Quattro giorni fa la Consulta ha rigettato come «manifestamente inammissibile» la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 194 che era stata sollevata dal giudice di sorveglianza del Tribunale di Spoleto. Quattro giorni per riprendersi dalla mazzata e Avvenire manda il professor Francesco D’Agostino a lamentarsene in prima pagina: «Sia dalla sentenza della Consulta che dai commenti favorevoli che essa ha suscitato – scrive – si percepisce come si sia cristallizzata in Italia, dopo quasi trentacinque anni dall’approvazione della legge 194, un’inadeguata percezione scientifica, etica e sociale dell’interruzione di gravidanza [a fondamento della quale c’è] la tesi che afferma il primato della donna (ovviamente ritenuta persona) rispetto al nascituro (ovviamente pensato come chi persona dovrebbe ancora diventare, in attesa della nascita)».
Il problema, dunque, è il primato della donna sull’embrione: è evidente che D’Agostino lo ritenga ingiusto. È altrettanto evidente, tuttavia che, laddove si realizzi un conflitto tra la salute fisica e psichica della donna e il prosieguo della gestazione (la condizione contemplata dall’art. 4 della legge 194), non consentire l’interruzione volontaria di gravidanza significhi negare il primato della donna sull’embrione, sì, ma solo per affermare quello dell’embrione sulla donna, tertium non datur.
Ora, la massima espressione del primato dell’embrione sulla donna si ha nel caso in cui una donna decida di non abortire anche laddove la gravidanza metta in serio pericolo la sua stessa vita. Decisione estrema, senza dubbio, ma estrema quanto quella di abortire, perché, ammesso e non concesso che gravida ed embrione abbiano pari dignità di persona, in entrambi i casi ne è sacrificata una.
Bene, parrebbe che la decisione di sacrificarsi pur di portare avanti la gravidanza sia legittima, ma non quella di abortire: in entrambi i casi sarebbe sacrificata una persona, ma nel primo caso non si pone alcun problema. Non per D’Agostino, per lo meno, né per Avvenire, che in questi casi non fa mai mancare il paginone di elogio alla santa che ha scelto di morire pur di portare a termine la gravidanza, anche quando la gravidanza non giunge a termine e insieme muoiono il feto e la gravida.
Ora, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 194 era stata sollevata dal giudice di sorveglianza del Tribunale di Spoleto sull’assunto che l’embrione sia «un “essere” provvisto di un’autonoma soggettività giuridica della cui tutela l’ordinamento deve farsi carico»: ammesso e non concesso che lo sia, questa tutela è prioritaria rispetto a quella della donna che da una gravidanza possa trarre danno alla sua salute fisica e psichica? Se è questo che D’Agostino intende affermare, la tutela dell’embrione non può essere che a discapito della donna. Perché non dirlo chiaramente? Perché non dire chiaramente che, in presenza di conflitto, non deve essere data opportunità di scelta?
Non è l’unica incongruenza ad emergere da questo editoriale. Dopo averci fracassato i coglioni per mesi e mesi sul fatto che la magistratura italiana stesse attentando ad una legge come quella che pone infiniti limiti alla fecondazione assistita, legge voluta dal Parlamento e confermata (diciamo così) da un referendum popolare, Avvenire si lamenta che non sia andato a buon fine l’attentato che un magistrato ha mosso alla legge 194?
La si ritiene legge ingiusta? Perché non sottoporla ancora a referendum? Che ci vuole a raccogliere mezzo milione di firme? «Nessuna forza politica italiana tra quelle che contano – lamenta D’Agostino – vuole riaprire la questione dell’aborto. E non la vuole riaprire non a seguito di decisioni conseguenti a discussioni aperte, esplicite, innovative, ma piuttosto per una sorta di diffusa percezione, che induce a pensare che sia meglio non riaprire una questione così scottante». Dobbiamo ritenere che anche chi rinuncia a un nuovo referendum abbia paura di scottarsi. Un principio non negoziabile si arrende a una paura così meschina?
Ora, la massima espressione del primato dell’embrione sulla donna si ha nel caso in cui una donna decida di non abortire anche laddove la gravidanza metta in serio pericolo la sua stessa vita. Decisione estrema, senza dubbio, ma estrema quanto quella di abortire, perché, ammesso e non concesso che gravida ed embrione abbiano pari dignità di persona, in entrambi i casi ne è sacrificata una.
Bene, parrebbe che la decisione di sacrificarsi pur di portare avanti la gravidanza sia legittima, ma non quella di abortire: in entrambi i casi sarebbe sacrificata una persona, ma nel primo caso non si pone alcun problema. Non per D’Agostino, per lo meno, né per Avvenire, che in questi casi non fa mai mancare il paginone di elogio alla santa che ha scelto di morire pur di portare a termine la gravidanza, anche quando la gravidanza non giunge a termine e insieme muoiono il feto e la gravida.
Ora, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 194 era stata sollevata dal giudice di sorveglianza del Tribunale di Spoleto sull’assunto che l’embrione sia «un “essere” provvisto di un’autonoma soggettività giuridica della cui tutela l’ordinamento deve farsi carico»: ammesso e non concesso che lo sia, questa tutela è prioritaria rispetto a quella della donna che da una gravidanza possa trarre danno alla sua salute fisica e psichica? Se è questo che D’Agostino intende affermare, la tutela dell’embrione non può essere che a discapito della donna. Perché non dirlo chiaramente? Perché non dire chiaramente che, in presenza di conflitto, non deve essere data opportunità di scelta?
Non è l’unica incongruenza ad emergere da questo editoriale. Dopo averci fracassato i coglioni per mesi e mesi sul fatto che la magistratura italiana stesse attentando ad una legge come quella che pone infiniti limiti alla fecondazione assistita, legge voluta dal Parlamento e confermata (diciamo così) da un referendum popolare, Avvenire si lamenta che non sia andato a buon fine l’attentato che un magistrato ha mosso alla legge 194?
La si ritiene legge ingiusta? Perché non sottoporla ancora a referendum? Che ci vuole a raccogliere mezzo milione di firme? «Nessuna forza politica italiana tra quelle che contano – lamenta D’Agostino – vuole riaprire la questione dell’aborto. E non la vuole riaprire non a seguito di decisioni conseguenti a discussioni aperte, esplicite, innovative, ma piuttosto per una sorta di diffusa percezione, che induce a pensare che sia meglio non riaprire una questione così scottante». Dobbiamo ritenere che anche chi rinuncia a un nuovo referendum abbia paura di scottarsi. Un principio non negoziabile si arrende a una paura così meschina?
Grande Luigi, hai centrato il punto.
RispondiEliminaCari saluti
Evidentemente! Rimane inoltre da capire come un giudice che si è dimostrato così palesemente incapace di capire il senso di una sentenza (dovrebbe essere il suo mestiere) possa rimanere al suo posto.
RispondiEliminaA proposito di sacrifici evidentemente più accettabili di altri
RispondiEliminahttp://campariedemaistre.blogspot.nl/2012/06/di-isacco-tacconi-13-giugno-festa-di.html#.T-m-fojG64c.facebook
(brividi...)
Grazie e complimenti
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