giovedì 19 maggio 2011

“Proprio non posso”

Marina Terragni scrive: “Il diritto di aborto non esiste, diversamente da quello che molti credono” (Sette, 19.5.2011). Almeno in relazione alla legislazione oggi vigente in Italia, questo è senza dubbio vero. Infatti, come ci viene rammentato, “la legge 194/78 stabilisce solo il mesto e basico diritto di una donna a non lasciarci la pelle se decide di abortire per preservare «la sua salute fisica e psichica»”. Qui, però, le cose si complicano: ciò che non è riconosciuto come diritto in principio, infatti, lo diventa di fatto, perché la “salute psichica” di una donna sta pure nel non essere costretta a portare avanti una gravidanza indesiderata. È dunque da rettificare l’assunto riduttivo – odiosamente riduttivo – in base al quale la legge 194/78 servirebbe solo ad evitare di ricorrere all’aborto clandestino, come se a questo fosse sempre possibile ricorrervi. Non è così, ovviamente, e la legge non si fa carico soltanto della possibilità di interrompere una gravidanza in modo meno rischioso, ma della stessa possibilità di abortire, entro certi limiti e a certe condizioni. È di pacifica evidenza, tuttavia, che nel riconoscere il primato della salute psichica della donna su una gravidanza che la metta in pericolo viene riconosciuto – di fatto, dicevamo – il diritto di aborto. E questa è cosa giusta, sebbene ad alcuni possa dispiacere. Si tratta di coloro che ritengono che la salute psichica di una donna sia compatibile con il portare avanti una gravidanza indesiderata e ritengono che sia lecito convincerla o costringerla in tal senso, per quel “suo bene” che in fondo non è mai davvero “suo”.
Anche Marina Terragni cede a questa tentazione e sembra dar giudizio positivo sul fatto che negli anni Settanta sia stata respinta la richiesta della “semplice depenalizzazione”, avanzata da “una parte del movimento delle donne”. Si trattava di una richiesta ragionevole, ma doveva essere ipocritamente preservato, almeno formalmente, il tradizionale controllo che la società pretende di esercitare sulla donna fertile: l’aborto era concesso, ma solo in cambio di una (auto)certificazione di indisponibilità per motivi di “salute”. Nel rispetto dell’ipocrisia si poteva così concedere alla donna quello che comunque non le si sarebbe potuto negare. Nessun diritto le è mai riconosciuto a gratis e qui doveva pagare con una menzogna: non le era concesso dire “non voglio”, doveva dire “proprio non posso”.

1 commento:

  1. della serie "chi si interessa tanto della vita degli altri, lo fa perchè non sa cosa fare della propria".

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