Alcuni giorni fa, al Cairo, musulmani (salafiti) e cristiani (copti) se le sono date di santa ragione: nove morti, qualche centinaio di feriti e molti arresti, d’una fede e dell’altra. In casi come questi è praticamente impossibile stabilire chi abbia dato inizio alle violenze e non ci rimane che star lì a considerare che gli uni ne danno sempre la responsabilità agli altri, e per intera. Né conviene cercare di farsene un’idea da quanto è nelle accuse dell’una all’altra parte, perché se non si sposano le ragioni dell’una, e per intere, si corre il rischio di urtare la suscettibilità dell’altra, urtando le suscettibilità di entrambe se per caso si ricavi l’opinione che la responsabilità sia condivisa, anche se non equamente ripartita. È un fatto intrinseco ad ogni fede: chi ne ha una diversa è tollerabile fino quando non lo si avverte come troppo pericoloso, e il pericolo è avvertito già dalla diversità, sicché, quando e se possibile, la maggioranza cerca di ridurre la minoranza al silenzio. Rimane solo da considerare quanto è al di là di ogni responsabilità, degli uni e degli altri, e qui non ci resta che un rilievo empirico.
Quando sono sotto il 3-4%, i cristiani sono fatti oggetto di violenza per il solo fatto di essere cristiani e vanno al martirio senza opporre resistenza. Quando sono tollerati in quanto cristiani del tanto da poter arrivare al 7-8%, reagiscono alla violenza, non di rado ben oltre la legittima difesa. Si potrebbe concludere che la percentuale tollerabile di cristiani in un paese di tradizione islamica sia intorno al 5-6%. Che è più o meno la percentuale tollerabile di musulmani in un paese di tradizione cristiana: quando sono sotto il 5-6%, vengono pesantemente discriminati, ma non reagiscono; quando superano il 7-8%, pare inevitabile doversi aspettare attriti, perché la minoranza reagisce.
Dev’esserci anche per la fede una soglia di sbarramento che regge la possibilità di pacifica convivenza, tutt’altra cosa è trovarne la ragione, cercare di trovare regole condivisibili da una prevalente maggioranza e una esigua minoranza. Per questo, restringere la fede all’ambito privato è l’unica garanzia per ogni credente, del cristiano in un paese di tradizione musulmana e di un musulmano in un paese di tradizione cristiana: dove una fede ha diritto di occupare lo spazio pubblico nell’ovvia misura del numero dei suoi adepti, la violenza della maggioranza sulla minoranza, fisica o no, cruenta o meno, è sempre possibile. Solo uno stato laicista che faccia divieto di esibire la propria fede – e perciò dico proprio: laicista – dà piena garanzia a un qualsiasi credente, in qualsiasi paese del mondo. Non resta che augurarsi un po’ di sano laicismo per la sicurezza di ogni credente.
Completamente d'accordo.
RispondiEliminaQuesto significa che anche noi della minoranza atea diventeremmo violenti se superassimo la soglia del sette percento? (Ma non l'abbiamo già fatto?).
RispondiEliminaVerissimo. Purtroppo temo che uno stato laicista (nel senso di cui sopra) sia possibile solo quando le percentuali delle minoranze sono talmente alte (20%? 30%?) da renderlo l'unica alternativa alla guerra religiosa permanente (penso agli Stati Uniti). Non credo che la Francia, per dire, sia un'eccezione, ma semplicemente uno stato sostanzialmente scristianizzato, in cui la religione non ha ruolo pubblico perché non l'ha neanche privato.
RispondiElimina@ Davide
RispondiEliminaMa no, è avere una fede che rende intolleranti.
Amen, come dicono quelli lì
RispondiEliminaSe uno crede nell'uomo e rispetta ogni sua manifestazione non sarà mai intollerante.
RispondiEliminaMagari sarà poco tollerante solo riguardo la stupidità che qualcuno si impone per comodità.