Da
mesi va diffondendosi, prendendo sempre maggiore consistenza, la
sensazione di avere i barbari alle porte o addirittura già dentro le
mura. Effetto del 4 marzo, ovviamente. Infatti, giacché sono le oche che
fanno guardia in Campidoglio quando l’impero piscia come un
colabrodo, un primo starnazzare s’ebbe già all’indomani delle
Politiche, quando piangendo – così ci confidò Francesco Merlo –
la Boschi si disperava – diceva – «non per la maldestra
perdita di uno scudetto, e neppure perché finisce il sogno politico
di questo Pd e della sinistra dei quarantenni, ma perché finisce un
mondo che è fatto di letture e buone maniere, di educazione e di
civiltà» (la Repubblica, 6.3.2018).
Volendo, poteva venire in mente la piccola Anja ne Il giardino dei ciliegi, ma chi poteva volerlo? Buone maniere, chi? Quali letture, poi? Campioni di quale educazione, i suoi compari, di quale civiltà? Bulli di provincia malamente ripuliti, smargiassi e gradassi della peggior risma, retroterra culturale da liceali, avevano per anni fatto oggetto dell’epiteto di «professorone» chiunque avesse un etto di cultura più di loro, mentre chi aveva anche soltanto un grammo di senso critico a porsi dubbi, e a porli in agorà, sul loro ipertiroideo fare per fare veniva rubricato senza appello a «gufo» o «rosicone». Fieri «rottamatori», armati di «lanciafiamme», sempre pronti a far roteare la mazza chiodata di un «ciaone» sulla zucca di chiunque osasse ostacolarne il baldanzoso passo. Piangeva, la Boschi, la cosa poteva – a piacere – intenerire o tirar via un sacrosanto «mafammoccammàmmete», e tuttavia era interessante considerare quell’autopercezione del sentirsi migliore espressione di un «mondo» ormai alla «fine». Nota, la «fine», ma che «mondo» era? Lasciamo sospesa la domanda.
Volendo, poteva venire in mente la piccola Anja ne Il giardino dei ciliegi, ma chi poteva volerlo? Buone maniere, chi? Quali letture, poi? Campioni di quale educazione, i suoi compari, di quale civiltà? Bulli di provincia malamente ripuliti, smargiassi e gradassi della peggior risma, retroterra culturale da liceali, avevano per anni fatto oggetto dell’epiteto di «professorone» chiunque avesse un etto di cultura più di loro, mentre chi aveva anche soltanto un grammo di senso critico a porsi dubbi, e a porli in agorà, sul loro ipertiroideo fare per fare veniva rubricato senza appello a «gufo» o «rosicone». Fieri «rottamatori», armati di «lanciafiamme», sempre pronti a far roteare la mazza chiodata di un «ciaone» sulla zucca di chiunque osasse ostacolarne il baldanzoso passo. Piangeva, la Boschi, la cosa poteva – a piacere – intenerire o tirar via un sacrosanto «mafammoccammàmmete», e tuttavia era interessante considerare quell’autopercezione del sentirsi migliore espressione di un «mondo» ormai alla «fine». Nota, la «fine», ma che «mondo» era? Lasciamo sospesa la domanda.
Dal 4
marzo ad oggi lo starnazzare è diventato assordante. Tra i palmipedi
da sempre rilevanti più per pâté che per pathos
spicca oggi Il Foglio, che fino a all’altrieri ci invitava a
guardare con sospetto tutti i «professoroni», a non dar
troppa retta a Darwin e, più in generale, a nutrire i dovuti dubbi e
le dovute paure sul faustiano mondo della scienza che per esempio col
vaccino anti-hpv induceva alla troiaggine le ragazzine, sempre pronto
a un liberatorio «e che palle!» ad ogni prepotenza del
politically correct, sempre pronto a trollare con sublime
crudeltà chiunque stesse sul cazzo al «signor direttore».
Oggi è irriconoscibile: d’un conformismo, ma d’un conformismo...
Si rimpiangono quelle belle provocazioni da energumeno travestito da
dandy che un tempo erano il marchio inconfondibile della casa. Oggi è
pro-vax; si struscia con voluttuosità su ogni «parruccone»
che gli capita a tiro; lamenta che i barbari giallo-verdi tendano
vili agguati ai loro avversari su Twitter e su Facebook;
dall’allarme perché sul barcone c’era il perfido jihadista s’è
convertito a un open arms tutto zanotelliano.Dico io: sei stato un precursore di questi zotici, e lo so che non ti sono venuti fighissimi, ma non essere incontentabile. Per un quarto di secolo hai vagheggiato il leader pop e dai modi spicci, e ora che fai, schifi il Truce? Ti ha eccitato fino allo squirting il giovane rampante, ignorante ma armato di fluente scilinguagnolo, e ora storci il muso a Giggino? E perché? Perché non usa il congiuntivo? Qualche anno fa te lo rimproverava Facci, per questo gli davi del fighetta, e ora, come San Quodvultdeus, ci ammolli il tuo dolente de tempore barbarico?
Nel qua-qua-qua che ci dà la sveglia dal Campidoglio non poteva mancare chi, sperando che Renzi durasse un ventennio, mirava a una carriera alla Maurizio Costanzo e che ora l’onda giallo-verde minaccia di far naufragare sull’Isola dei famosi: lo senti strepitare che è «il secolo dello spegnimento dei lumi», e lo strepita dalla vetta del meglio di «filosofie, culture, correnti di pensiero, religioni» su cui onestamente verrebbe voglia di fargli un esamino per sapere con quale diritto ci sta sopra, per giunta più da pavone che da oca. Oh, niente di troppo difficile: basterebbe qualche domandina da Trivial Pursuit per vedere quanto tempo gli servirebbe per riempire un esangocino. Chessò, carino, dimmi: la virgola tra soggetto e verbo è barbara o ganza? Attenzione, prima rispondere: è di comune uso da parte di tutti falsi account che ancora non si è capito se a partorirli è Putin o Casaleggio, volendo potresti dire di aver fatto scuola.
Non si può fare, ha pure lui contezza del fatto che la vetta del meglio di «filosofie, culture, correnti di pensiero, religioni» altro non è che il tavolino del bar al quale si è dato appunto coi suoi amici al termine delle vacanze estive (per le «filosofie» ci sarà il buon Makkox, per le «culture» il buon Mantellini, per le «correnti di pensiero» il buon Bordone...), sicché non resta che «aspettare che le cose cambino in modi imprevisti – capita, nella Storia – o che a qualcuno venga un’idea geniale». E sì che da uno che si dà tante arie uno si aspetterebbe qualcosa in più di semplici sospiri.
La sensazione – ma è un po’ più di una sensazione, in certi istanti mi si para innanzi con la solidità di una certezza – è che a lamentarsi dell’arrivo dei barbari siano solo – ripeto: solo – quelli che, in un modo o nell’altro, l’hanno sollecitato, finendo addirittura per spalancar loro le porte ed eccitarne la furia. Più dei barbari, che sono barbari, e non si può pretendere non lo siano, ritengo che sia loro la responsabilità del sacco che ora devasta la già peraltro devastata Urbe. Dovrebbero tacere, ma comprendo quanto sia difficile per chi non è capace di stare neppure ventiquattr’ore senza postare che è ancora vivo, e che per farcene gioire appieno allega apposita playlist: chi più, chi meno, avevano tutti conquistato una posizioncina, e ora la vedono in pericolo. In pericolo vedono soprattutto ciò che fino a ieri davano per scontato: poter continuare a lucrare rispetto da quella posizione. Perché nulla di peggio c’è per la famiglia mafiosa che si è ripulita, fa affari con le istituzioni e si è perfino comprata un albero genealogico che la dà d’antica nobiltà sveva o normanna, al netto d’un bisnonno semianalfabeta che stava tappato in un casolare a scrivere pizzini e a nutrirsi di cicoria e ricotta, che vedersi minacciato il salone degli arazzi, la biblioteca zeppa di volumi mai neppure sfogliati, da una mafia nuova, agguerrita, affamata, feroce come è sempre una mafia destinata a vincere su quella destinata a perdere. Saranno corleonesi, i grillini e i leghisti, ma onestamente a me pare che prima non ci fosse che Bontade.
Ad
allargare il campo non mi pare sia troppo diverso. La globalizzazione
trova sempre più numerosi oppositori, l’Unione europea trova
sempre più scettici e critici, non è più di moda dirsi liberali,
perfino sulla democrazia c’è qualche dubbio (diamo il voto solo a
chi supera un apposito esamino o ci affidiamo a un leader cazzuto che
sprizzi carisma da ogni poro?): e sì, ma a chi darne la colpa?
La
globalizzazione – diciamocela tutta – non è stata guidata
proprio da dio: si è data una manciata di riso a qualche miliardo di
morti di fame, ma il riso si è comprato a spese del ceto medio, che
medio ormai non è più, mentre sono aumentati i profitti di chi il riso lo
distribuiva in cambio di forza-lavoro. Si è fatto di tutto per dar
ragione a Marx, diciamo, anche se poi, per non dovergliela dare del tutto, si è
mandato Fusaro nei talk show.
E
l’Unione europea? Ci avevano creduto tutti, com’è che adesso
trova critiche anche in chi continua a crederci? Non dev’essere
venuta al meglio, tant’è che come unica virtù pare le resti solo
la peraltro indimostrabile funzione di aver evitato lo scoppio di una
guerra tra Francia e Inghilterra o tra Germania e Italia, come se poi
quelle a colpi di spread, di casini in Libia e di Regeni uccisi al
Cairo non fossero guerre guerreggiate in trasferta. Via, è venuta da
schifo, questa Unione europea. E non si può certo dire che tutto
vada storto perché alle elezioni europee la plebe ha messo sul trono
un monarca stronzo. Se a surrogare un potere politico centrale che di
fatto resta in mano ai paesi membri sono i delegati dei delegati, e
se a reggere i cordoni della borsa è una Bce fatta com’è, ogni
fesso che a due più due sappia rispondere tre o cinque mi diventa
favorevole alla democrazia diretta, pronto a sentirsi sanculotto (supponendo che a proteggerlo sia San Culo).
E dove
sono i tempi in cui perfino i miserabili sotto i ponti gridavano
«meno
stato, più mercato»?
Funzionava: più pietanze alle élites, più avanzi al ceto medio,
più briciole ai pezzenti. Poi la mano invisibile è sparita, e la
compassione del capitalismo compassionevole è scemata: non è
normale che gli schiavi che hanno costruito la piramide la vogliano
nazionalizzare anche se dentro c’è posto per una mummia sola? Sarà ingenuo, ma vaglielo a spiegare.
E
la democrazia? Com’è che m’è caduta in disgrazia, la
democrazia? Sarà l’anaciclosi? Boh, di certo se un Sarkozy dà
della «racaille»
alla gente della periferia parigina e se un Hollande dà dell’«édenté»
a un poveraccio, un presidente della repubblica democraticamente
eletto finisce per somigliare più a Luigi XVI che a Robespierre.
Poi, sì, la plebe finirà per fare fuori entrambi, ma almeno sfoga
il disappunto del momento. Non puoi considerarla bestia indomabile e
poi considerarti l’unico in grado di domarla: prima o poi finisci
male.
Questo
post – avrete visto – apre con un video che riprende Salvini a Viterbo, qualche giorno fa. Nell’auriga – avrete visto – non
aveva il servo a rammentargli «memento
mori»,
è comprensibile che avesse un bel faccione sorridente, di quei bei faccioni che un linciaggio disfa in un niente. All’illuderlo di poter durare più di quanto al solito dura uno come lui e semmai
a farlo in effetti durare anche un po’ di più – tranquilli, non
si supera il ventennio – è il ceto politico che l’ha preceduto.
Ciò che verrà da Salvini & c. – nulla di buono, c’è da
credere – sarà il necessario momento di purificazione per chi, pur
senza volerlo, lo ha lungamente incubato. Non c’è dubbio che sarà dura, che
a farne le spese sarà pure chi non ne ha colpa alcuna, ma il mondo
gira a questo modo, e così continuerà a girare, almeno fino a
quando certi assunti rimarranno saldamente ancorati al senso comune.
Che finora ha sempre fatto a pugni col buonsenso, e ha vinto sempre.