Cos’è
il risentimento? Per
il Devoto-Oli
è l’«atteggiamento
di avversione o animosità verso qualcuno per un’offesa
o un affronto ricevuto»,
ma la definizione che forse coglie qualche sfumatura in più, cosa di
notevole importanza quando si parla di uno stato d’animo,
mi pare quella del De
Mauro,
che lo descrive come «sentimento
commisto di animosità, rancore e desiderio di rivalsa, provocato da
un comportamento altrui ritenuto ingiusto, offensivo o ingiurioso»,
perché qui l’«avversione»
è meglio caratterizzata in «rancore», l’«atteggiamento»
esprime la
sua più distintiva peculiarità nel «desiderio di rivalsa»,
il tratto soggettivo dello stato d’animo
è significativamente rimarcato dal fatto che posso anche aver solo
«ritenuto»
di essere stato oggetto di un affronto, non necessariamente averlo
realmente «ricevuto»;
meglio ancora, però, il Sabatini
Coletti,
per il quale è quel «sentimento
dato
da un misto di rabbia e desiderio di rivalsa, protratto nel tempo,
che si prova come conseguenza di un torto o frustazione
subìta,
sia essa reale o immaginaria»,
dove «rabbia»
e «frustrazione»
danno il colore più appropriato al «sentimento»,
di cui si coglie al meglio il tono sottolineando quanto di essenziale
assume dall’essere
«protratto
nel tempo».
«Una
rabbia che si fa cronica e perdura nel tempo»,
dunque, come in un’intervista
di qualche tempo fa lo definì Ian
McEwan, che precisò: «Può
essere fredda, non esplicitata, oppure diventare calda, fare grande
rumore e trasformarsi in violenza».
Tutto ciò mi pare rappresenti al meglio cosa sia il risentimento, ma
ancora non ci dice nulla dei moventi, che è chiaro debbano essere
diversi nel caso in cui il «torto»
subìto, e la «frustrazione»
che ne consegue, siano «reali
o immaginari».
Siamo comunque dinanzi a un meccanismo di difesa, infatti, ma è
evidente che nel primo caso ci è lecito mettere in discussione solo
il perché della sua scelta, e ovviamente quanto esso poi risulti
essere efficace, se e quanto in grado di mettere riparo a un danno
concreto, mentre nel secondo siamo chiamati ad indagare sul processo
che produce l’allucinazione
del «torto»
subìto e sulla dimensione psicopatologica del momento reattivo.
Così, volendo prendere sul serio un’affermazione
come «l’Italia
è oggi una Repubblica fondata sul risentimento» (*), dobbiamo in primo luogo chiederci: questo risentimento
risponde a un’ingiustizia
reale o immaginaria? In altri termini: siamo davanti a un «desiderio
di rivalsa» che
ha una qualche legittimità o a quanto fa sintomo di un’estesa
patologia di massa, eventualmente ad un connaturato vizio morale che
segna il grosso della nazione? Nel primo caso, siamo costretti a fare
i conti con l’ingiustizia
che ha dato moventi al risentimento, considerare se abbia natura
contingente o di sistema, individuarne i responsabili, ipotizzare
soluzioni alternative alla violenza per rimuoverla...
Un lavoraccio,
senza dubbio. Che però si può scansare nel caso in cui il
risentimento sia un disturbo psichico o un vizio morale. In tal caso,
è tutto facile: la psicoanalisi fornisce ottimi modelli per
rappresentarci il risentito, lo apparenta al narcisista ferito e
all’invidioso...
La tentazione di risparmiare fatica è forte e, voilà,
«“risentimento”
is the new “invidia”»:
così, la rabbia per l’ingiustizia
subìta, che Silvio Berlusconi ci suggeriva di interpretare come
invidia, diventa frutto di una disposizione d’animo
che pesca nel fondo limaccioso della natura umana, dove sonnecchia il
mostro dell’egoismo.
Il gioco è fatto: ogni ragione del risentimento diventa un alibi. E
questo è fare un altro torto, muovere un’altra
offesa, infliggere un’altra
ingiustizia.
Voglio riprendere il suo stile, e andare a cercare la definizione di “bullismo” nel dizionario. Per un anglicismo, nulla di meglio del Merriam–Webster disponibile in rete; ne ho tradotto la definizione. Bullismo è “abuso e maltrattamento di una persona vulnerabile da parte di qualcuno più forte, di maggior potere, etc.” Allora: Mantellini è mite, palliduccio, triste, provinciale, radiologo, piddino frustrato, sfibrato intellettualizzatore, porgitore di altre guance, aspirante londinese. In una parola: vulnerabile.
RispondiEliminaAllora, poche balle: prenderlo per il culo è bullismo.
Ahahahah! Buona questa, chi credi di prendere per il culo?Mantellini?
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