Il
professor Giovanni Corsello, presidente della Società Italiana di
Pediatria, corre subito a precisare di essere stato frainteso. Aveva
detto: «Non
si può escludere che convivere con due genitori dello stesso sesso
non abbia ricadute negative sui processi di sviluppo psichico e
relazionale nell’età evolutiva».
Ora
spiega che questo «non
significa affermare che due soggetti omosessuali non
possano garantire a un bambino affettività e
standard educativi in linea con uno sviluppo normale».
A rigor di logica si dovrebbe ritenere superflua questa precisazione,
già tutta implicita nella formula scelta per la sua sortita: «non
si può escludere che non»,
infatti, è cosa ben diversa da «è
certo che»,
«è
altamente probabile che»,
«c’è
il ragionevole sospetto che»,
ecc.
Se
non è chiaro, mi si consenta un esempio. Mettiamo caso dicessi
(ipotesi del terzo tipo): «Non
si può escludere che la formula “non
si può escludere che” sia stata la scelta un po’ furbetta, ma
intellettualmente assai disonesta, per offrire a quanti sono contrari
alla stepchild adoption un argomento che sembrasse vestire i panni
d’una qualche autorevolezza, ma in modo che questa non potesse
essere messa in discussione nel merito, come d’altronde sarebbe
possibile, e in forza di opinioni assai più autorevoli, peraltro
assai meglio argomentate».
Ho detto che l’uso di quella formula è stato un volgare trucchetto
per attribuire valore scientifico a un becero pregiudizio senza poi
dover essere chiamato a risponderne sul piano scientifico? Manco per
niente. Anzi, formalmente nemmeno l’ho insinuato. Di più: avendo
usato anch’io la stessa formula, neanche potrei essere accusato di
averne avuto l’intenzione.
Ma
alla precisazione il professor Giovanni Corsello ha voluto aggiungere
– bontà sua – le ragioni che l’hanno portato a sortire in
questione: «Ciò
che è rischioso –
ha detto – è
un dibattito teso a promuovere situazioni simili come assolutamente
fisiologiche. Si voleva semplicemente sottolineare che su questioni
di tale complessità, che implicano valutazioni fortemente
individualizzate, sarebbe meglio evitare scelte determinate da norme
di legge vincolanti, procedendo con equilibrio e competenza sulla
base delle peculiarità di ogni situazione per garantire al meglio la
tutela dell’interesse
del bambino».
Se
le parole non sono vento per dar aria alla bocca, il professor
Giovanni Corsello ha ritenuto necessario intervenire per segnalare il
rischio che «situazioni
simili»
passino per «assolutamente
fisiologiche» in forza di
«norme di legge vincolanti».
È evidente che egli ritenga non lo siano sempre, e su questo come è
possibile dargli torto? D’altronde
questo è assicurato a un bambino allevato da una coppia
eterogenitoriale, e per la sola ragione del fatto che si tratti di
una coppia eterogenitoriale? No di certo, né che si tratti in
entrambi i casi di genitori biologici, né se il genitore biologico è
uno solo dei due, né se entrambi sono genitori adottivi. Allo stato,
e in tutti e tre i casi, si dà per scontato che sussistano le
condizioni «assolutamente
fisiologiche»,
salvo il doverle escluderle, con quanto ne consegue per l’affido
del bambino a un’altra
coppia. Ma perché con coppie di persone dello stesso sesso dovremmo
adottare misure inverse? Cosa solleva la coppia eterogenitoriale
dall’onere
della prova che invece dovrebbe essere imposta, caso per caso, alla coppia
omogenitoriale? In altri termini, quale sarebbe il fattore che
assicura una maggiore probabilità di condizioni «fisiologiche»
nella prima rispetto alla seconda? È una supposta patologia della
condizione omosessuale a sostenere questa inferenza?
Si
tratta di domande alle quali chiunque può rispondere attingendo al
bagaglio dei propri pregiudizi per potersi trovare concordi
all’impostazione
data dal professor Giovanni Corsello, sta di fatto che il professor
Giovanni Corsello interviene del dibattito come pediatra, anzi, come
presidente della Società Italiana di Pediatria, unendo così
all’autorità
dell’uomo
di scienze il prestigio di una carica significativamente
rappresentativa. Può, dunque, intervenire, ma rispondendo del peso
che le sue affermazioni pretendono di avere. Il problema è che da
uomo di scienze non ha nulla al quale appendere le proprie
affermazioni: gli studi scientifici sullo sviluppo psichico e
relazionale dei bambini allevati da coppie omogenitoriali non
rivelano alcuna significativa differenza rispetto a quello dei
bambini allevati da coppie eterogenitoriali. Non meno grave che se
avesse detto: «Non
si può escludere che i vaccini provochino l’autismo»,
cosa che gli sarebbe costata cara. Non si può escludere, invece, che
la sua uscita sull’omogenitorialità
gli tornerà assai utile. Né si può escludere che quello fosse il
calcolo.