L’enciclica è una circolare e, prima che il Papato perdesse il potere temporale, aveva sostanza e forma di decreto. Da Leone XIII in poi l’enciclica cambia forma e, perso il potere temporale, il Papa scrive encicliche sempre più lunghe: perso il valore formale di decreto, la circolare si trova costretta ad argomentare. Riducendo ai minimi termini, gli argomenti sono tutti autoreferenziali e tautologici: reggono solo sull’assunto che hanno valore cogente. Con la perdita del potere temporale, però, la parola “obbedienza” diventa sempre più rara nelle encicliche papali, anche quando il richiamo è sulla dottrina morale, praticamente andando a scomparire nelle encicliche degli ultimi 50 anni. Oggi sono torrenziali lenzuolate nelle quali l’ordine è impartito come esortazione, la minaccia subito è smorzata in monito paterno, la sanzione è un accenno a fil di labbra.
Non così quando il Papa era ancora Re. Prendiamo, per esempio, la Mirari vos di Gregorio XVI, del 1832, quella che condanna “l’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza, errore velenosissimo a cui apre il sentiero quella piena e smodata libertà di opinione che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato”. Il gregge d’anime è anche popolo suddito: la pecora nera fa peccato, ma anche eversione. E allora, se pensare con la propria testa porta prima al carcere e poi all’inferno, figuriamoci spargerne il frutti: “Pessima, né mai abbastanza esecrata ed aborrita [è quella] «libertà della stampa» che taluni osano invocare e promuovere con tanto clamore”. Scritto in un’enciclica del tempo il cui il Papato aveva ancora potere temporale, come dev’essere tradotto? Basta uno sguardo al pontificato del successore di Gregorio XVI, alla repressione di ogni forma di libertà di coscienza, di opinione e di espressione, compresa quella a mezzo stampa.
Ciò detto, tornate alla letterina di Angela Pellicciari che apre il post e considerate l’uso della parola “enciclica”. Non è necessario chiarire troppo: la famigerata revisionista del Risorgimento, cara a Berlusconi e a Ferrara, alla decrepita nobiltà nera romana e ai nostalgici del Papa-Re in generale, dice “enciclica” e dice “placet del governo” come se – faccio per dire – Zapatero avesse fatto ritirare dalla circolazione tutte le copie della Deus est caritas, sanzionando severamente i responsabili dello smercio.
La signora è solita invitare i suoi lettori a contestualizzare le condanne a morte che Pio IX volle comminare ai suoi oppositori – a quei tempi era considerato gesto caritatevole, diciamo – ma, di fronte all’art. 270 del codice penale che il regno di Savoia si diede nel 1859, legge “enciclica” come se si trattasse di un’enciclica dei nostri tempi e legge “placet del governo” come se si trattasse di una odiosa forma di violazione della libertà religiosa. Il Papa-Re ci fa quasi la figura di un libero pensatore al quale lo Stato mette il bavaglio.
Fino a poco tempo fa, quando si diceva di un tale “quello è uno storico”, non si dava certo per scontato che la sua tesi non potesse essere fragile, ma veniva naturale un minimo di rispetto. Da dove escono questi avanzi di propaganda guelfa?