venerdì 26 novembre 2010

Avanzi di propaganda guelfa




L’enciclica è una circolare e, prima che il Papato perdesse il potere temporale, aveva sostanza e forma di decreto. Da Leone XIII in poi l’enciclica cambia forma e, perso il potere temporale, il Papa scrive encicliche sempre più lunghe: perso il valore formale di decreto, la circolare si trova costretta ad argomentare. Riducendo ai minimi termini, gli argomenti sono tutti autoreferenziali e tautologici: reggono solo sull’assunto che hanno valore cogente. Con la perdita del potere temporale, però, la parola “obbedienza” diventa sempre più rara nelle encicliche papali, anche quando il richiamo è sulla dottrina morale, praticamente andando a scomparire nelle encicliche degli ultimi 50 anni. Oggi sono torrenziali lenzuolate nelle quali l’ordine è impartito come esortazione, la minaccia subito è smorzata in monito paterno, la sanzione è un accenno a fil di labbra.
Non così quando il Papa era ancora Re. Prendiamo, per esempio, la Mirari vos di Gregorio XVI, del 1832, quella che condanna “l’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza, errore velenosissimo a cui apre il sentiero quella piena e smodata libertà di opinione che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato”. Il gregge d’anime è anche popolo suddito: la pecora nera fa peccato, ma anche eversione. E allora, se pensare con la propria testa porta prima al carcere e poi all’inferno, figuriamoci spargerne il frutti: “Pessima, né mai abbastanza esecrata ed aborrita [è quella] «libertà della stampa» che taluni osano invocare e promuovere con tanto clamore”. Scritto in un’enciclica del tempo il cui il Papato aveva ancora potere temporale, come dev’essere tradotto? Basta uno sguardo al pontificato del successore di Gregorio XVI, alla repressione di ogni forma di libertà di coscienza, di opinione e di espressione, compresa quella a mezzo stampa.

Ciò detto, tornate alla letterina di Angela Pellicciari che apre il post e considerate l’uso della parola “enciclica”. Non è necessario chiarire troppo: la famigerata revisionista del Risorgimento, cara a Berlusconi e a Ferrara, alla decrepita nobiltà nera romana e ai nostalgici del Papa-Re in generale, dice “enciclica” e dice “placet del governo” come se – faccio per dire – Zapatero avesse fatto ritirare dalla circolazione tutte le copie della Deus est caritas, sanzionando severamente i responsabili dello smercio.
La signora è solita invitare i suoi lettori a contestualizzare le condanne a morte che Pio IX volle comminare ai suoi oppositori – a quei tempi era considerato gesto caritatevole, diciamo – ma, di fronte all’art. 270 del codice penale che il regno di Savoia si diede nel 1859, legge “enciclica” come se si trattasse di un’enciclica dei nostri tempi e legge “placet del governo” come se si trattasse di una odiosa forma di violazione della libertà religiosa. Il Papa-Re ci fa quasi la figura di un libero pensatore al quale lo Stato mette il bavaglio.
Fino a poco tempo fa, quando si diceva di un tale “quello è uno storico”, non si dava certo per scontato che la sua tesi non potesse essere fragile, ma veniva naturale un minimo di rispetto. Da dove escono questi avanzi di propaganda guelfa?

giovedì 25 novembre 2010


Se voglio essere tenuto in vita quanto più a lungo possibile, fino a quella morte cosiddetta naturale che solitamente è ritardata con strumenti rigorosamente artificiali, chi può impedirmelo? Nessuno mi staccherà la spina, non contro la mia volontà, posso esserne certo. Anzi, posso essere certo che non mi sarà staccata nemmeno se volessi, nemmeno se implorassi: la legge lo vieta. E dunque, anche se volessi decidere diversamente, non posso. In pratica, posso decidere solo di essere tenuto in vita, in quella specie di vita che, in ultima analisi, taluni considerano tollerabile, ma altri no, preferendo morire. Questi ultimi potranno ritenerlo ingiusto, potranno protestare, potranno volere una legge che consenta a ciascuno di poter decidere per sé, ma che hanno da chiedere, i primi? Un bel niente.
O forse no, parrebbe che abbiano qualcosa da chiedere. Almeno a leggere Avvenire, vorrebbero che la loro scelta rimanesse, come già è, obbligatoria per tutti. Pretendono, pare, sia data loro voce in contraddittorio a quanti chiedono la possibilità di scegliere liberamente, ciascuno per sé. In pratica, vorrebbero poter esprimere le loro ragioni contro la libertà di scelta. E vogliono andare a Vieni via con me perché ci sono andati Englaro e Welby, anche questo lo pretendono, anche questo come se si trattasse di una questione di vita o di morte (la loro vita, la loro morte), non della vita e della morte (di ciascuno).
Fazio e Saviano dicono di no e fanno bene, speriamo solo che siano capaci di tenere il punto fino a rinunciare ad andare in onda, se fosse imposto loro di ospitare una replica. Che sarebbe non già in favore della vita e contro la morte, ma in favore dell’imposizione e contro la libertà di scelta.


Più obliqui che trasversali


Il tragico si riproduce in farsesco. Prendete Lotta Continua, per esempio. Potrete anche essere dei rozzi conformisti malati di moderatismo, ma non potrete negare la narrazione di alto livello che sta nell’umanità negli ex giovanotti lottacontinuisti. Voglio dire: potrete anche trovare irritante quel retrogusto borioso che sta in ogni mitezza di Adriano Sofri; potrete anche venire a dirmi che il loro livido velleitarismo poteva invecchiare solo in un Carlo Rossella o in un Giampiero Mughini; potrete farmi notare che era una setta ed è decaduta a lobby: d’accordo, posso darvi anche ragione, ma non vi siete accorti che nel farmelo notare vi è certamente scappata – lo sappiate o no – una citazione di Dickens o di Dostoevskij?
Sentite: “Il movimento ha come controparte la classe borghese storicamente dominante e questo dominio di classe si manifesta attraverso una serie di mediazioni che tuttavia sono espressione, anche se in maniera talvolta contraddittoria, di un piano organico del capitale”. Un “tuttavia” messo a cazzo di cane, ma roba finissima, vibrante e lirica, anche un po’ epica: c’è dentro l’uomo, e la storia, e sono innervati di destino.

Che abbiamo alla generazione successiva? Sofri jr & signora, con le rispettive consorterie. Da un movimento che andava a scegliersi come controparte la classe borghese dominante, qui siamo al tentativo di bissare le fortune della coppia Costanzo-De Filippi. La coraggiosa schiatta degli arcangeli del proletariato, poi dispersasi per salotti e redazioni restando famiglia e facendosi romanzo corale, qui non è nemmeno in parodia, e tutt’al più riesce a dirsi in una strip. L’incendiario fervore che si muoveva tra Pisa e Torino è degradato a link incrociati tra Il Post e Le Invasioni Barbariche, tra Wired e Vanity Fair, tra questo programma alla radio e quella trasmissione in tv, più obliqui che trasversali.  


"Lesioni gravissime"



Superfluo dire che anche uno sputo fa reato ed è da condannare, ma all’uscita dal ristorante nel quale martedì sera è stato fatto oggetto di aggressione, stando al video, Emilio Fede non mostrava alcun segno evidente delle “lesioni gravissime” che avrebbe riportato: nessun edema, nessun ematoma, nessuna escorazione. In un ristorante non manca certo del ghiaccio, ma pare che non ce ne sia stato alcun bisogno.

mercoledì 24 novembre 2010

“Noi, cui le bestemmie dei violenti fanno meno paura che il silenzio degli onesti”

Lettera di don Aldo Antonelli al cardinal Angelo Bagnasco.

[grazie a Francesco Madonna per la segnalazione]

Le vajasse ci hanno distratto


In coda al tg de La7, ieri sera, Enrico Mentana si scusava coi telespettatori: “Non abbiamo avuto il tempo di parlare dello scontro armato tra le due Coree”.




L’editorialino del sommario dell’ultimo numero di Internazionale (873/XVIII, pag. 5) merita di essere ritagliato e conservato come esempio di scrittura assai brillante, perché riesce a dimostrare in poche righe che Gianfranco Fini è per davvero unaltra persona da quella di 9 anni fa, anzi 6, anzi 4, anzi 3, anzi forse meno di 2. Non chiarisce, però, perché le sue attuali posizioni debbano essere trovate poi così male e allora merita di essere ritagliato e conservato come esempio di pessima argomentazione, quella che contraddice l’assunto che si intende dimostrare.

A parte, ma in tema
Consiglio questo interessantissimo intervento di Francesco Siciliano.


Molto bene, direi


Quando s’è saputo che Benedetto XVI concedeva vi fossero “casi giustificati” di uso del preservativo, vi ho invitato a non guardare la luna ma il dito: quella concessione non era esplicitamente espressa nella dottrina, ma si trattava della personale opinione di un teologo che discettava di morale. A parlare era stato Joseph Ratzinger, non il Papa, e ho scritto: “Non si tratta di un’affermazione tratta da un’enciclica pontificia, né da un documento ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede sottoscritto dal Papa, né da un testo che abbia forza di emendare il magistero”. Mi è subito venuto a dare sostegno padre Federico Lombardi, che qualche ora dopo precisava che quanto riportato nel libro-intervista era espresso “in una forma colloquiale e non magisteriale”.
Intanto c’era chi faceva notare la possibilità di un errore nella versione in italiano dell’affermazione del dottor Ratzinger: l’uso del preservativo doveva ritenersi “giustificato” non già nel caso di una prostituta che lo pretendesse dal cliente per evitare il rischio di contagio da malattia a trasmissione sessuale, ma nel caso di “ein Prostituierter”. Era proprio così. Implicazioni? Sembravano essere notevoli. “Il prostituto sta comunque commettendo un male (perché è omosessuale e perché si prostituisce), ma si tratta di un male che avrebbe commesso ugualmente anche senza profilattico”; nel caso della prostituta, invece, con l’uso profilattico si ammetterebbe la liceità morale di scegliere “un male minore (la prostituta non può più rimanere incinta dei suoi clienti)” rispetto a “un male maggiore (la prostituta alla lunga rimarrà contagiata)”, sicché “ciò che si applica alle prostitute dovrebbe a maggior ragione applicarsi anche alle coppie sposate, e che dunque l’uso del profilattico sarebbe adesso considerato tollerabile per prevenire l’Aids: una vera e propria rivoluzione, per la Chiesa”.
Insistevo nel dire che cambiava poco o niente: non si era validato l’uso del preservativo come “male minore” rispetto a un “male maggiore”, ma lo si era solo definito – qui è il caso di citare testualmente – un “primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole”. L’ho definito “un memento del peccato che si sta compiendo”. E quindi prostituta o prostituta non faceva differenza.
Padre Lombardi tornava a darmi sostegno: “Ho chiesto al Papa se c’era problema serio di scelta nel maschile piuttosto che nel femminile. Lui mi ha detto di no. Il punto è il primo passo di responsabilità nel tenere conto del rischio della vita dell’altro con cui io sono in rapporto. Se si tratta di un uomo o di una donna o di un transessuale è lo stesso”. È lo stesso Papa – non dimentichiamolo – che poco più di un anno fa ha dichiarato che il problema dell’Aids non si risolve con la distribuzione di preservativi, che anzi “aumentano il problema”: è evidente che l’uso del preservativo è “giustificato” non già come soluzione, ma come “primo passo verso una moralizzazione”, come possibile occasione di “consapevolezza” del peccato.
Riassumendo: quella del dottor Ratzinger non era un’affermazione ex cathedra, né indicava il preservativo come “male minore” o soluzione, né ammetteva come tollerabile sul piano morale il suo effetto contraccettivo. E dunque? E dunque niente, come vi avevo detto: nessuna storica apertura. Anche qui padre Lombardi si affrettava a darmi sostegno: “Il Papa non riforma o cambia l’insegnamento della Chiesa, ma lo riafferma […] Il ragionamento del Papa non può essere certo definito una svolta rivoluzionaria”.
Ennesimo infortunio mediatico e comunicativo, concludevo. E il filo del distinguo nelle due note del direttore della Sala Stampa Vaticana era di così ardua comprensione da poter essere sicuri che anche stavolta si creerà smarrimento e confusione nel gregge. Molto bene, direi.

martedì 23 novembre 2010

Ghe basti mi



“Invito tutti al senso di responsabilità, alla sobrietà, al rispetto dei nostri militanti e dei nostri elettori che non approvano certo personalismi ed esibizionismi”


I “mitologici under 40”



Caro lettore, di tutto ciò che in qualche modo ci dovrebbe o potrebbe unire perché in comune a me e a te, l’età è la più aleatoria e più aleatorio di tutto è il legame per fascia d’età. Se siamo entrambi del 1957, già possiamo essere irreparabilmente distanti perché totalmente diversi, ma è pura follia pretendere che ci sia qualcosa in comune tra noi due per il solo fatto di essere nati entrambi negli anni ’50. Più che da folle è da idiota, poi, pensare che qualcosa accomuni me, te e tutti quelli che hanno più di 50 anni – e fino a un condiviso sentire (o sentir d’essere) – perché nati tutti prima del gennaio 1960. Però è ancor più che da idiota – direi sia da cretino senza speranza di un riscatto – pensare che si possa avere in comune abbastanza per il solo aver meno di un tot d’anni. Ma forse sono troppo lapidario, e allora diciamo che fino a una certa età, diciamo fino ai 15-16 anni, sentire un vincolo anagrafico è da minus habens in senso lato; dopo quella età è da minus habens in senso stretto.
Ciò detto, ci sarebbe da commentare l’uscita in edicola del primo numero di un “settimanale immaginato, diretto, scritto, impaginato e comprato dagli italiani nati dopo il gennaio 1970”, i “mitologici under 40”. Qui la cretinaggine mostra tutta la sua disperazione nel fatto che a pensare e realizzare una roba del genere è quel Mario Adinolfi che di lustro in lustro alza la soglia sopra la quale tutto è mito: under 30, under 35, adesso under 40, probabilmente nel 2050 sarà preso da qualche brillante iniziativa da proporre ai “mitologici under 80” (probabilmente si tratterà di rottamare gli ultracentenari dirigenti del Pd).
Non nuovo a questo genere di fanfaronate – un quotidiano chiuso dopo pochi mesi di vita – l’esuberante Adinolfi annuncia: “Ci abbiamo lavorato tanto che ora, eccoci qui: giovedì 25 novembre usciamo in edicola in anteprima nazionale a Roma, come fossimo un film”. Vietato ai maggiori di 40 anni, perché troppo impressionabili.

A margine


Gran parte della musica leggera prodotta nei paesi di lingua inglese negli ultimi 60-70 anni ha in comune la lontanissima e comune radice nei canti degli schiavi d’America. È la prima metafora che mi salta in mente in fondo al II capitolo de Il cristianesimo primitivo di Charles Freeman, che sto rileggendo e che riconsiglio. (Sarà che si tratta in entrambi i casi di un prodotto della/nella cattività.) Il cristianesimo primitivo sta al cattolicesimo dell’ultimo secolo – mi viene da pensare – come uno spiritual cantato in una piantagione di cotone sta a una canzone di Elvis Presley, di Bob Dylan, di Bruce Springsteen e dell’ultimo post-grunge. Ma i canti degli schiavi afro-americani in cosa avevano radice a loro volta? Per Gerhard Kubik (Theory on African Music, 1994), l’avevano nella musica islamica. E il cristianesimo primitivo, in cosa ha radice? Per Freeman, sicuramente nell’ebraismo. (La tesi dell’influenza essena è rigettata: gli esseni credevano nell’immortalità dell’anima, ma non nella resurrezione dei corpi, alla quale credevano i farisei. Gesù era un fariseo, poi dissidente.) Probabilmente tra i paramenti sacri indossati nel primo Tempio di Gerusalemme e gli orribili pastrocchi addosso a Benedetto XVI c’è la stessa differenza tra un maqam e una canzone di Kid Creole & The Cononuts.


When I see the price that you pay




Pareva


La settimana scorsa pareva che Silvio Berlusconi avesse i giorni contati e che rimanesse solo da decidere se appenderlo a testa in giù a Piazzale Loreto o consentirgli magnanimamente di fuggire ad Antigua. Questa settimana non pare. Pare che ancora una volta l’ometto eccella nel riprendersi, recuperare, rimontare e un’inquietudine serpeggia fra chi lo dava per spacciato, non detta, come per essere esorcizzata: ancora una volta riuscirà a vincere dove tutto lo dava per perdente? Come è potuto accadere?
Diciamo innanzitutto che la sua rovina dipendeva da quanti fossero stati disposti ad abbandonarlo e che in pochi giorni il numero di costoro è andato via via a diminuire, anzi, si è arrivati a registrare qualche resipiscenza e qualche ritorno, che ha intimorito e fin quasi intimidito chi gli si era rivoltato contro.

Diciamo che il ravvedimento ha effetto edificante (mostra il vantaggio che ne consegue) e che il pentimento ha effetto trascinante (prima ci si pente, maggiore è il vantaggio, che progressivamente scema): nessun prezzo era troppo alto per comprare il primo ravvedimento, ed è stato pagato. In questo genere di commercio Berlusconi potrà risultare osceno ai puri, ma è insuperabile: riesce a comprare tutto ciò che è comprabile e qualcosa di più. Non restava che dare la giusta pubblicità agli acquisti – pardon, alle resipiscenze – e il vantaggio nell’essergli fedele ha cominciato a superare quello peraltro assai incerto nel tradirlo. Ma fedeltà e tradimento – se è necessario chiarirlo – sono qui usati per semplificare atteggiamenti di maggior complessione morale, anzi, comportamenti extra-morali.


Quando il preservativo non è contraccettivo


L’Osservatore Romano pubblica la nota ufficiale della Sala Stampa Vaticana che dà il peso esatto alle affermazioni di Benedetto XVI riguardo ai “singoli casi [che egli ritiene moralmente] giustificati” dell’uso del preservativo: era l’opinione di un Papa, certo, ma espressa “in una forma colloquiale e non magisteriale”. Si tiene a far presente che in quel contesto la “giustificazione” non è data dalla scelta di un “male minore” (tra due mali, uno maggiore e l’altro minore, la Chiesa chiede di sospendere ogni scelta rifiutando entrambi), ma dal segno di responsabilità evidente in essa. Nulla, invece, su quella che s’è poi rivelata come errata traduzione in italiano di un termine che nella versione originale era al maschile (“ein Prostituierter”) e che anche L’Osservatore Romano ha riportato al femminile (“una prostituta”), sicché parrebbe che la Santa Sede sia intenzionata a non tenere in alcun conto ciò che sarebbe implicito nell’uso del preservativo da parte di un gay che si prostituisce e cioè il fatto che in quel tipo di atto sessuale il condom non abbia un fine contraccettivo: se non ce l’ha, perché dovrebbe essere moralmente illecito?
È come se la Santa Sede cercasse di eludere questa domanda, almeno così è parso ad alcuni, fra i quali l’ottimo Giuseppe Regalzi: “Nel caso del prostituto omosessuale […] usare il preservativo non fa deviare l’atto sessuale da quello che per la Chiesa è il suo fine: quell’atto, per la Chiesa, è già deviato […] Il prostituto sta comunque commettendo un male (perché è omosessuale e perché si prostituisce), ma si tratta di un male che avrebbe commesso ugualmente anche senza profilattico. [...] Se il papa avesse davvero detto che una prostituta può chiedere ai propri clienti di usare il preservativo per proteggersi dall’infezione dell’Hiv, avrebbe con ciò ammesso che un male minore – la prostituta non può più rimanere incinta dei suoi clienti – è preferibile a un male maggiore – la prostituta alla lunga rimarrà contagiata e, soprattutto se non ha accesso ai farmaci moderni, morirà. Avrebbe quindi negato uno dei principi più importanti della bioetica cattolica; e anche se un’intervista non può paragonarsi a un atto solenne del magistero, e non ha quindi valore dottrinale (il papa non parla qui ex cathedra, e non può quindi essere ritenuto infallibile), si sarebbe trattato comunque di un’affermazione clamorosa”. Stando alla versione originale, dunque, “il pensiero papale non va manifestamente contro la dottrina”, e allora perché precipitarsi dalla Sala Stampa Vaticana a precisare che Benedetto XVI non avesse parlato ex cathedra? Probabilmente perché “prostituta” poneva il problema bene esposto da Regalzi. Ma che bisogno c’era di fare il distinguo tra opinione personale e dettato magisteriale, una volta stabilito che il Papa aveva parlato di un “prostituto”? Forse che l’uso del preservativo è condannato dalla dottrina della Chiesa anche al di là del suo fine contraccettivo? Non dimentichiamo che “ein Prostituierter” può anche avere clienti di sesso femminile e in età fertile: anche in questo caso, il preservativo avrebbe tra i suoi fini, primario o secondario, quello contraccettivo. Ma dove sarebbe il peccato nell’uso del preservativo da parte di “ein Prostituierter” rigorosamente gay?
Perplessità legittime secondo una logica piana, ma quella cattolica non lo è. Infatti, sebbene la dottrina della Chiesa condanni esplicitamente l’uso del preservativo solo perché separa il momento unitivo da quello procreativo, non manca una condanna implicita del suo uso al fine di evitare il contagio di malattie a trasmissione sessuale: se consente di commettere un peccato mortale al riparo da ogni rischio, in qualche modo lo favorisce. In altri termini, il preservativo consente a un gay la scelta tra male minore e male maggiore, rendendogli più difficile il rifiutare entrambi con la castità, che poi sarebbe quanto il Catechismo chiede alle persone omosessuali (2359). E senza mai dimenticare che per la dottrina cattolica la vita non è un bene assoluto come lo è la salvezza dell’anima. 
Mi auguro con ciò di aver risolto i dubbi di Regalzi.  

lunedì 22 novembre 2010

Fedeli, però col brivido


Paura, eh? Tranquilli, i radicali non voteranno la fiducia al governo. Non hanno firmato la mozione di sfiducia del Pd, né quella dell’Idv, ma questo non vuol dire. Sia dato, dunque, il giusto rilievo alla notizia: i radicali non sono oggetto di campagna acquisti, non sono merce che Berlusconi può comprare. Alla Camera sono 6 e sono indispensabili: appena è girata voce che potessero “tradire”, la loro indispensabilità è parsa evidente a tutti. Già, ma come s’è potuta diffondere, la voce? C’è stato un equivoco, ecco. Un incredibile equivoco. Da non crederci.
È andata così, pare. Il 17 novembre Marco Pannella aveva preso carta e penna e aveva scritto al Presidente del Consiglio: “Quando si riconosce carattere e dignità di interlocutore politico al più antico partito nato in Italia, che sia Bersani, Berlusconi, Bossi o Di Pietro, noi riteniamo non solamente utile ma anche necessario un dialogo costruttivo sull’immediato e sulle prospettive”.
Una voglia di “dialogo”, questo è tutto. “Costruttivo sull’immediato e sulle prospettive”? Ma sì, era per dare un tono alla richiesta, mica poteva dire: “Silvio, ti va del pourparler?”. Parlare, nient’altro che parlare, Pannella non aveva altra intenzione: parlare e far parlare, possibilmente di sé. E lì, vil razza dannata, i giornalisti ad equivocare.
Quante ne abbiamo sentite. “I radicali so’ matti”. “I radicali so’ traditori, ce l’hanno nel sangue”. “No, no, un momento, pare che i 6 voti siano in cambio di 6 riforme”. “Forse anche solo 3”. “Forse solo 2”. E i radicali, intanto, muti. Probabilmente offesi.
Chiedevano a Matteo Mecacci che cazzo stesse accadendo: “È un’iniziativa presa da Pannella, chiedete a lui”. Stessa domanda alla Coscioni: “Che fate, tradite?”. Serafica: “C’è tempo per decidere”. Idem la Bonino: “Manca ancora un mese”. Qualcosa in più da Rita Bernardini: “Certo Pannella si rivolge al Presidente del Consiglio. Ma non è un caso se subito dopo mette il nome di Bersani. Noi radicali chiediamo a Bersani di riconoscerci come interlocutore politico”. Scrivendolo a Berlusconi: caro Silvio, vorremmo dialogare con Pierluigi…

Via, fuor d’ironia: Pannella cercava un modo di far parlare di sé, cercava un modo per rammentare a tutti – in primo luogo al Pd – che i 6 radicali alla Camera sono indispensabili e che sanno essere fedeli, però col brivido. Non si stava vendendo a Berlusconi, si stava rivendendo a Bersani.


A parte Il “più antico partito nato in Italia” non è quello radicale, ma il Südtiroler Volkspartei, che è nato nel 1945 e ha oltre 60.000 iscritti.

"... ci siamo comportati da malvagi..."




Che vi dicevo?


Che vi dicevo? Nessuna “storica apertura”. Era questione secondaria, dunque, se Benedetto XVI avesse detto “prostituto” o “prostituta” (*) e padre Federico Lombardi nemmeno sfiora la faccenda, ma si precipita a precisare che quanto detto sul preservativo è stato formulato “in una forma colloquiale e non magisteriale”. L’ortodossissimo pontifex.roma.it commenta in modo ancora più brutale: “Il Papa ha detto certe cose non in qualità di magistero (sarebbe stato allora ex cathedra e dunque atto infallibile), ma in forma discorsiva e dunque criticabile sia pure con il dovuto garbo”. Proprio come vi anticipavo: “Non si tratta di un’affermazione tratta da un’enciclica pontificia, né da un documento ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede sottoscritto dal Papa, né da un testo che abbia forza di emendare il magistero [...] Non è stato il Papa a dire che «vi possono essere singoli casi giustificati» di uso del preservativo, ma Joseph Ratzinger, e l’ha fatto nel corso di una conversazione privata, anche se destinata a diventare pubblica”.
Resta il fatto che siamo dinanzi all’ennesimo infortunio mediatico, mai visti tanti in un solo Pontificato. Anche stavolta è Benedetto XVI a provocarlo, ma non mancherà chi si arrampicherà sugli specchi per dimostrarci che è stato vittima di chi ha voluto fraintenderlo. Intanto, mentre ingenui e sprovveduti plaudono alla “svolta rivoluzionaria”, la Santa Sede va in affanno a smentirla con un distinguo che difficilmente sarà ben compreso dai semplici: il magistero della Chiesa continua ad essere irremovibile sul preservativo e il Papa, che ne è la più autorevole espressione, non può che esservi pienamente aderente, mentre Joseph Ratzinger può risultarne scollato fino al punto da essere “criticabile”. Vallo a spiegare ai poveri di spirito. 

(*) Sono passate 12 ore da quando Paolo Ferrandi ha segnalato che sui media in lingua inglese e francese la frase di Benedetto XVI fa riferimento a un “un prostituto” (“a male prostitute”, “un homme prostitué”), indicandola come versione errata; 10 ore da quando Giuseppe Regalzi ha segnalato che era così anche nella versione in tedesco messa in rete il 17 novembre da kreuz.net (“ein Prostituierter”), indicandola come possibile versione esatta; 5 ore da quando Ansa dà notizia che tutto si è chiarito (Sua Santità intendeva dire “prostituto”); e alle 23.00 di domenica 21 novembre su vatican.va si legge ancora quanto era sull’edizione cartacea de L’Osservatore Romano: “… quando una prostituta utilizza un profilattico…”. Forse nemmeno provvederanno alla correzione, pare non faccia grossa differenza. A rigor di logica la farebbe?
Regalzi scrive: “Se il papa avesse parlato di prostituta, al femminile, ci troveremmo di fronte a una radicale innovazione nel magistero ecclesiastico, che finora ha sempre condannato il profilattico e gli altri mezzi anticoncezionali in quanto impediscono all’atto sessuale di raggiungere la sua «finalità intrinseca» (cioè la procreazione), senza mai porsi il problema del male minore. Sembra chiaro che ciò che si applica alle prostitute dovrebbe a maggior ragione applicarsi anche alle coppie sposate, e che dunque l’uso del profilattico sarebbe adesso considerato tollerabile per prevenire l’Aids: una vera e propria rivoluzione, per la Chiesa. Ma se, come sembra, il papa ha parlato di prostituti, al maschile (e riferendosi, beninteso, alla prostituzione omosessuale), ci troviamo in un caso in cui di procreazione non si può assolutamente parlare, e l’apertura papale diventa assai marginale”. Non troppo marginale, direi.
Direi che anche qui siamo di fronte ad un peccato mortale (qui è un atto omosessuale, lì è un rapporto sessuale fuori da matrimonio: entrambi violano lo stesso comandamento, il sesto); anche qui è in discussione la “giustificazione” dell’uso del preservativo finalizzato ad impedire il contagio tra chi si prostituisce e il suo cliente; anche qui saremmo di fronte a “un primo atto di responsabilità” che si configurerebbe come scelta del “male minore” (che la dottrina morale della Chiesa non contempla come opzione valida). Anche la variante con “prostituto”, dunque, non è priva di problematicità. Ma  si è detto – Joseph Ratzinger parlava a titolo personale, e comunque non ex cathedra. Non poteva essere una svolta storica.

A parte  Immancabile chi non ha capito un cazzo.

domenica 21 novembre 2010

Battuto il record detenuto da Il Foglio


“Per i ragazzi l’età da matrimonio è attorno ai 20 anni e per le ragazze deve situarsi tra i 16 e i 17 anni”



“Storica apertura”


Nessuna “storica apertura”, figuriamoci. Ancora una volta il mondo fraintende: non è stato il Papa a dire che “vi possono essere singoli casi [moralmente] giustificati” di uso del preservativo, ma Joseph Ratzinger, e l’ha fatto nel corso di una conversazione privata, anche se destinata a diventare pubblica (Luce del mondo, Libreria Editrice Vaticana 2010). Il contesto è tutto, sicché Vittorio Messori ha ragione: “Nulla viene scalfito nell’impostazione etica del magistero” (La Stampa, 21.11.2010). E dunque, prima di analizzare ciò che Joseph Ratzinger dice a Peter Seewald, diciamo subito: non si tratta di un’affermazione tratta da un’enciclica pontificia, né da un documento ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede sottoscritto dal Papa, né da un testo che abbia forza di emendare il magistero. E dunque – ancora con Messori – “quello di cui parla il Pontefice è un atto di carità (si tratta di una prostituta che chiede al suo cliente di mettere il preservativo per evitare un contagio), e da ciò non derivano conseguenze distruttrici sulla dottrina”: ogni atto sessuale è lecito solo nel matrimonio e deve rimanere aperto alla procreazione, l’uso del preservativo a scopo contraccettivo rimane un’offesa al sesto comandamento, e dunque è peccato mortale. Del tutto fuori luogo, quindi, immaginare che la Chiesa stia facendo una “storica apertura” su sesso e contraccezione.
Anche riguardo all’uso del preservativo come metodo per impedire il contagio di malattie a trasmissione sessuale, tutto è come prima perché in Luce del mondo si afferma che “questo può essere il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole”: lungi dall’essere uno strumento ritenuto moralmente valido allo scopo – la Chiesa continua a ritenere che l’unico sia la castità – il preservativo viene ad essere considerato, meno di un “male minore”, un imperfetto memento del peccato che si sta compiendo. D’altra parte, in chiusa, Joseph Ratzinger dice: “Le prospettive della Humanae vitae restano valide”. E fino a quando restano valide quelle, nessuna “storica apertura” è possibile.



sabato 20 novembre 2010

Correte in edicola


Il prossimo numero di 30giorni è imperdibile per i viziosi: “ventiquattro testi inediti: bre­vi lettere o biglietti che ab­bracciano gli anni fra il 1935 e il 1963 [inviati dal] futuro Paolo VI [a] suor Maria I­gnazia dei Santi Innocenti, agosti­niana del monastero dei Santi Quattro Coronati […] dove fu anche superiora dal 1949 al 1968. […] C’è una propensio­ne all’eccesso da parte della mona­ca circa sacrifici e mortificazioni [e] don Montini [:] «Io non direi che lei debba imporsi altre penitenze, oltre a quelle recla­mate dalla regola […] Non aggiunge­rei pratiche particolari […] Faccia come crede meglio, ma, ripeto, con giudizio e modera­zione»…” (Avvenire, 19.11.2010), insomma un arrapantissimo carteggio tra una slave avida di lividi e umiliazioni e un master austero e algido, in sublime equilibrio tra distacco e controllo.
Solo un vizioso dai gusti grossolani potrà crucciarsi del fatto che 30giorni pubblichi solo i testi del master: il vizioso dai gusti bene educati saprà leggere quelli della slave in controluce, certamente sulla falsariga delle umiliazioni che si imponevano sante dei bei tempi andati, quando l’Europa era cristianissima. E sarà meglio così, perché il non detto è spesso più eccitante. A piacere, il vizioso sopraffino potrà immaginare che suor Maria Ignazia abbia confessato a don Montini la sua gran voglia di offrirsi al Signore al livello di una santa Caterina da Siena (flagellarsi, bere pus, ecc.) o di una santa Maria Margherita Alacoque (bondage estremo, leccare vomito, ecc.); lui, cattivissimo: «Mantieni un contegno, cagna!».
Se amate il genere, correte in edicola.