giovedì 17 ottobre 2013

Πολεμική τέχνη / 2


«Sapeste la sorpresa e l’emozione che si provano nel
ricevere a casa propria un’inaspettata lettera di un Papa»
Piergiorgio Odifreddi (la Repubblica, 24.9.2013)

«Buongiorno, Santità, sono sconvolto, non m’aspettavo
che mi chiamasse… Posso abbracciarla per telefono?»
Eugenio Scalfari (la Repubblica, 1.10.2013)


 
Alcuni giorni fa mi sono intrattenuto sulla πολεμική τέχνη, ho detto che può essere considerata come la continuazione del duello con altri mezzi, ma che, col differire il fine di annichilire il nemico in quello di dimostrare che l’avversario ha torto, perde l’equipollenza geometrica che ha col duello nel punto della contestabilità dell’esito, perché l’argomentazione ha un limite insuperabile rispetto a quello della forza bruta, che sta nell’aleatorietà del suo successo, sicché puoi avere i migliori argomenti contro chi ne ha di pessimi, e usarli nel modo migliore, ma questo non ti assicura affatto che la vittoria ti sia riconosciuta da chi è stato chiamato ad arbitrare la contesa, tanto meno dal soccombente, se pure chi arbitra la contesa l’abbia dichiarato sconfitto: a colpi di randello non c’è discussione, in tutti i sensi.
Oggi vorrei soffermarmi su quello che in buona evidenza è un paradosso: se deporre il randello per impugnare l’argomento è da considerare un salto qualitativo sul piano antropologico, com’è che il nuovo strumento si rivela meno efficace del vecchio? La logica che muove l’evoluzione, qui, non è in favore della soluzione migliore? In altri termini: abbiamo deciso di rinunciare all’inequivocabilità dell’esito di un contenzioso risolto a colpi di randello solo per ridurre il numero di teste fracassate? Se così fosse, si dovrebbe dedurre che la logica che informa l’evoluzione, qui, mira a salvare teste piuttosto che a selezionare quelle migliori. D’altra parte, non sarebbero quelle migliori ad essere selezionate grazie al randello. E dunque: a cosa mira questa evoluzione?
Levandole il connotato teleologico che qui le abbiamo appioppato solo per dare un significato motivazionale a quella che abbiamo chiamato «logica», potremmo dire che sostituire argomento a randello sposta l’arbitrato dalla «natura» alla «società» (e metterle tra virgolette come ho fatto con «logica» mi auguro lasci intendere il connotato che appioppo ai due termini). La polemica come continuazione del duello con altri mezzi, infatti, ha il suo prodromo storico nel duello che si svolge nell’arena, dinanzi a un pubblico. Quando il pubblico comincia a cambiare, l’arena si trasforma in piazza e poi in foro tribunalizio: a quel punto il salto è compiuto, e il duello affida l’esito del cimento a un’opinione «sociale» che si arroga una prerogativa prima «naturale». Siamo al punto in cui il duello, ormai già polemica, è sotto la stessa norma che informa l’opinione pubblica del momento storico in cui si consuma la contesa: non può che consumarsi entro la sfera in cui è la stessa opinione pubblica a darsi norma. La retorica, qui intesa come tecnica dell’argomentazione, diventa lo strumento che nel formare un’opinione pubblica pre-giudica il contenzioso, sicché la polemica comincia a diventare sempre più spesso il modo per saggiare la forza dei contendenti sul piano della «logica» che informa la «società»: le teste fracassate dai randelli cedono il passo agli argomenti che hanno il difetto di essere poco persuasivi.
Qui credo che non sia superfluo ripetere ciò che ho scritto in un altro post. Un buon argomento scrivevo deve essere corretto, valido e persuasivo; è corretto quando poggia su premesse incontestabili, valido quando non incorre in tautologie o contraddizioni, persuasivo quando risulta efficace. Non basta che sia solo efficace, dunque, a renderlo buono, perché la persuasività si può ottenere anche con argomenti viziati da errori logici più o meno ben dissimulati o che prendono le mosse da premesse salde solo in apparenza; né basta che sia valido, perché il rispetto della logica proposizionale non assicura un risultato accettabile partendo da false premesse; tanto meno basta sia corretto, perché anche partendo da premesse autoevidenti si può arrivare a conclusioni errate alterando il procedimento attraverso il quale l’argomento viene a costruirsi. (Sul fatto che la «bontà» del «buon» argomento non debba intendersi come qualità morale, e perché, e cosa implichi il fatto, rimando al post in questione.) Il punto sul quale credo sia utile soffermarsi è che un argomento, pur valido e corretto, non è detto che sia necessariamente persuasivo. A costo di tediare il mio lettore, ripeto ancora: la persuasività si può ottenere anche con argomenti viziati da errori logici più o meno ben dissimulati o che prendono le mosse da premesse salde solo in apparenza. E di cosa «vive» il «sociale», se non di quelle premesse che riescono ad apparire ben salde in un determinato contesto storico? Cosa «muove» il «sociale», se non la ricerca della più convincente dissimulazione dell’utile nel giusto, del senso comune nel vero e dell’acconcio nel bello?
Il luogo in cui si consuma la polemica, dunque, ne prefigura in buona misura l’esito. E le tesi che scendono nellagone, ancorché male argomentate, non vi scendono mai sguarnite dell’arma persuasiva che i contendenti ritengono più forte. Perciò – scrivevo –  l’argomentare racconta storia e carattere di chi argomenta, non già del Logos che si incarna in chi ne racconta l’incarnazione: la teoria dell’argomentazione non è l’esegesi di una narrazione mitica, ma il tentativo di decostruire la metafisica. E cosa vuoi decostruire del cattolicesimo, cretino, se nellaccingerti a polemizzare con un Papa ti sdilinguisci in carinerie?

[...]  

1 commento:

  1. Questo è il commento che ho inviato a Odifreddi sul suo blog, in relazione all'argomento del post. Ovviamente, non ha ricevuto risposta.

    24 settembre 2013 alle 17:52


    @–>Prof. Odifreddi

    Ahi, ahi, ahi, Chiarissimo Professore.
    Alla fine, s’è trovato un posto in banca pure Lei

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