mercoledì 11 maggio 2011
lunedì 9 maggio 2011
9.5.1978 - 9.5.2011
“… il coraggio di continuare a dire che Aldo Moro
insieme a tutta la Democrazia cristiana
è il responsabile maggiore
di vent’anni di cancrena italiana…”
Giorgio Gaber
Io se fossi Dio
1980
Ad averne una
Il Circolo Culturale Triveneto «Christus Rex» ha esposto sul Canal Grande uno striscione dai toni assai poco cordiali nei confronti di Sua Santità in occasione della sua visita pastorale nel Patriarcato di Venezia (7-8 maggio 2011): “Benedetto non è ben accetto perché conferma nella falsa fede del concilio”.
Non torneremo sulle ragioni che da quasi mezzo secolo portano i tradizionalisti cattolici a contestare la sostanza stessa del Concilio Vaticano II, ma non sarà superfluo rammentare che tutti i pontefici che ne hanno ribadito le linee, pur tentando di correggere quelle che hanno denunciato come deviazioni indotte da una errata interpretazione dei testi conciliari, sono sempre stati considerati veri e propri eretici dai più agguerriti di queste frange oltranziste, che nel Triveneto hanno un discreto seguito, con legami non solo ideali coi lefebvriani della Fraternità Sacerdotale «S. Pio X» e molte documentate contiguità a gruppi neofascisti e autonomisti locali.
Ciò detto, stupisce non poco che lo striscione sia rimasto esposto “per oltre 30 minuti”, come gli autori dell’iniziativa possono così vantare (agerecontra.it, 8.5.2011). Rammentiamo che in molte altre occasioni non si è consentito neppure un cenno di contestazione nei confronti di Benedetto XVI, e ne dà buon esempio quanto è accaduto nel corso della visita che Sua Santità tenne a Palermo, lo scorso ottobre, quando le forze dell’ordine arrivarono a pretendere la rimozione di alcuni volumi dalle vetrine di una libreria, perché potenzialmente offensivi, col tempestivo sequestro di striscioni sui quali erano riportati solo dei versetti tratti dai vangeli; a Venezia, invece, gli autori dell’iniziativa possono vantarne la “perfetta riuscita”, pur crucciandosi del fatto che “l’intervento delle forze dell’ordine ha richiesto la rimozione dello striscione”, deliziosamente lamentando: “Sono gli effetti dello stato laico”.
Probabilmente non hanno alcuna memoria del fatto che ai tempi dello Stato Pontificio il dare dell’eretico a un pontefice sarebbe costata loro la testa, ad averne una.
[via Giornalettismo]
[via Giornalettismo]
Un po’ di sano laicismo
Alcuni giorni fa, al Cairo, musulmani (salafiti) e cristiani (copti) se le sono date di santa ragione: nove morti, qualche centinaio di feriti e molti arresti, d’una fede e dell’altra. In casi come questi è praticamente impossibile stabilire chi abbia dato inizio alle violenze e non ci rimane che star lì a considerare che gli uni ne danno sempre la responsabilità agli altri, e per intera. Né conviene cercare di farsene un’idea da quanto è nelle accuse dell’una all’altra parte, perché se non si sposano le ragioni dell’una, e per intere, si corre il rischio di urtare la suscettibilità dell’altra, urtando le suscettibilità di entrambe se per caso si ricavi l’opinione che la responsabilità sia condivisa, anche se non equamente ripartita. È un fatto intrinseco ad ogni fede: chi ne ha una diversa è tollerabile fino quando non lo si avverte come troppo pericoloso, e il pericolo è avvertito già dalla diversità, sicché, quando e se possibile, la maggioranza cerca di ridurre la minoranza al silenzio. Rimane solo da considerare quanto è al di là di ogni responsabilità, degli uni e degli altri, e qui non ci resta che un rilievo empirico.
Quando sono sotto il 3-4%, i cristiani sono fatti oggetto di violenza per il solo fatto di essere cristiani e vanno al martirio senza opporre resistenza. Quando sono tollerati in quanto cristiani del tanto da poter arrivare al 7-8%, reagiscono alla violenza, non di rado ben oltre la legittima difesa. Si potrebbe concludere che la percentuale tollerabile di cristiani in un paese di tradizione islamica sia intorno al 5-6%. Che è più o meno la percentuale tollerabile di musulmani in un paese di tradizione cristiana: quando sono sotto il 5-6%, vengono pesantemente discriminati, ma non reagiscono; quando superano il 7-8%, pare inevitabile doversi aspettare attriti, perché la minoranza reagisce.
Dev’esserci anche per la fede una soglia di sbarramento che regge la possibilità di pacifica convivenza, tutt’altra cosa è trovarne la ragione, cercare di trovare regole condivisibili da una prevalente maggioranza e una esigua minoranza. Per questo, restringere la fede all’ambito privato è l’unica garanzia per ogni credente, del cristiano in un paese di tradizione musulmana e di un musulmano in un paese di tradizione cristiana: dove una fede ha diritto di occupare lo spazio pubblico nell’ovvia misura del numero dei suoi adepti, la violenza della maggioranza sulla minoranza, fisica o no, cruenta o meno, è sempre possibile. Solo uno stato laicista che faccia divieto di esibire la propria fede – e perciò dico proprio: laicista – dà piena garanzia a un qualsiasi credente, in qualsiasi paese del mondo. Non resta che augurarsi un po’ di sano laicismo per la sicurezza di ogni credente.
Il Foglio, 9.5.2011
Oggi è eccezionale, non dovete perdervelo.
“Mi domando perché i Responsabili, o almeno molti tra di loro, si comportino con tanta repellente ingenuità, rilasciando alla stampa e alle telecamere dichiarazioni da brivido che parlano da sole: l’apparenza è quella del mercimonio, di una attrazione morbosa per la ricompensa, di odio per la concorrenza sgomitante, sono parole che parlano di un mediocre accattonaggio, di un forte disprezzo per le competenze, di una libido di potere (anche quando si tratti di mezza porzione di lenticchie) un poco oscena…”
Vendersi, sì, ma con un minimo di classe, cazzo.
“Perché non stanno un po’ zitti o, se proprio desiderino parlare, non dicono cose almeno un po’ normali?...”
Sono robe che a un venduto di gran classe fanno girare i coglioni, per quanto piccolini, si vede dall’uso del congiuntivo, tutto tattico. Questi Responsabili degradano il vendersi a mero vizio morale. Del quale peraltro si compiacciono pubblicamente, senza essere disposti a fare alla virtù neppure il piccolo omaggio di un po’ di ipocrisia. E così sputtanano il vendersi stesso, e insomma imbarazzano chiunque si venda o già si è venduto. Per non parlare dell’imbarazzo che arrecano a chi compra. Stronzi e pericolosi, questi Responsabili, hanno bisogno di essere rampognati. E chi meglio di lui?
“Nessuno può essere accusato di volere il governo, perché il governo è la posta in gioco del conflitto politico in democrazia. Ma che lo si voglia come un cono gelato, come un piacere proibito, come un sollazzo, come una sveltina, come una refurtiva luccicante, o almeno che si faccia le viste di avere simili voglie matte, questo è inspiegabile”.
Chiaro? Non si faccia le viste, almeno.
domenica 8 maggio 2011
sabato 7 maggio 2011
Scongiurata l’astensione dei sordi che soffrono di insonnia
Wow, ho finalmente visto alla tv uno spot che annunciava i referendum di giugno. Era su Raitre, all’una di notte. Collocazione un pochino svantaggiata, però era uno spot con tanto di supporto per i non udenti.
La situazione
I messaggi obliqui che Mino Pecorelli mandava dalle pagine di O.P. diventano graziosi esercizi di enigmistica se confrontati a quelli che Giuliano Ferrara manda dalle pagine de Il Foglio, e insomma Pecorelli ci guadagna profilo da avventuroso mascalzoncello, forse mezzo matto ma in fondo galantuomo, come dimostra il fatto che fu sempre un morto di fame, e morì senza aver messo un soldo da parte. Ferrara, invece, non l’ammazza nessuno, e mangia, e matto non è, e ci guadagna profilo da mascalzone di ventura.
“Con una mossa che appare quantomeno irrituale, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ieri ha invitato i presidenti di Camera e Senato a valutare iniziative parlamentari dopo l’allargamento, giovedì, della compagine di governo a nove nuovi sottosegretari tutti provenienti da forze politiche oggi all’opposizione…”.
“Quantomeno irrituale”, sennò cosa? Il presidente della Repubblica sfiora l’illegittimità? Non esagerasse, sennò Il Foglio lancia uno dei suoi famosi appelli per chiederne l’impeachment, raccoglie le più importanti firme dell’intelligenza nostrana, che trovano sempre irresistibile quel genere di appello, e mette in serio imbarazzo il Quirinale.
Se ne avverte la smania, ultimamente, nelle vignette di Vincino: attaccano Napolitano con argomenti che stanno appena un po’ di al di qua di quelli usati da Sallusti e Belpietro, che però non finalizzano nell’insulto, concesso alla satira.
“Per una mancanza di comunicazione preventiva tra Quirinale e maggioranza, ieri il Pdl ha in prima battuta interpretato le parole del capo dello stato come un invito a chiedere un voto di fiducia. La reazione del Pdl, già impegnato nella campagna elettorale per le amministrative (Silvio Berlusconi sarà a Napoli il 13), è stata infatti di nervosa sorpresa”.
Napolitano avrebbe dovuto preventivamente comunicare a una parte del Parlamento quello che intendeva comunicare all’intero Parlamento. Non chiedete il perché: o avete un’intelligenza all’altezza di Giuliano Ferrara, e allora capite senza aver bisogno di chiedere, o vi fottete, e rimanete a brancolare nel buio.
Aspettate, ché vi faccio luce: quella nota del Quirinale doveva essere inviata alla sola maggioranza del Parlamento, dandole così la possibilità di eluderne il contenuto, evitando un grosso imbarazzo al governo. Ora, si sa, chi imbarazza questo governo non può essere che un comunista e Napolitano cos’è? Prego, Vincino, chiarisci il concetto.
Il vecchio comunista dopo una riunione di cellula: Compagni lavoratori, abbattiamo il governo della reazione |
“In realtà l’iniziativa del capo dello stato mirava a marcare una distanza avvertibile dalla manovra inclusiva della maggioranza nei confronti dei nuovi esponenti di governo. Un’operazione forse considerata trasformista dalle parti del Quirinale. Un segnale, quello di Napolitano, che gli ambienti del centrodestra più sensibili agli umori presidenziali non ritengono comunque di secondaria importanza”.
In realtà, Il Foglio è in grado di rassicurare Napolitano che il centrodestra potrebbe non chiederne l’impeachment. Sì, nella maggioranza c’è chi vorrebbe chiederlo, ma, se il presidente della Repubblica fa il bravo e promette di non rompere il cazzo, Giuliano Ferrara può impegnarsi a fare sensibile tutto il centrodestra agli “umori presidenziali”. Non è stata umorale, forse, l’iniziativa di Napolitano? Mica sollevava una questione di procedura istituzionale, macché, dava sfogo a umori. Probabilmente, poi va’ a sapere cosa dia realmente corpo a un umore, gli sarà andato di traverso qualcosa: visto che il governo deve prestare giuramento nelle mani del presidente della Repubblica (Costituzione, art. 93), trovarsene sotto gli occhi uno tanto diverso da quello d’inizio legislatura deve averlo turbato. Si sa, è anziano, trova difficoltà a masticare la Costituzione materiale.
Cioè, non proprio. Quando vuole, sa masticarla.
Perché quando D’Alema fece il governo con gente eletta con i fascisti? Io zitto allora |
“D’Alema fece il governo con gente eletta con i fascisti”? Ma di chi parla, Vincino? Starà mica alludendo a Lamberto Dini? Non importa. Non importa neanche che allora non fosse capo dello stato. Importa che il messaggio obliquo arrivi. Perché, sia chiaro, “il premier intende proseguire con la politica dell’allargamento, ma il precedente di ieri con il capo dello stato complica la manovra”. Napolitano vuole complicazioni?
Pecorelli aveva un altro stile. Sarebbe stato più criptico, e quindi la minaccia sarebbe stata più garbata, al punto che neanche si sarebbe capito subito chi gliel’avesse commissionata. Anzi, poteva anche venire il sospetto che non gliel’avesse commissionata nessuno, che si facesse usare a gratis da qualcuno che neanche sapeva bene chi fosse. Ferrara, no. Si capisce a nome di chi minaccia, si capisce cosa ci guadagna.
venerdì 6 maggio 2011
Il furbo vigliacco
Bombardiamo Tripoli perché non possiamo proprio farne a meno, ce lo chiede la Nato e ci tocca come prezzo da pagare perché i profughi non rimangano solo fatti nostri, e i nostri interessi in Libia non subiscano troppi danni, quando gli insorti dovessero spuntarla. E però siamo italiani, non possiamo essere lineari neanche nel tornare indietro sui nostri passi, tradendo un patto, sputando sulla mano che avevamo baciato, ed ecco che ora abbiamo trattative diplomatiche in corso con Gheddafi. Quasi certamente mediate dalla Santa Sede, che ci piace usare non meno di quanto ci piaccia esserne usati.
E tutto questo lo dichiariamo ufficialmente? Macché, siamo italiani: lo facciamo uscir di bocca, quasi per caso, da un sottosegretario con la forfora in un talk show televisivo del mattino. E con un velo di vanto, come se tutta questa ambiguità fosse eccelsa arte di governo, sofisticato prodotto della nostra superiore intelligenza politica, figlia di antica tradizione che onora il doppio gioco e non disdegna mai di tentarne un terzo.
Ci portasse frutti, almeno. Non ce ne porta mai. Sleali, inaffidabili, sempre pronti allo scrocco, incapaci di intrattenere relazioni internazionali a un livello superiore a quello degli accordi di interscambio: il familismo amorale è la cifra del nostro carattere nazionale, e in politica estera diventa la macchietta del furbo vigliacco.
Così fan tutti? Con altro stile. Anche Germania, Francia e Inghilterra difendono i propri interessi, non essendo ancora chiaro se ve ne sia uno europeo, ma le regole sono accettate e condivise: c’è l’interesse nazionale, l’interesse di coalizione, c’è una risoluzione dell’Onu e i diversi modi di leggerla, ci sono pure i colpi bassi e gli sgarbi, ma ciascuno e tutti si decide, e almeno si evita – ciò che l’Italia non sta evitando, anzi – di sparare sull’esercito di Gheddafi, per difendere gli insorti sui quali l’esercito di Gheddafi sparava, intanto trattando con Gheddafi, sicché se prima ce ne fregavamo dei morti anti Gheddafi adesso ce ne fottiamo pure di quelli pro Gheddafi. Poi tra mezzo secolo chiediamo scusa e stringiamo un accordo con tanto di risarcimento.
Come tra Granarolo e Parmalat
Lasciarsi andare al sarcasmo sarebbe inevitabile nel commentare la puntata di Qui Radio Londra andata in onda ieri sera, ma sarebbe pure fare un favore a Giuliano Ferrara, che cerca disperatamente audience, e a modo suo, sennò almeno l’incidente – il sospetto viene – per chiudere il programma senza dover pagare penali. Se una riflessione può essere utile, sarà necessario evitare il sarcasmo, negando al trash l’attenzione che chiede, perché agitarsi, urlare, tirar fuori la camicia dai pantaloni, sfidare Beppe Grillo da vaiassa a vaiassa, da ianara a ianara, senz’altro reale fine che far baccano, per solleticare il ventre della plebe televisiva – tutto lo squallore che ieri sera è stato buttato in faccia al telespettatore – cerca partecipazione emotiva, simpatia o antipatia, ammirazione o disprezzo, vorrebbe costringere a scegliere tra Grillo e Ferrara, come tra Granarolo e Parmalat: sembra una sana competizione, ma puzza di wrestling. Ora, puoi schifarlo quanto vuoi, il wrestling, ma se ti ci soffermi, anche solo un po’ più di quanto vorresti, finisci per tifare per uno dei due variopinti.
Limitiamoci a dire che Qui Radio Londra sta cominciando a far perdere ascolti ad Affari Tuoi: prima, alla fine del Tg1, c’era un crollo dello share che risaliva subito, appena Ferrara andava via; adesso la ripresa è assai più lenta, come se il telespettatore tornasse su Raiuno solo quando strasicuro che Qui Radio Londra è finita; e Ferrara comincia a capire che ha sbagliato fascia e rete.
giovedì 5 maggio 2011
Il delfino
Ieri, fra le altre, girava voce che Ayman al Zawahiri dovrebbe prendere il posto di Osama bin Laden. Anche qui il mito abdica in favore di un astuto ragioniere.
mercoledì 4 maggio 2011
Crocifiggersi
“Police were awaiting a forensics report to determine the cause of death and whether it was a homicide or suicide” (guardian.co.uk, 4.5.2011). Mica solo nelle Filippine.
Tra libare e allibire
Ogni 11 settembre ci sentiamo chiedere dove fossimo quando abbiamo saputo dell’attacco alle Twin Towers, e cosa stessimo facendo, quale sia stato il primo pensiero, la nostra prima reazione emotiva. Nulla sarà più come prima, anche per questo: prima ci facevano le stesse domande, ma in relazione allo sbarco sulla Luna, alla caduta del muro di Berlino, ecc.
Incastonare l’evento di dimensioni storiche in una stanza di vita quotidiana – la mia, la tua, la sua – non è un passatempo ozioso: è uno dei modi – neanche il più inutile, non il più rozzo – che abbiamo per ridurre la spesa emotiva che ogni evento storico ci chiede, non importa chi quale segno. Dov’ero, e che pensavo, mentre guardavo Italia-Germania di Mexico ’70? Che stavo facendo, e dov’ero, quando il terremoto devastò l’Irpinia? Quale è stata la prima reazione alla notizia del rapimento di Aldo Moro, e dove mi trovavo quella mattina? L’onda della storia si abbatte sul quotidiano, e il quotidiano riesce ad attenuarne l’urto, assorbendola: diventiamo porosi per non spezzarci e così la storia ci entra dentro senza fare troppo danno. Poi, sì, può diventare pure un passatempo, un gioco di società, anche un poco coatto, da narcisisti che amano esibirsi con l’evento storico sullo sfondo, quando non è peggio, cioè rituale esorcistico, seduta spiritistica, coro stonato; in genere, però, chiedere “come avete reagito quando avete saputo di …?” non è cosa malvagia, anzi, è un invito alla condivisione della spesa emotiva collettiva.
Alberto Cane lo fa con la notizia dell’uccisione di Osama bin Laden, che in realtà è come chiederci quale sia stata la prima reazione emotiva alla notizia dell’attacco alle Twin Towers, ma di sponda; e invita ad aggiungere la nostra alla sua, che è questa: “Sono rimasto allibito e non ho esultato. Pensavo fosse già morto”. Direi che qui l’evento trovi poca porosità, come se fosse già tutto assorbito, e al refluo si fosse impermeabili. Meglio che altrove, forse, dove si arriva allo sfarinamento, e prima si brinda e poi ci si pente un poco, e allora si spiega che è per salutare un “atto di giustizia”, come si fa a Mitilene quando schiatta Mirsilo. Senza tener conto a Mirsilo subentra Pittaco, uno dei Sette Sapienti, che emana una legge che raddoppia le pene per i reati commessi in stato di ubriachezza.
martedì 3 maggio 2011
Bleah
Non fosse per tutto il resto, c’è una questione estetica che mi rende repellente il cattolicesimo: troppo feticismo, e di un così cattivo gusto, che al confronto mi sembrano decenti perfino il tao, la gnosi, l’islam e il latex.
Michelangelo
Nanni Moretti lamenta che la Rai ha acquistato Il Caimano ma non lo manda in onda (La7, 1.5.2011). Può lamentarlo da abbonato Rai, ma non da autore, tanto meno da venditore. E non parliamo di un’opera d’arte che in copia unica venga acquistata da un privato per goderne in solitudine sottraendola al godimento di chiunque, ma dell’esclusiva dei diritti televisivi su un film che da chiunque può essere acquistato in dvd. Hai ceduto questa esclusiva? E quale pretesa accampi? Si tratta di un film che hai girato tu, ne avrai certamente una copia a casa, puoi proiettartelo quando ti pare e piace. Da abbonato Rai, in teoria, puoi lamentarti, ma come autore che ha ceduto quell’esclusiva, in pratica, non è meglio se stai zitto? Peraltro, altri abbonati Rai già si sono lamentati: non puoi limitarti a dire che condividi?
Ecco, domenica sera, Nanni Moretti mi è parso buffo come se il Buonarroti lamentasse di sentirsi un po’ troppo imbottigliato nella Cappella Sistina.
Stolti
Un cancro può regredire spontaneamente. Rarissimo, sempre inspiegabile, ma non impossibile. In realtà, neppure è mai possibile escludere che la diagnosi fosse errata. Di fronte a un cancro che regredisce spontaneamente, insomma, si può credere a un miracolo fatto da un santo o a un errore fatto da una équipe clinica, a piacere, anche quando entrambi sono indimostrabili: ci si può affidare a quella che pare l’ipotesi più verosimile, secondo il gusto. Basta non pretendere che quella sia la sola spiegazione possibile.
Alcuni anni fa, un collega mi raccontava di aver portato sul tavolo operatorio una paziente che tutti gli esami diagnostici – tutti – gli davano come portatrice di un cancro, di quelli che si decide di asportare solo per sperare di rosicchiare alla morte qualche mese di vita in più. Bene, apre e non trova il cancro. Inspiegabile, ovviamente. Il fatto è che la paziente non credeva nel soprannaturale.
“E come hai risolto?”, chiedo.
“Le ho detto che avevamo molto pregato per lei – tutti – e che escludere un miracolo era offensivo per la nostra fede”.
“E lei?”.
C’era ancora la lira, e l’avvocato dell’atea fu assai bravo: una dozzina di anni dopo fu complessivamente risarcita nella misura di 750 milioni. Anche poco, se si pensa che a pagare erano in quattro, e coperti da una buona assicurazione.
Morale Si può capire il farlo ai funerali, ma gridare “santo subito” dopo averlo appena fatto beato è da stolti: bisogna provare un secondo miracolo, e la fede ha i tempi lunghi di ogni tribunale.
lunedì 2 maggio 2011
Battere sul tempo il Time
“Chi non muore si rivede, non manda avanti il vice. Osama avrebbe interesse a farsi rivedere, se fosse vivo. Infatti i suoi, finché possono, confezionano messaggi e messaggini di dubbia fattura per dimostrare che è vivo e lotta insieme a loro. Ma la prova semplice semplice di quel che dicono non la danno, e il dottore sostituisce lo sceicco profeta. Resta la possibilità generica che Osama sia vivo. Ma resta soprattutto la domanda: perché noi desideriamo credere che sia vivo? Piuttosto di esporsi a una gaffe planetaria, cercando di dimostrare l’indimostrabile, la Cia e i governi occidentali di guerra (ma anche quelli disertori) hanno interesse alla sopravvivenza del mito di un Osama vitale. Per i nemici dell’islam radicale, è un memento che spaventa le opinioni pubbliche, e se non puoi avere un succulento scalpo del nemico, meglio il suo spettro. Per i disertori o per i leali rivali di Bush, è la prova che la sua strategia è impotente. Ecco considerato a suon di logica il perché non possiamo fare quel titolo: OSAMA BIN AMEN, ma è come se l’avessimo già messo in pagina”
Il Foglio, 11.9.2004
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