lunedì 17 ottobre 2011

Dove sarei smentito?

Lunedì scorso, in un post dal titolo Il maggioritario sturziano, ho osato contestare una affermazione fatta da Marco Pannella nel corso di uno dei suoi interventi al Comitato nazionale di Radicali italiani: «Sturzo fa l’esperienza in America e torna antiproporzionalista, uninominalista e presidenzialista». Ho detto che si trattava di una sciocchezza e, attingendo a fonte che mi è parsa attendibile (i 14 volumi della sua opera omnia), ho spiegato che, «quando Sturzo torna dall’America, nel 1946, è ancora un fiero sostenitore del sistema proporzionale, del quale vanta addirittura di essere stato il padre nel 1919, e invece cambia idea solo molto tempo dopo: per sua stessa ammissione, è non prima del 1950 che comincia ad aver dubbi sul proporzionale, per poi farsene fiero oppositore solo dopo il fallimento della cosiddetta “legge truffa”, che è del 1953».
In quanto allo “Sturzo presidenzialista”, ho detto che questa ipotesi era già stata formulata da intellettuali alla corte di Silvio Berlusconi, nel 1996, per essere subito scartata come assai azzardata, oltre che patentemente strumentale, da uno studioso del calibro di Gabriele De Rosa. Bene, pare che Marco Pannella si sia molto risentito del fatto che io abbia osato citare gli scritti di Sturzo, quello originale, contro il  suoSturzo, quello che gli torna comodo a inventarsi un cattolicesimo liberale di antica tradizione bipolarista, per una meschina operazioncella di bassa politica (tentare di sabotare il referendum sul Porcellum: solo i referendum promossi dai radicali sono belli, gli altri sono tutti brutti). 


Molto risentito, ma incapace di produrre una obiezione validamente documentata, che affida a tal Gabriella Fanello Marcucci. Si tratterebbe del parere di persona autorevolissima, ma a leggere il suo articolo (Notizie Radicali, 17.10.2011) non trovo alcuna smentita alle mie affermazioni, tranne che in un punto: forse non è dal 1953 che Sturzo comincia a spendersi in favore del sistema maggioritario, ma dal 1952, comunque ben 6 anni dopo il suo ritorno in Italia. E pensare che un brivido di fifa mi aveva percorso la schiena, sensibile come sono alle autorità nel campo, qualunque sia il campo. 
 «Il lungo soggiorno in paesi anglosassoni aveva rafforzato il suo giudizio positivo sul sistema istituzionale lì praticato», eppure ancora nel 1951 – nota l’archivista – Sturzo si dichiara «contrario al voto di preferenza e al premio di maggioranza», per arrivare solo «dopo le elezioni politiche del 1958 [ad] una aperta condanna del sistema elettorale vigente ed un incitamento ad adottare l’uninominale maggioritario». E allora, di cosa stiamo parlando? Sturzo era in cuor suo un ardente antiproporzionalista fin dalla culla? No, di certo. Torna in Italia, nel 1946, da ardente antiproporzionalista? Può darsi, ma dell’ardore non si ha evidenza se non molti anni dopo. Nel 1948 scrive: «Fortuna o sventura, noi europei continentali siamo così divisi per idealità, per interessi e per metodi da non poter ridurre la lotta politica ai due partiti classici dei paesi anglosassoni». Nel 1949 scrive che un sistema elettorale non può rispondere ad astratti assunti di principio, ma aderire caso per caso a «estensione e qualità del corpo elettorale». Nel 1958 – e qui mi pare si tagli la testa al toro – scrive: «Sul proporzionale ho cambiato idea nel 1950». E tuttavia nel 1954 scrive: «Non pochi si meravigliano della mia recente opposizione alla proporpozionale». Recente e certo non finalizzata al bipolarismo: Sturzo infatti scrive che la proporzionale  «oggi è dannosa perché impedisce la formazione di un terzo partito omogeneo e valido da presentarsi come opposizione legale e come alternativa alla Dc». E allora di cosa stiamo parlando? Dove sarei smentito?
 

Corrispondenze

Caro Malvino,
facciamo finta che tra quelli che criticano le recenti scelti dei parlamentari radicali (dalla fiducia di Romani in poi, diciamo) non ci sia neanche uno di quelli che sa come le cose stanno davvero, che ha letto le numerose precisazioni di Bonino, Perduca, Giachetti, che ascolti la radio e la messa domenicale di Pannella. Facciamo pure finta che chi critica siano solo quelli che si informano tramite i giornali e telegiornali tradizionali e vedono i talk show cosiddetti di regime. Facciamo finta anche che tutta l'informazione, ma proprio tutta, abbia glissato sulle vere motivazioni e abbia riferito i fatti in modo tendenzioso. Ma io dico: visto che questa situazione è così non da ieri ma da almeno dieci anni (forse di più), maremma bucaiola, per quale cavolo di motivo vai ogni volta a infilarti in queste situazioni facilmente manipolabili? Sei totalmente scemo o cosa? 
Cosa ci vuole a capire che se l'opposizione vota la sfiducia a un ministro e tu no sarai fatto passare per quello che sostiene il governo? E che se tutti i deputati dell'opposizione escono e tu rimani, sarai preso di mira? Cosa ci vuole a capire che dopo che ieri sei rimasto in aula e sei stato aspramente criticato, se oggi lo rifai sarai criticato ancora di più? Cosa ci vuole a capire che dello sciopero della fame non importa più nulla a nessuno perché l'hai fatto talmente tante e troppe volte che ormai sembra un hobby e ogni volta ore e ore a spiegare i motivi di quello attuale?
E' colpa dell'informazione non democratica o tua, che sarai un ottimo conoscitore di istituzioni, leggi e regolamenti, ma un pessimo conoscitore di quelli da cui vorresti farti votare?
Ciao,
Lorenzo Lazzeri

Eh. 

“Grande è la confusione sotto il cielo, quindi la situazione è eccellente” / 2

Si riuniscono a Todi, chissà perché a porte chiuse, i cattolici che dovrebbero dar vita a quel “soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica” che nelle intenzioni del suo ispiratore, il presidente della Cei, dovrebbe rinnovare, al tramonto del berlusconismo, l’ormai inservibile “progetto culturale” del suo predecessore. Se fino a ieri la Chiesa godeva di un rapporto privilegiato con la destra al potere, e tornava comodo che parte del laicato cattolico fosse politicamente impegnato anche al centro e a sinistra, ora urge la ricomposizione, ma un partito dei cattolici non è lo strumento più utile, e forse non è neanche possibile.
Vedremo cosa debba intendersi per “soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica” che però non sia un partito, ma fin d’ora pare probabile che debba trattarsi di un coordinamento transpartitico alle dirette dipendenze della Cei, che con Bagnasco, a differenza della grande autonomia concessa a Ruini, ha stretta sorveglianza della Santa Sede, per mezzo della Segreteria di Stato. Se questo “soggetto” dovesse prender vita, avremmo piena realizzazione di un’ingerenza permanente del Vaticano nella vita politica italiana: sarebbe strutturalmente data, istituzionalmente legittimata, la dipendenza dello Stato alla Chiesa. Il magistero morale e sociale della Chiesa avrebbe uno strumento ancora più efficace della Democrazia Cristiana per lanciare la sua offerta pubblica di acquisto per il controllo di una società che peraltro non ha mai saputo difendere a dovere l’aconfessionalità dello Stato. Non ci sarebbe alcun bisogno di cambiare la Costituzione: il cattolicesimo tornerebbe ad essere “religione di Stato”, de facto.
Una soft theocracy, più o meno. E la cosa non è neanche così difficile, perché la società italiana, anche se profondamente secolarizzata, è stremata, docile alla fascinazione di un qualsiasi instrumentum regni che sappia incarnare al meglio il paternalismo del quale gli italiani non sanno fare a meno. Niente di meglio che la Chiesa. Parrebbero pronti anche alcuni “illustri intellettuali e studiosi di formazione marxista che su Avvenire del 16.10.2011 mandano a Todi un segnale: il Pd è interessato, e non solo nella sua componente ex democristiana.
 

“Grande è la confusione sotto il cielo, quindi la situazione è eccellente” / 1

Madonna Labicana!



* 

domenica 16 ottobre 2011

Lo spontaneismo è sempre controproducente

A vederlo assaltare un autoblindo, ti viene il sospetto che si tratti di un infiltrato. Solo quando è morto, e gli scopri il volto, t’accorgi che si trattava di un ragazzo. Anche un bravo ragazzo, a detta di sua madre e dei suoi amici. Dovresti sentirti un verme: come hai potuto sospettare che si trattasse di un agente mandato in piazza a creare disordini? Devi deciderti: o smetti di sospettare che una pacifica protesta possa degenerare in altro solo a causa di un piano ordito da chi vuole sabotarla, e allora con coerenza devi mandare a cagare la madre e gli amici del ragazzo morto, o con animo sereno e onesto accetti l’evidenza che nessuna protesta può essere tanto pacifica da dare piena assicurazione che resti tale. In altri termini: o metti in discussione le ragioni della protesta, quali che siano, o metti in discussione il dogma della nonviolenza.
Io ti consiglierei la seconda opzione, perché la protesta è sempre legittima, è sempre un diritto, talvolta è addirittura un dovere. Il fatto è che in sé ha sempre il germe della violenza, anche quando riesce a rimanere pacifica, che senza dubbio può essere preferibile, spesso conveniente, e tuttavia non sempre riesce ad essere possibile, anche quando la piazza non sia infiltrata da agenti provocatori. Negare il germe della violenza nella protesta è da ingenui e gli ingenui non hanno alcun diritto di lamentarsi.
Tutto sta – io credo – nel decidere la forma da dare alla violenza che è insita nella protesta (è per questo che chi professa il dogma della nonviolenza rigetta addirittura il termine “protesta”): quando è preferibile che non si traduca in atti violenti, ma dia segno di sé solo in potenza, c’è bisogno che la massa sappia darsi struttura organizzata, rinunciando al lirismo del momento spontaneo. Ogni protesta che assume forma spontanea dà luogo prima o poi ad atti violenti, perché l’istinto a tradurre in atto la potenza è proprio di ogni massa non organizzata. “Il principale avvenimento all’interno della massa è la scarica. Prima, non si può dire che la massa davvero esista: essa si costituisce mediante la scarica. All’istante della scarica i componenti della massa si liberano delle loro differenze e si sentono uguali. […] Solo tutti insieme gli uomini possono liberarsi dalle loro distanze. È precisamente ciò che avviene nella massa. Nella scarica si gettano le divisioni e tutti si sentono uguali. […] Ma l’istante della scarica, tanto agognato e tanto felice, porta in sé un particolare pericolo. È viziato da un’illusione di fondo: gli uomini che d’improvviso si sentono uguali, non sono divenuti veramente e per sempre uguali” (Elias Canetti, Massa e potere, Adelphi 1981).
Io ti consiglierei di unirti alla protesta di una massa non organizzata solo se sei disposto a fare i conti con quella perdita più o meno grande della responsabilità personale che è inevitabile quando vuoi illuderti. Per meglio dire: nel farti parte di una massa non organizzata, ti assumi una quota di responsabilità che è sempre superiore a quella tua, e non parlo di responsabilità giuridica, ovviamente, ma di quel genere di obbligazione che è ineludibile nel mettere le proprie ragioni insieme a quelle altrui, nello stesso istante, nello stesso luogo, in nome di una comune protesta. Devi mettere in conto come minimo la delusione di veder fallire la protesta negli obiettivi che le avevi personalmente assegnato, fino ad essere costretto a constatare che tra un bravo ragazzo morto e uno schifoso agente provocatore passa la stessa differenza che c’è tra un Francesco Caruso e un Francesco Cossiga, che in pratica, per gli obiettivi che ti eri posto nel partecipare alla protesta, è nulla. Lo spontaneismo è sempre controproducente.

sabato 15 ottobre 2011

[...]

Per la prima volta negli Stati Uniti

 
(ANSA) - WASHINGTON, 14 OTT - Il Grand Jury di Kansas City ha deciso di incriminare il vescovo della città, Robert Finn, con l’accusa di aver ritardato la denuncia e coperto un prete accusato di aver abusato di una bambina.


venerdì 14 ottobre 2011

Se fossero stati 60


I deputati radicali preannunciano il ricorso all’autorità giudiziaria per rivalersi delle notizie false o tendenziose che dovessero essere diffuse riguardo alle ragioni che li hanno spinti a rigettare la linea scelta da tutte le altre opposizioni, e dicono che hanno deciso di partecipare al voto di oggi per gli stessi motivi per i quali hanno partecipato ai lavori d’aula di ieri, e cioè per ribadire il loro rispetto delle istituzioni e della funzione parlamentare, come sempre, da sempre. Non si capisce, allora, che senso abbia far presente che non sono stati in alcun modo determinanti, né al raggiungimento del quorum né a quello della fiducia: se fossero stati 60, invece di 6, sarebbe potuto venir meno il loro rispetto delle istituzioni e della funzione parlamentare? Non si tratta, d’altra parte, delle istituzioni e del parlamento che i radicali considerano ampiamente degenerati in regime partitocratico? Infine, davvero i radicali hanno sempre, e da sempre, avuto tanto ossequio per le istituzioni e il parlamento?
Non vorrei essere fatto oggetto di attenzioni dell’autorità giudiziaria su invito dei deputati radicali, ma ritengo assai deboluccia la loro posizione. Come dimostra il fatto che hanno votato contro la fiducia al governo, non si tratta certamente di tristi figuri che barattano il loro voto in cambio di favori, ma ritengo che non abbiano deciso di essere presenti in aula per ragioni di principio, ma che ancora una volta abbiano deciso di sfruttare al meglio un’occasione per lucrare un po’ di quella visibilità della quale sono comprensibilmente affamati. Naturalmente, quando dico “deputati radicali”, dico Marco Pannella. Perché dietro questa ennesima prova di opportunismo travestito da ossequio per le regole è evidente il mestiere del tirar la corda fino alla rottura, senza mai romperla. Altrove non poteva durare mezzo secolo, in Italia sì.  

Rumore

Sul cosiddetto “decreto ammazzablog” pare davvero che si sia fatto molto rumore per nulla (Daniele Minotti, via Massimo Mantellini). Ovviamente nessuno potrà mai convincerne quanti ritengono che mai nessun rumore sia per nulla.

Stizza


Umberto Eco doveva aspettarsi una punizione perché era colpevole di aver detto: «Non credo che Benedetto XVI sia un grande filosofo, né un grande teologo, anche se generalmente viene rappresentato come tale. Le sue polemiche, la sua lotta contro il relativismo sono, a mio avviso, semplicemente molto grossolane, nemmeno uno studente della scuola dell’obbligo le formulerebbe come lui. La sua formazione filosofica è estremamente debole» (Berliner Zeitung, 19.9.2011). Ci pensa il giornale del Papa, con un articolo a firma di Silvia Guidi, impreziosito dalla foto che vedete qui sopra (L’Osservatore Romano, 13.10.2011). Nessun riferimento alle dichiarazioni fatte da Umberto Eco, naturalmente, tanto meno un’obiezione ragionata: solo un dispettuccio, anche se assai stizzito.  È evidente che le critiche da lui mosse a Benedetto XVI hanno duramente colpito, perché toccavano il punto più sensibile della reputazione che  l’Opus Dei è venuta cucendo addosso a Joseph Ratzinger dalla metà degli anni Ottanta in poi.
Ho argomentato in più occasioni, anche prima della sua elezione al Soglio Pontificio, quanto Umberto Eco ha detto al Berliner Zeitung, e la reazione de L’Osservatore Romano mi sembra sia la migliore dimostrazione che sulla costruzione del grande bluff, al quale ha contribuito anche buona parte del mondo laico, il nervo è ancora più scoperto di quanto ritenessi. 

giovedì 13 ottobre 2011

“I see no reason not to believe her”


Update
Yesterday we posted about a viral video clip of people walking on water that that a local news team mistook for being true. Today we’ve got another story to go in the “always check your sources” file. The Sensacionalista, a Brazilian satirical news site (think a low-scale Onion written in Portuguese), posted a story last week about an American woman who claimed she was impregnated by a 3D porn film. The quirky joke was soon being reported all over the internet as fact. And, this time, it wasn’t just some local affiliate news program that got duped; the popular tech site Gizmodo took the bait as well!
The original story was hilariously ridiculous. As the Sensacionalista “reported,” an American soldier named Erick Jhonson (the botched American name should have tipped someone off) returned from war to discover that his wife had given birth to a half black child. The only problem was, both he and his wife were white! When he confronted his wife, she claimed that she had been impregnated from watching a pornographic film shown in 3D. “Jhonson” was said to be suspicious of the story but not altogether unconvinced. The story includes a quote from him stating, “with today’s technology anything is possible.”
 Funny, huh? Well, that jokey piece was soon translated to English and making its way from tech site to tech site, all the while being presented as a true story. Unfortunately, whoever translated it, didn’t also translate the Sensacionalista slogan: “the newspaper exempt from truth.” Soon enough, it ended up at the doorstop of Gizmodo, the technology blog owned by Gawker and famous recently for breaking the 4th generation iPhone story. Gizmodo passed the story along, much to the delight of the Sensacionalista who responded with this headline: “One of world’s largest online news publishes satire as if it were real.” Gizmodo quickly deleted the story, going so far as to clean out their online cache so no one could see it. All that is left are a few dead links on Google.
 To make matters worse, the American tech blogs weren’t the only ones negatively affected by the mistake. The Sensacionalista is just a small website who took some random picture of a white woman with an interracial baby off the internet to accompany the story. As the story began picking up steam, The Brazilian site published this update (pardon the imperfect translation): “A week ago we published an article about the woman who claimed to get pregnant after watching a porn movie 3d. The article was fake and we used the photo that we found on the Internet. Unfortunatelly, the article spread around the world because some sites thought that it was real. That was not our intention. Sensacionalista is a small site from Brazil. We never thought that this could happen. That’s why we are asking this family to accept our sincere apology. That woman and her baby in the photo had nothing to do with this article. They are just a normal family trying to live they’re own lives. We apologize for wrongfully taking their photo and putting it in our article. Please, not to publish this article again and next time check what you read before you write. This site is a humor site. Nothing here is real.”
We can only assume from reading this that the real woman pictured had been accused of cheating on her husband by people who recognized her from the photo. The Sensacionalista acted fast and removed the photo, presumably after being contacted by the woman, her family, or perhaps even her attorney.
The funniest part of the whole incident is the tone that most of these news articles took in reporting the story. Nearly every one insulted the “husband” for being stupid enough to believe such a ridiculous tale. 
Now what is it they say about the pot calling the kettle black?

martedì 11 ottobre 2011

[...]

Scajola congiura? Se sì, a sua insaputa.

lunedì 10 ottobre 2011

Il rasoio di Giovanardi

Quello di Carlo Giovanardi è riduzionismo: dato un fenomeno negativo (stragi del sabato sera, strane oscillazioni in Borsa, rocker particolarmente scostumati, ecc.), lo riduce a effetto di ciò che ritiene il male assoluto, che per lui è – risaputamente – la droga. Si tratta di un’applicazione radicale del cosiddetto “rasoio di Ockham”, il metodo che prende nome da Guglielmo di Ockham, teologo e filosofo medioevale, che, drogato, senza dubbio approverebbe.

Coda

Ho scritto che Wikipedia “è tra i «siti informatici» che hanno attivamente protestato, arrivando addirittura ad oscurare le sue pagine, ma non si capisce perché abbia sospeso la protesta, «tesa esclusivamente alla salvaguardia di un sapere libero e neutrale», visto che «le modifiche al ddl [che peraltro] verranno discusse solo a partire dal prossimo mercoledì 12 ottobre» risparmierebbero solo i blog”.
Giovanni Luca Ciampaglia mi dà la seguente spiegazione, alla quale penso sia opportuno dare rilievo:



Forse posso dare un po’ di contesto. Il motivo della sospensione della protesta è che le modalità con cui s'è arrivati a quella decisione sono state fortemente criticate all’interno della comunità. Oltre ad essere stata messa in atto da un gruppo relativamente ristretto di amministratori rispetto all’intera comunità di itwiki, per molti il vero problema è che la semplice idea di protestare sia in violazione del principio di neutralità che è alla base della filosofia del progetto. Il passatempo preferito dei wikipediani è di spaccare il capello in quattro, tuttavia la maggioranza della comunità (su fino al fondatore Jimmy Wales) ha preferito la linea pragmatica ed ha supportato la scelta della Wikipedia Italiana, che in ogni caso è una comunità totalmente autonoma rispetto a quella Inglese. Sempre per lo stesso motivo di rimanere sul programatico, una volta ottenuta la visibilità mediatica, e visto che un oscuramento prolungato avrebbe creato più confusione che altro (si sa, le notizie girano, ma girano distorte: moltissima gente per esempio pensava che a chiudere itwiki fosse stato il governo!), s’è deciso di sospendere l’oscuramento. Dietro Wikipedia c’è molta più politica di quanto possa sembrare a prima vista. Ma la cosa bella è che tutte le discussioni sono lì, disponibili per chiunque.



Mariastella al Cern

Apperò!

È davvero un peccato che Alfonso Luigi Marra si sia giocata ogni credibilità coi suoi romanzi e con quanto vi ha messo d’accanto, perché la sua proposta referendaria è estremamente interessante. Se uno fa lo sforzo di non pensare che è l’autore de Il labirinto femminile, e gli dà attenzione per capire quali leggi intende abrogare, e perché, scappa quasi di essere d’accordo.

«Il termine blog è la contrazione di web-log...»

Al netto degli eccessi retorici, in qualche caso davvero insopportabili, la protesta che ha agitato la gran parte della nostra blogosfera ha preso di mira il punto del comma 29 del ddl intercettazioni in cui l’espressione «sito informatico» faceva aspecifica inclusione dei blog. Ricavo conferma di questa impressione dal corale sospiro di sollievo che si è levato alla notizia che il testo sarà quasi certamente emendato, mantenendo l’obbligo di rettifica per le sole testate giornalistiche on line.
Quanti volevano che fosse fatta questa distinzione contestavano il fatto che un blog fosse considerato «sito informatico»? Non penso, peraltro l’espressione è pacificamente accolta nella definizione di blog anche da Wikipedia: «In informatica, e più propriamente nel gergo di Internet, un blog è un sito web...». No, quasi sicuramente volevano che al blog fosse riconosciuto lo statuto di «particolare sito informatico». E quale particolarità volevano che fosse riconosciuta? [Qui, su Wikipedia, credo valga la pena di un breve inciso. È tra i «siti informatici» che hanno attivamente protestato, arrivando addirittura ad oscurare le sue pagine, ma non si capisce perché abbia sospeso la protesta, «tesa esclusivamente alla salvaguardia di un sapere libero e neutrale», visto che «le modifiche al ddl [che peraltro] verranno discusse solo a partire dal prossimo mercoledì 12 ottobre» risparmierebbero solo i blog.]
E, dunque, cos’è che fa di un blog un «sito informatico» diverso dagli altri, almeno per ciò che attiene all’obbligo di rettifica? In altri termini, perché non sarebbe giusto trattare un blog come un qualsiasi altro «sito informatico»? Anche qui converrà chiedere lumi a Wikipedia: «Il termine blog è la contrazione di web-log, ovvero “diario in rete”». E ancora: «L’autore (blogger) pubblica più o meno periodicamente, come in una sorta di diario online, i propri pensieri, opinioni, riflessioni, considerazioni ed altro».
Siamo ancora nel vago, ma ce n’è abbastanza per poter escludere dalla categoria dei blog tanti «siti informatici» che si dichiarano e generalmente vengono considerati tali, anche dalla pagina di Wikipedia, per quanto in più o meno palese contraddizione con la definizione data.  Un «nanopublishing» è un blog? Un «corporate blog», un «blogames» o un «M-blog» sono blog? Non mi passa nemmeno per l’anticamera del cervello il mettere in discussione la loro piena libertà di stare on line, ma sono blog? Le bacheche on line di personaggi pubblici (politici, uomini di spettacolo, giornalisti, ecc.) sono blog? A mio modesto avviso, no. Si tratta di «siti informatici» che fin troppo spesso non hanno neanche la buona grazia di fingersi “diario in rete”. Godranno dei benefici concessi ai blog, se vi saranno. E non mi pare affatto giusto.
Prendo i primi 250 nella classifica di BlogBabel. Se solo depenno le vetrinette di azienda, i civettini di trasmissione televisiva e i siti web di vario vippume, scendono a 89. Se depenno pure i blog collettivi, che non ho mai capito perché ci ostiniamo a considerare blog quando sono imprese redazionali, arrivo a 31. Gli altri 219 meritano una pari tutela giuridica? 
Il rischio di essere frainteso è altissimo e dunque voglio spiegarmi con due o tre esempi. Antonio Di Pietro non ha altro modo di essere attivo in rete se non con un blog? Ammesso e non concesso che a Gad Lerner non bastino L’Infedele, la Repubblica e Vanity Fair per dire tutto quello che ha da dire, e senta l’esigenza di far sentire la sua voce pure in rete, perché chiamare blog il suo «sito informatic? È Renato Brunetta che scrive i suoi post? Bah, sarà, ma io ci leggo lo stile di Vittorio Pezzuto, suo portavoce. Se fosse, il blog di Brunetta rimane un diario personale? Il Post è un blog o un webmagazine? Troppa confusione, troppi blogger che non riconosco come blogger.
Forse ha ragione Fabristol: «In rete non c’è più niente da leggere, in rete non c’è più niente da creare, in rete non c’è più niente da dire». È che la rete è diventata terra di saccheggio della tv e della carta stampata. Perfino Il Foglio, che sulla blogosfera sputa fin dal 2002, ha i suoi blog. La blogosfera è diventata sempre più simile al mondo dellinformazione del quale voleva farsi alternativa. Ha clonato le sue conventicole e le sue dinamiche, ne ha preso tutti i vizi, e anche qualche tic, per giunta fra i più ridicoli. La contaminazione tra web e tv, tra web e carta stampata, altrove è stata fertile. Qui, in Italia, no

venerdì 7 ottobre 2011

mercoledì 5 ottobre 2011

La Cassazione del Tg3

“Nel nostro ordinamento vige il principio del libero convincimento del giudice. Noi abbiamo ritenuto che tutte quelle prove – pur molto significative, importanti, ecc. – non ci convincessero”. Così dice Claudio Pratillo Hellmann, presidente della Corte d’Appello di Perugia, al microfono di Alvaro Fiorucci (Tg3, 5.10.2011). È il modo migliore per aprire il servizio, che per qualche istante – solo qualche istante – sembra prendere la piega giusta. Infatti Flavia Paone – è lei che firma il pezzo – chiosa: “Oltre ogni ragionevole dubbio: solo in questo caso si può condannare qualcuno nel nostro sistema giudiziario. E di dubbi, nel processo ad Amanda Knox e Raffaele Sollecito, ne erano rimasti troppi. Lo spiega oggi il Presidente della Corte d’Appello di Perugia, che in quella camera di consiglio c’è stato per ore”. D’altra parte, a chi tocca stabilire se le prove che l’accusa porta a carico di un imputato di omicidio siano davvero convincenti? Ai parenti della vittima? A Bruno Vespa? A quanti si sono appassionati al caso? Decidiamo con un referendum? Potrà dar fastidio quando la sentenza non incontra il nostro pieno gradimento, ma forse sarà il caso di lasciare la decisione ai giudici.
Sembra che anche Flavia Paone convenga, ma subito si capisce che lo fa a malincuore. Poi il malincuore diventa franco malumore, incazzatura acida, e allora il suo servizio prende una brutta piega. Di insinuazione in insinuazione cerca di condurci alla convinzione che la sentenza di assoluzione sia stata ingiusta, anzi, sommamente ingiusta. E comincia col parlarci del povero Rudy Guede, “condannato per concorso in omicidio, ma in concorso con chi, a questo punto, non si capisce più”.
Se vogliamo assecondare Flavia Paone, dobbiamo chiederci perché Guede stia in galera e quei due no. Se vogliamo assecondarla, dobbiamo convenire che il concorso non possa esserci stato che con quei due, impossibile pensare ad altri complici, sarebbe una inutile perdita di tempo visto che ne abbiamo già due a disposizione, che per giunta hanno tutte le carte in regola per stare sul cazzo a Flavia Paone: se Guede è colpevole, dunque, devono esserlo anche Knox e Sollecito. E qui, volendo assecondarla, viene il sospetto che il processo d’appello ai due sia stato del tutto superfluo, visto che Guede era già stato condannato in secondo grado.
A Flavia Paone sfugge – o vuol farselo sfuggire o vuole che sfugga a chi le presta attenzione – che sulla presenza di Guede sulla scena del delitto non ci sono dubbi (egli stesso non l’ha mai smentita), mentre per Knox e Sollecito sono stati tanto seri da non consentire una condanna “oltre ogni ragionevole dubbio”. In pratica, il fatto che Guede stia in galera e che quei due siano liberi non è affatto un controsenso, né logico, né giudiziario. E tuttavia Flavia Paone ci invita a cercare un senso in quello che ci invita a considerare un controsenso: Rudy è povero, è nero, non è particolarmente carino, non aveva avvocati famosi a difenderlo, non aveva dalla sua la simpatia dei media, nessun potente perorava la sua causa; per Amanda e Raffaele, tutto il contrario.
Flavia Paone non può esserne sicura, ma pare esserne proprio convinta: “Forse sarebbe andata diversamente se anche lui [Rudy Guede] avesse goduto dei mezzi economici e del potere comunicativo degli altri due: facce telegeniche per accattivarsi il pubblico, lobbies innocentiste a far pressione mediatica e, soprattutto, avvocati di grido con parcelle da svariati zero, principi e principesse del foro capaci di far riscrivere la verità giudiziaria e far passare due fidanzatini per le vittime del nostro sistema”. Quasi certamente colpevoli, insomma, e allora ingiustamente assolti.
“Oltre ogni ragionevole dubbio”, si diceva, e si diceva del “principio del libero convincimento del giudice”. Cazzate, in quella camera di consiglio non deve aver avuto alcun peso il fatto che le prove a carico dei due fossero tutt’altro che certe, comunque non convincenti al punto da azzardarsi alla condanna di due innocenti. Quand’anche lo siano, sono colpevoli per aver usato tutti i mezzi a loro disposizione per non essere condannati. Il signore che era intervistato in apertura del servizio li assolti perché si è fatto infinocchiare (chi lo avrebbe mai detto, sembrava una persona così seria), ma per fortuna abbiamo il Tg3 che rimette le cose in ordine sotto il cielo: assolti dalla giustizia in forza dei loro mezzi economici? Proprio per quelli condannati da Flavia Paone, tiè! Certo, “nessuno può dire con certezza quanto questa calcolata e costosa riabilitazione dell’immagine di Amanda abbia influenzato la Corte d’Appello”, ma che importa? La Cassazione del Tg3 ha emesso la sua inappellabile sentenza.