sblocca. A Renzi dev’essere
tornato in mente quello che Migliore ha twittato qualche mese prima
(«Quello che viene chiamato Italicum ha lo stesso orrendo odore
del Porcellum che arriverà a impestilentire tutto il Paese»), e
allora riempe il bicchiere e glielo porge: il relatore dell’Italicum
a Montecitorio sarà lui. Nessun indugio, la relazione va giù come acqua della salute.
«Cambiare idea – scrivevo quattro
anni fa – è legittimo, addirittura salutare, perché rivela
duttilità mentale, capacità di elaborazione autocritica e rifiuto
della coerenza come rappresentazione di un Io infallibile, perciò
immutabile. A un patto, però. Che cambiare idea non sia motivato da
un tornaconto e che si sia in grado di spiegare in modo adeguato cosa
ce l’abbia fatta cambiare, meglio ancora chiarendo il come, cioè
in che modo gli argomenti che sostenevano la vecchia sono caduti
sotto il peso di quelli che sostengono la nuova» (Cambiare
idea – Malvino, 3.9.2013).
Com’è
evidente, formulavo la questione senza far cenno alla questione
tempo, perché per «idea» intendevo «opinione»:
prendevo in considerazione il cambiare idea su qualcosa, non la
radicale trasformazione di un pensiero, soprattutto poi se di un
pensiero strutturato su uno schema dottrinario rigido come ci si
attenderebbe in chi si dichiara tanto comunista da volerlo
addirittura rifondare, il comunismo. Mi si obietterà che il
comunismo è una fede, e che una fede si può acquistare o perdere in
una frazione di secondo: controbietterò che si può sostenerlo solo
giocando sull’ambiguità di un termine come fede, perché è vero
che un credo politico può esprimersi in forme assai simili a quelle
dell’appartenenza ad una
confessione religiosa, ma non può darsi in forma di rivelazione.
Passi, dunque, per il cambiare idea sull’Italicum,
d’altronde la legge aveva subìto pure qualche ritocchino. Ma quanto tempo ha impiegato, Migliore, per rifarsi la Weltanschauung? Perché una cosa è chiara, e pare evidente fuor di ogni dubbio dal raffronto tra quanto Migliore ha sempre detto e scritto fino ai primi mesi del 2014 e quello che si legge nella lettera che Il Foglio gli pubblica mercoledì 22 febbraio: si tratta di due idee di «sinistra» completamente diverse. Chiariamo, dunque: se Migliore sfiora la nostra attenzione, non è perché ci prende il gusto di impiccarlo a quel che affermava due o tre anni fa su Renzi e sul Pd, tanto meno per sbellicarci dell’accusa di «gattopardismo di una classe dirigente sempre pronta a riciclarsi» che muoveva a chi lo anticipava nel cambiare campo. Quello che ci interessa è altro: qual è il tempo minimo necessario per poter cambiare idea su cosa sia davvero «sinistra»?
Ecco perché sarebbe estremamente utile che Migliore trascurasse un po’ le sue peraltro scialbe comparsate televisive per dedicarsi alla stesura di un saggio, o almeno di un pamphlettuccio, che ci edifichi su come ha fatto a sbrigarsi tanto in fretta.
Postilla Nella lettera che Migliore scrive a Cerasa c’è un passaggio che desta una perplessità assai pungente: «Per me è di sinistra provarci, magari fallire, riconoscere l’errore e tornare a provarci. Come fece quel sarto a Ulm, appassionato di meccanica, che si schiantò al primo tentativo, ma non rinunciò a provarci. Come ha fatto Renzi». Il riferimento è alla nota poesia di Bertolt Brecht, nella quale il sarto prova a volare lanciandosi dal tetto della cattedrale di Ulm, ma precipita, e muore, andando a sfracellarsi sui «duri, duri selci del sagrato», senza alcuna possibilità di poter riprovare. Pare evidente che, al ritorno di Renzi a Palazzo Chigi, Migliore debba essere sottoposto a un’altra prova di fedeltà.