parafrasando l’adagio
sull’araba fenice,
che ci sia ognun lo dice, cosa sia niun lo sa
1. Luigi Manconi scrive: «Da secoli sappiamo che il carisma, nella sua origine religiosa come in quella laica, rimanda a una sorta di grazia: qualcosa, cioè, che eccede la dimensione razionale per mobilitare risorse emotive e stati d’animo profondi, influenze sottili e suggestioni tanto impalpabili quanto coinvolgenti, dalla dedizione alla trance» (Il Foglio, 11.12.2012).
È vero, il carisma ha caratteri sostanziali e formali in tutto simili nel leader di un movimento religioso e nel leader di un movimento politico. È sempre una leadership di tipo carismatico, d’altronde, a conferire carattere religioso ad un movimento politico o carattere politico ad un movimento religioso. Direi di più: senza un leader carismatico è praticamente impossibile che un partito assuma forma di chiesa o una chiesa assuma forma di partito. La formula è apodittica, ma non conosco caso che smentisca.
Altrettanto vero, inoltre, è che in un movimento a guida carismatica sono sempre rintracciabili, e con estrema facilità, elementi di natura psichica, per lo più inconsci, che inducono ad una dipendenza, la cui più peculiare espressione sta nella cieca devozione al leader, al quale Dio – o la Natura – avrebbe conferito poteri eccezionali e virtù straordinarie.
Quando si parla di carisma, è inevitabile citare Max Weber, che in un saggio più citato che letto afferma che si tratta di quella «qualità della personalità di un individuo, in virtù della quale egli si eleva sugli uomini comuni ed è trattato come uno dotato di qualità soprannaturali, sovrumane, o quanto meno specificamente eccezionali, non accessibili alle persone normali, considerate di origine divina, basate su poteri magici» (Wirtschaft und Gesellschaft, 1922). È la «qualità» che in Luigi Manconi diventa «una sorta di grazia».
È su questo punto ch’io ritengo si commetta un grave errore, che è quello di considerare il carisma come un dato oggettivo, incontestabilmente reale. A mio modesto avviso, invece, il carisma è un prodotto relazionale e, anticipando le conclusioni, penso che si dovrebbe smettere di considerarlo come «una sorta di grazia» della quale un leader può essere dotato o meno, ma «una sorta di disgrazia» nella quale incorrono quanti si fanno seguaci di un leader dalla personalità severamente disturbata.
Luigi Manconi pare non trascurare questo aspetto e infatti scrive: «Non mi interessano in alcun modo le conseguenze direttamente politiche e tanto meno sociali di una simile condizione. Mi interessa, qui, solo ed esclusivamente il suo effetto psichico: e, tra le conseguenze che ciò ha sulla coscienza individuale, lo stato di dipendenza che comporta. Per dipendenza intendo una peculiare forma di sudditanza fisica o psichica (ma anche fisica e psichica) da un singolo o da un gruppo, da un comportamento o da una sostanza, da una combinazione di eventi o da un clima. […] Dipendenza [che] non offre scampo né tregua e non ha un andamento progressivo e una crescita lineare [ma] si presenta, da subito, in forma parossistica, come pandemia e come emergenza clinica».
Tutto esatto, anzi, direi che qui siamo ad un passo dal liberarci dall’errore di fissare il significato di ciò che chiamiamo carisma al suo etimo – siamo, cioè, vicinissimi al capire che un movimento a guida carismatica realizza una «psicopatologia di gruppo» – ma per allontanarcene con uno scarto che francamente è incomprensibile, perché Luigi Manconi conclude: «Eppure deve essere bellissimo precipitarvici, perdersi in quell’“inconscio mare calmo”, smarrirsi in quella vertigine».
Lo spunto per parlare del carisma e dell’«effetto gorgo» cui si abbandonano i seguaci di un leader carismatico gli è offerto da un editoriale di Giuliano Ferrara nel quale una «feroce rappresentazione» della leadership di Beppe Grillo s’attaglia pure a quella di Silvio Berlusconi, dunque è probabile che in quel «deve essere bellissimo…» vi sia una buona dose d’ironia. E tuttavia, se pure così fosse, sarebbe ironia fuori luogo: non si ironizza su uno stato patologico, non si sfotte chi è malato, non è affatto divertente dire «beato te» a un tossicodipendente.
2. Su queste pagine ho più volte affrontato la questione del carisma, anche se non l’ho mai trattato come un problema isolato dal contesto in cui si riscontra più di frequente, che è quello del gruppo ad impronta settaria. Nel discutere degli elementi che caratterizzano questo genere di gruppo ho quasi sempre fatto ampio ricorso ai contributi che la letteratura psicoanalitica fornisce al riguardo e la stretta correlazione tra leadership di tipo carismatico e settarismo, che qui può darsi appaia non adeguatamente argomentata, è tutta nelle voci bibliografiche cui ho rimandato (Otto Kernberg, Le relazioni nei gruppi, Raffaello Cortina Editore 1999; Marc Galanter, Culti, SugarCo 1993; Robert Cialdini, Le armi della persuasione, Giunti 1995; Manfred Kets De Vries, Leader, giullari e impostori, Raffaello Cortina Editore 1994): testi nei quali il gruppo ad impronta settaria trova ragione del suo “momento” psicopatologico nella natura della rete relazionale che si realizza tra i suoi componenti, ma solo nella dimensione della dipendenza dell’intero gruppo ad un leader dai connotati caratteriali e comportamentali ben precisi, seppure in un ventaglio di variabili discretamente ampio. Bene, questi connotati sono costantemente funzionali alla rappresentazione delle virtù e dei poteri che il sociologo considera come il «convesso» del leader, ma che lo psicoanalista riconosce come il «concavo» del gruppo.
Qui non citerò ancora i passi già citati in passato, ma approfitterò della felice coincidenza della traduzione in italiano di un breve saggio di Alexander Haslam e Stephen Reicher (Il segreto del carisma) pubblicato su un fascicolo di Le Scienze (Mente, X/96 – pagg. 24-31), ancora in edicola, che ha il pregio di sintetizzare assai bene le ragioni del guardare al «concavo» del problema, lasciando perdere il «convesso» di cui Dio – o la Natura – avrebbero dotato un leader al quale sia unanimemente riconosciuto il carisma fuori e dentro al gruppo che guida.
«Sono i seguaci a distinguere il leader dagli altri [individui del gruppo] e così gli conferiscono carisma. Ricerche empiriche [lo] confermano, e in particolare il lavoro svolto da James Meindl della State University of New York a Buffalo e dai suoi colleghi. Meindl […] ha analizzato 30.000 articoli di quotidiani che menzionavano la leadership di manager aziendali. Nel 1985 riportarono una forte correlazione fra riferimenti a leadership carismatiche e migliori performance dell’azienda. La scoperta suggeriva due possibilità: o le decisioni del leader avevano condotto a miglioramenti organizzativi, o quando la gente nota che una società ha performance migliori, ne deduce che il risultato dipende da una leadership carismatica. Per risolvere questo problema Meindl ideò un esperimento che completasse lo studio. […] Presentò ad alcuni studenti di business school le informazioni biografiche sull’amministratore delegato di una società di fast food, insieme alle performance dell’azienda per un periodo di dieci anni. Ad alcuni partecipanti venne detto come la compagnia fosse passata dal fare profitti a subire perdite (crisis decline), ad altri fu mostrato come gli affari fossero sempre rimasti in perdita o in uno stabile profitto, e ad un terzo gruppo venne detto che si era passati da perdite a profitti (crisis turnaround). Infine fu chiesto ai partecipanti di valutare il carisma del leader in una serie di scale che valutavano le performance dell’azienda. Sebbene il carattere fosse sempre descritto allo stesso modo, il leader venne ritenuto carismatico quando le fortune dell’azienda erano migliorate. Meindl concluse che il carisma non è una caratteristica personale del leader, ma un attributo creato dai seguaci sedotti dalla “storia d’amore della leadership”. In breve, il carisma è più un’illusione che un tratto caratteriale». Aggiungerei: quando le cose mettono male per un movimento a guida carismatica, non si è soliti sospettare che il leader abbia perso il suo carisma?
Ma non è tutto. «Nel vedere il carisma c’è di più che osservare il successo. Prove ottenute in altre ricerche suggeriscono che difficilmente attribuiamo carisma all’allenatore di una squadra avversaria che straccia la nostra, o al leader di un partito rivale che sconfigge il nostro alle elezioni. Ci vuole, insomma, un leader che abbia successo per noi». È in gioco – proseguono gli autori – «il senso di us-ness (in italiano potremmo dire senso di “noi-ezza”) che riconosciamo quando ci riferiamo a “noi americani”, “noi studenti”, “noi tifosi della Juventus” e così via. […] Quando ci definiamo appartenenti a un gruppo […] cominciamo a vedere quel collettivo come diverso, e migliore, di altri gruppi. […] Tendiamo anche a riconoscere gli altri membri del nostro gruppo come più utili a far progredire gli interessi del gruppo di quanto possano esserlo degli estranei. Una ricerca condotta dalla psicologa Daan van Knippenberg dell’Università Erasmus da Rotterdam e dai suoi colleghi Nathalie Lossie e Henk Wilke ha mostrato che indipendentemente dagli argomenti addotti dai leader per spiegare nuove strategie politiche […] [i seguaci] sembrano più influenzati da quei leader i cui punti di vista sembrano rappresentativi di quelli del [movimento politico che guidano] […] In altre parole, prima di affidarci ad un leader abbiamo soprattutto bisogno di credere che sia “uno di noi”».
3. Siamo dinanzi ad evidenze di tipo sperimentale, ma che ci consentono di trovare significative concordanze con quanto abbiamo acquisito dalla teoria psicoanalitica dei gruppi.
Nelle straordinarie virtù e negli eccezionali poteri che attribuiamo ad un leader, ma che invece riteniamo egli possegga per «una sorta di grazia», vi è l’investimento emotivo di un “noi” che mira a un successo: il leader carismatico risponde ad un bisogno che va dalla più bassa frustrazione dinanzi ad ostacoli che riteniamo insormontabili alla più alata speranza di essere il sale della terra e di essere destinati a fecondarla del meglio del meglio. In altri termini, potremmo dire che col conferimento del carisma ad un leader troviamo sollievo alla nostra impotenza ed investiamo energie psichiche nella costruzione di un prodigio che ce ne liberi. Di qui quella tensione soteriologica che dà coloriture messianiche a un leader politico e che lo rende in tutto simile al sommo sacerdote che amministra un culto religioso facendoci da ponte per una dimensione ultraterrena. Di qui la sostanziale e formale similitudine
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vi ho fatto cenno in precedenza –
che viene a realizzarsi tra partito e chiesa quando al leader politico o a quello religioso viene attribuita «una sorta di grazia»: il leader politico diventa incarnazione di una potenza divina, il leader religioso diventa il mandatario di un progetto divino da compiersi nel sociale.
E tuttavia non tutto torna, perché non sono affatto rari i casi in cui, a fronte di un evidente «crisis decline» del gruppo, un leader carismatico non perde affatto carisma agli occhi dei suoi seguaci. Sembrerebbe paradossale, ma non lo è affatto quando agli elementi fin qui considerati se ne aggiunge un altro, che è quello più patognomonico del leader – cito Otto Kernberg – «con imponenti caratteristiche paranoidi e narcisistiche». In questo caso, il gruppo è indotto a considerare il «crisis decline» come effetto non già di una perdita delle eccezionali virtù e dei poteri soprannaturali di cui prima il leader era dotato, e ora non più, ma come segmento di una parabola che porta al «crisis turnaround» solo attraverso un atto sacrificale, che altro non è che forma sublimata delle pulsioni autodistruttive del leader.
Troppo complicato? Si fa presto a rendere tutto semplice con un esempio: quello dei radicali di Marco Pannella, un caso di scuola in cui il carisma si trasforma in marasma senza che venga meno la devozione dei seguaci al proprio leader,
con quanto di patologico è da attendersi nella rappresentazione della «us-ness» (Kernberg parla di «effetti paranoiagenetici»
che si strutturano in una dimensione morale - cap. VII e cap. IX). Ma della «cosa radicale» ho già parlato tanto e non penso che sia il caso di annoiare il mio lettore ripetendo il già detto.