a Giovanni Fontana
Sul perché Matteo Renzi piaccia così tanto alla destra, e così poco alla sinistra, non è il caso di intrattenerci troppo, perché è impossibile arrivare a conclusioni esaurienti. Però possiamo almeno fare qualche ipotesi.
Può darsi sia davvero un uomo nuovo, quello finalmente che può liberare la sinistra dai suoi vizi psicologici, culturali e politici, tirandola via dalle secche in cui la storia l’ha portata ad incagliarsi, rendendola finalmente capace di riguadagnare motivazioni, entusiasmo e consensi, facendole trovare idee per governare e voglia di vincere. E allora è possibile che raccolga tante critiche fra quanti invece dovrebbero salutarlo come il leader che ci voleva, perché la sinistra è ottusamente conservatrice, fottutamente masochista, irrimediabilmente votata alla sconfitta. Non è da escludere, ma questo non ci dà garanzie che Matteo Renzi sia la soluzione.
Al contrario, può darsi che le sue idee non appartengano affatto al patrimonio culturale e politico della sinistra, e che quindi a buon motivo sia sentito da gran parte della sinistra come un corpo estraneo, come un ex democristiano che abbia subìto, anche se in ritardo, la stessa mutazione genetica di tanti ex democristiani che dalla Dc passarono a Forza Italia. Mi par chiaro che in entrambi i casi la sinistra non meriti Matteo Renzi.
D’altro canto, le critiche che Matteo Renzi muove alla sinistra sono le stesse che da sempre le sono mosse dalla destra. Sarà per questo che piace così tanto a quanti dovrebbero essere i suoi avversari “naturali”? È molto probabile, anzi, a sentire le lodi che la destra rivolge a Matteo Renzi, parrebbe che le critiche che egli rivolge alla sinistra siano le stesse che la destra (in quanto destra) muove alla sinistra (in quanto sinistra). Parrebbe che, a raccogliere le critiche che Matteo Renzi le rivolge, e che egli si sforza di dimostrare siano costruttive, la sinistra non avrebbe da far altro che diventare un po’ più simile alla destra, per vincere. Pare, infatti, che per “costruttivo” debba intendersi tutto ciò che consente la vittoria. Ci troveremmo di fronte ad una mutazione della sinistra ancora più profonda: da avanguardia che guida le sorti del popolo a oligarchia che rincorre gli umori della gente.
Non si capisce, in realtà, perché un elettore che abbia idee di destra dovrebbe essere conquistato da una sinistra così rifatta invece che rinnovare la propria fiducia ad una destra che rimane tale, dimostrando con ciò di aver vinto la sua lunga partita contro la sinistra, né si capisce perché un elettore che abbia idee di sinistra dovrebbe rinunciarvi perché solo così potrebbe veder vincere una sinistra che di fatto non lo sarebbe più. Parrebbe, insomma, che Matteo Renzi piaccia così tanto alla destra perché, consapevolmente o no, divide la sinistra: fra quanti la vorrebbero vincente anche a costo di vederla somigliare un po’ di più alla destra e quanti sarebbero disposti a vederla eternamente perdente purché fedele alle sue idee di sempre.
Ma forse tutto ciò che ho fin qui scritto ha un vizio di fondo, che è quello di far riferimento a due categorie che sono superate già da tempo, per reciproca contaminazione: probabilmente destra e sinistra sono inservibili ad un’analisi del renzismo, che forse altro non è che un mero epifenomeno di questa contaminazione, giunta con lui a un tal grado di mimetismo da essere presentabile come superamento delle due posizioni ideologiche in un metodo duttile e pleomorfo, pragmatico più che pragmatista. Probabilmente, caro Giovanni, la questione si pone in altri termini. Ho cercato di farlo nel post qui sotto, ma forse in modo troppo ellittico. Provo a farlo qui, augurandomi di essere più chiaro: la società che sta nel progetto di Matteo Renzi è liberaldemocratica?
Liberismo e liberalismo: o stanno insieme o degenerano. Stessa cosa per libertà e responsabilità: senza responsabilità la libertà diventa arbitrio, senza libertà la responsabilità diventa sudditanza. Se arbitrio e sudditanza sono termini relativamente ambigui, le degenerazioni di un sistema nel quale l’individuo goda della sola libertà economica, o di tutte le altre tranne quella, danno vita a società dai caratteri piuttosto precisi, peraltro tristemente noti, prima o poi invivibili, e dunque destinate ad essere messe in discussione da istanze reattive, spesso anche violente. Chi voglia costruire una società che sappia evitare queste derive non può fare a meno di guardare alle libertà come un corpo inscindibile, senza considerarne alcune prioritarie rispetto ad altre, e alla responsabilità come l’unico presidio che può garantirle tutte.
Liberismo e liberalismo: o stanno insieme o degenerano. Stessa cosa per libertà e responsabilità: senza responsabilità la libertà diventa arbitrio, senza libertà la responsabilità diventa sudditanza. Se arbitrio e sudditanza sono termini relativamente ambigui, le degenerazioni di un sistema nel quale l’individuo goda della sola libertà economica, o di tutte le altre tranne quella, danno vita a società dai caratteri piuttosto precisi, peraltro tristemente noti, prima o poi invivibili, e dunque destinate ad essere messe in discussione da istanze reattive, spesso anche violente. Chi voglia costruire una società che sappia evitare queste derive non può fare a meno di guardare alle libertà come un corpo inscindibile, senza considerarne alcune prioritarie rispetto ad altre, e alla responsabilità come l’unico presidio che può garantirle tutte.
Di tutte le libertà, quella economica è quella che meglio si presta a saggiare questo assunto. Quand’anche un individuo la eserciti nel pieno rispetto di un sistema normativo che gli impedisca di farne strumento di arbitrio o causa di sudditanza, la ricchezza che ha pur legittimamente cumulato gli darà modo di godere illegittimamente di quelle libertà che eventualmente siano negate a quanti non dispongano dei suoi mezzi, oltre che a proteggersi dagli effetti delle sanzioni che potrebbero raggiungerlo per aver violato il divieto, se non addirittura a fuggirle.
È il caso di una società che riconosca all’individuo la libertà di intraprendere e di cumulare ricchezza, ma gli neghi altre libertà che pure sono nel corpo del diritto di autodeterminazione nella responsabilità verso gli altri individui: a costui non sarà difficile goderne comunque, creando di fatto, anche non di diritto, condizioni di disparità che inevitabilmente faranno dei suoi beni materiali, pur legittimamente cumulati, un elemento di ingiustizia sociale. Se la ricchezza assicura ad alcuni la piena e legittima “libertà da”, che però può facilmente tradursi in piena ma illegittima “libertà di”, è solo una piena e legittima “libertà di” che può garantire l’equità di diritti nella differenza che di fatto c’è tra individuo e individuo, e che può e deve avere modo di esprimersi anche sul piano economico. Perciò ripeto: se non stanno insieme, liberismo e liberalismo degenerano.
Bene, caro Giovanni, se molte delle proposte uscite dalla Leopolda possono sembrare liberiste, non ve n’è traccia di liberali, eccezion fatta per la n. 89 (Una regolamentazione per le unioni civili), che sembra messa lì tanto per fare da bandierina nel campo dei diritti civili. Ve n’è, invece, qualcuna francamente illiberale e, ciliegina sulla torta, silenzio assoluto sul conflitto di interessi. Per Matteo Renzi, l’autodeterminazione dell’individuo è sacrosanta solo in campo economico ed è qui che il nostro si rivela liberale – scusami la bestemmia – quanto lo è Silvio Berlusconi. Nei fatti è filoclericale come lui, ma senza avere la fierezza di rivendicarlo come merito. Come lui, cerca di essere simpatico a tutti (cosa che dovrebbe sempre insospettire), e con risultati altrettanto tragicomici (cosa che dovrebbe sempre far riflettere). Tiene il palco con la stessa posa da uomo della provvidenza, che ha il sole in tasca e l’uovo di Colombo in testa. Quei 100 punti, che dovevano essere scritti in wiki e si sono accontentati della lingua di un ex Mediaset come Giorgio Gori, fanno il depliant di un’offerta già sentita, appena camuffata da un volto che ancora non ha bisogno di cerone. Volesse il cielo fosse solo una faccia di cazzo.
Bene, caro Giovanni, se molte delle proposte uscite dalla Leopolda possono sembrare liberiste, non ve n’è traccia di liberali, eccezion fatta per la n. 89 (Una regolamentazione per le unioni civili), che sembra messa lì tanto per fare da bandierina nel campo dei diritti civili. Ve n’è, invece, qualcuna francamente illiberale e, ciliegina sulla torta, silenzio assoluto sul conflitto di interessi. Per Matteo Renzi, l’autodeterminazione dell’individuo è sacrosanta solo in campo economico ed è qui che il nostro si rivela liberale – scusami la bestemmia – quanto lo è Silvio Berlusconi. Nei fatti è filoclericale come lui, ma senza avere la fierezza di rivendicarlo come merito. Come lui, cerca di essere simpatico a tutti (cosa che dovrebbe sempre insospettire), e con risultati altrettanto tragicomici (cosa che dovrebbe sempre far riflettere). Tiene il palco con la stessa posa da uomo della provvidenza, che ha il sole in tasca e l’uovo di Colombo in testa. Quei 100 punti, che dovevano essere scritti in wiki e si sono accontentati della lingua di un ex Mediaset come Giorgio Gori, fanno il depliant di un’offerta già sentita, appena camuffata da un volto che ancora non ha bisogno di cerone. Volesse il cielo fosse solo una faccia di cazzo.