Ricevo da Nane Cantatore un contributo che ritengo estremamente interessante:
Il
fallimento dei diversi tentativi di trovare una forma di mediazione con il
movimento cinque stelle ha una spiegazione assai semplice: tale movimento è
alieno da qualsiasi mediazione. Ciò trova una spiegazione ufficiale nelle
dichiarazioni del suo proprietario e dei suoi accoliti maggiormente fidelizzati
o fanatizzati, che consiste nella litania della diversità, dell'irriducibilità
e della superiorità: da ciò conseguirebbe la refrattarietà a qualsiasi alleanza
con soggetti diversi, e pertanto infidi.
Se questo
comportamento è spiegabile, nei termini della psicopatologia, come risultato di
una sindrome paranoica, […], qui interessa comprenderne le linee strategiche,
più che comprenderne i motivi. Ogni normale partito politico, infatti, dopo
aver conseguito un forte consenso elettorale, tende a capitalizzare tale
risultato (o, il che è lo stesso, a esercitare il mandato degli elettori
secondo le logiche della democrazia rappresentativa) per insediarsi al governo
o, per lo meno, per contribuire a indirizzarne le politiche. I pentastellati,
invece, si arroccano, si riuniscono in improbabili convegni a metà tra la
riunione segreta e la gita fuori porta, si limitano a ribadire la loro
estraneità tanto da cortocircuitare la loro (ampia) retorica e (limitata)
prassi della trasparenza, fino a utilizzare le due soluzioni estreme della
comunicazione pubblica: ribadire la propria purezza nella forma evangelica del
chi non è con me è contro di me, e parlare d'altro, per esempio del Monte dei
Paschi.
Il dato
interessante, a cui non mi pare si faccia sufficiente attenzione, è che questo
comportamento è del tutto opposto a quello adottato in Sicilia, dove il M5S è,
di fatto, parte della maggioranza di governo, e dove tale partecipazione viene
rivendicata, nelle parole del proprietario del movimento e dei suoi più
illustri fiancheggiatori. In altre parole, e mi sembra chiaro che questo debba
essere stato il pensiero dei vertici del PD, il modello siciliano poteva essere
visto come il precedente a cui rifarsi, se non come l'incubatore di un
possibile governo nazionale.
Se non
è accaduto così non è, credo, per una forma di schizofrenia da parte di un
soggetto politico che pensa in un modo a Palermo e in un altro a Roma, o perché
con il 15 per cento ci si comporta in un modo e con il 25 in un altro: la prima
interpretazione mi pare troppo psicologica, la seconda troppo politica. Credo
che si tratti di una questione di egemonia, sulla scena politica e,
soprattutto, all'interno del M5S, che proprio per i suoi risultati elettorali
si sta trasformando, di necessità, da aggregato eterogeneo tenuto insieme da un
leader carismatico in soggetto politico a tutti gli effetti. La caratteristica
primaria di un soggetto politico, infatti, anche quando esso sia maggiormente
caratterizzato dal leaderismo e dal culto della personalità, è proprio la sua
pluralità: per quanto sia importante il leader, in esso esistono altre
personalità, diverse specializzazioni e diverse opzioni tattiche e persino
strategiche. Accade oggi nel PDL, per esempio, come è accaduto nel PCUS
staliniano o nella NSDAP, per quanto tutte queste formazioni fossero
indubbiamente dominate da un leader carismatico.
In
altre parole, un M5S coinvolto nel governo a livello nazionale dovrebbe fare i
conti con istanze, modalità e tempi decisionali diversi da quelli interni, il
che renderebbe necessario lo sviluppo di strutture e di deleghe personali tali
da trasformare la natura profonda del movimento stesso, verso una maggiore
pluralità, una più ampia e visibile dialettica e, persino, un diverso rapporto
con i media. Se già i due improbabili capigruppo parlamentari stanno esprimendo
differenze e disagi, ci si può immaginare cosa accadrebbe con un ministro o un
rappresentante in una commissione governativa.
L'arroccamento
del movimento, la sua litania di intransigenza e le continue scomuniche del
proprietario verso chi si distanzia dalla linea ufficiale rispondono, insomma,
essenzialmente a esigenze di controllo interno, per bloccare l'evoluzione del
M5S verso la forma di soggetto politico plurale. A queste condizioni, una forte
riduzione del consenso elettorale non sarebbe vista come una sconfitta ma come
un necessario passaggio di depurazione, per ribadire la litania di alterità ed
estraneità e consolidare l'assetto monolitico del movimento.
Qui, se
si vuole, si può misurare la pochezza delle capacità strategiche del
proprietario, che si preclude di fatto ogni possibilità di accesso al potere, o
di azione concreta sulle cose, pur di conservare il proprio predominio. Se è
possibile governare in Sicilia, ciò avviene perché il livello locale non
interessa al proprietario, che comunica direttamente con le masse per via
diretta, con i suoi comizi nelle piazze e sul suo similblog, o per via indiretta,
attraverso le televisioni che riportano i suoi slogan e la sua estetica.
Partecipare al governo del Paese creerebbe, necessariamente, una
moltiplicazione dei canali di comunicazione e dei soggetti che vi avrebbero
accesso, mettendo in crisi un modello di leadership che si definisce, più che
secondo le categorie classiche della politica, secondo quelle del marketing, e
nemmeno di quello più moderno: l'importante è controllare il brand e
trasmetterlo, impedendo a chiunque di contribuire a determinarlo.