“Il killer che ha insanguinato la Norvegia è semplicemente un folle”, dice Giulio Meotti. Non mi sembra un depistaggio intelligente, peraltro molte delle pagine scritte da Anders Breivik sembrano copiate da Il Foglio: la crisi demografica che mina l’occidente, l’Europa che diventa sempre più Eurabia, il relativismo etico che ci rende deboli, il multiculturalismo che mortifica le nostre radici giudaico-cristiane, il politicamente corretto e il buonismo che ci rammolliscono, perfino che l’aborto dovrebbe essere vietato, che la pillola e gli altri metodi contraccettivi dovrebbero essere severamente limitati, che l’educazione sessuale nelle scuole dovrebbe essere abolita. Si sfoglia il librone del killer e non stupirebbe il trovarci una letterina di Luigi Amicone o un’analisi di Carlo Panella, ma Meotti pensa di potersela cavare con: “È semplicemente un folle”.
Non solo: “Assegnare all’assassino norvegese patenti intellettuali – dice – è una paranoia giornalistica”. “Paranoia giornalistica”? Se è “paranoia giornalistica” trovare, e dunque segnalare, strabilianti concordanze tra la follia di Breivik e le battaglie culturali di certi intellettualoni del calibro di Roger Scruton e di Oriana Fallaci, peraltro molto cari al killer ma pure a Il Foglio, che definizione vogliamo dare al titolo che sulla prima pagina de Il Foglio di sabato 23 luglio recitava “Oslo sotto attacco ricorda che al Qaida ce l’ha con la Norvegia” (sottotitolo: “La pista nordica e il Mullah”)? Giornalismo d’inchiesta?
No, il depistaggio di Meotti è una fetecchia. Direi che Massimo Introvigne ne abbia confezionato uno assai migliore per mettere in ombra la matrice cristianista di Breivik: dice che è “massone”, e sì, cristiano forse, ma “cristiano culturale”, d’un cristianesimo più “pagano” che protestante o cattolico. Breivik “vaneggia”, certo, ma Introvigne è costretto a concedere che c’è un metodo in quel vaneggiare, perfino un sistema, e con grande abilità mette in risalto tutto ciò che lo fa marginale a un’area culturale della quale è senza dubbio figlio, perché è naturale che oggi imbarazzi la famiglia. “Matrice cristianista”, dicevo, e naturalemente devo spiegare cosa intendo dire col termine cristianista. Ricorrerò alla definizione che ne ha dato chi coniò il termine, il vaticanista Lucio Brunelli, giusto dieci anni fa: “Un nuovo genere di cristiani s’aggira per l’Europa. Sono i cristianisti. Ne circolano varie specie, alcuni indossano la tonaca, altri giacca e cravatta. C’è la versione aristocratica e quella scapigliata. Ma in comune tutti i cristianisti hanno il piglio del cattolico da combattimento. Basta chiacchiere ecumeniche, occorre un’identità forte. Si sentono minoranza. Ma non calano le brache, loro. In politica stanno di preferenza col centrodestra, in economia sono ultraliberisti, a livello internazionale, ferventi americanisti. E fin qui di anticonformismo non sembrerebbe essercene molto. Ma la vera novità dei cristianisti non è la scelta dello schieramento. È il pathos che ci mettono. Lo spirito di militanza. E soprattutto la forte motivazione ideologico-religiosa. Dalla teologia dell’unicità di Cristo Salvatore discende senza dubbi un atteggiamento belligerante verso l’Islam. Dalla critica ortodossa del pelagianesimo viene l’accusa sprezzante a quei cristiani che si dedicano prevalentemente alle iniziative sociali in favore degli ultimi. Dalla denuncia dell’irenismo teologico si arriva all’entusiasmo (non solo approvazione, ma entusiasmo) per le spedizioni militari alleate. Tutte queste caratteristiche sono l’essenza del perfetto cristianista. Fenomeno nuovo, senza dubbio, almeno relativamente agli ultimi anni. Minoritario ma non quanto si crede, perché si innesta (estremizzandole) in tendenze dottrinali e politiche che trovano spazio anche in alcuni settori della gerarchia ecclesiastica” (Vita, 26.10.2001).
E Breivik? Si definisce “cultural conservative, revolutionary conservative, Vienna school of thought, economically liberal, christian, protestant but I support a reformation of protestantism leading to it being absorbed by catholicism”. Così lontano dai teocon de noantri?
“Trovare una spiegazione alla strage di Anders Breivik – dice Meotti – non è semplice. Ma liquidare l’eccidio con l’emergenza legata all’islam in Europa, a letture massonico-templari bellicose, al pericolo della critica multiculturale, dare patenti intellettuali a un claustrofobico sanguinario come Breivik, è solo una forma di paranoia intellettuale”. A me pare che la paranoia intellettuale stia nella negazione e nella proiezione alle quali Meotti è costretto a ricorrere per non guardare nello specchio un fratello appena un po’ più svitato di lui.
“L’assassino norvegese – dice – non ha falciato cento musulmani in una moschea di Oslo. Non voleva scatenare una guerra etnico-religiosa. Era animato dall’odio di sé, voleva deturpare il volto della società in cui ha vissuto e che lo ha partorito”. E Il Foglio, invece, cosa fa? In coerenza con la sua islamofobia va a braccetto con Borghezio a spargere urine di maiale dove dovrebbe sorgere una moschea? No, si limita a sparare sui “nemici interni”: le donne che prendono la pillola e che abortiscono, i gay e le coppie di fatto che vorrebbero indebolire il sacro pilastro del matrimonio tradizionale, i credenti che sono in favore dell’accoglienza degli immigrati, ecc.
“Il dato interessante – dice Meotti – è la Norvegia, che si era illusa, dopo la guerra e in un’epoca di intensi conflitti ideologico-religiosi, di aver debellato per sempre l’intolleranza, la prevaricazione politica, l’odio, il terrore. Un paese che svettava da anni negli indici di felicità mondiali e che aveva costruito un modello ideale di welfare, solidarietà e accoglienza”. E qui bisogna constatare che la scemenza di Magdi Allam è contagiosa: anche per Meotti, Breivik è la prova provata che la tolleranza non funziona con chi è intenzionato a dimostrare che non funziona. È che dalla Norvegia le notizie arrivano sempre con molto ritardo in Lungotevere Raffaello Sanzio: i norvegesi non sembrano intenzionati a farsi condizionare da tipi come Breivik, e da ciò che i loro atti di terrore dovrebbero convincere la Norvegia, il loro modello di società non cederà all’intolleranza.
E dunque, sì, “il killer di Utoya è soltanto un cretino apocalittico”, ma pure Meotti non scherza.